PICCOLI RACCONTI
SOTTO AL CASTELLO
Ascensioni a Rocca Pendice
Ep. 1
In questo momento (Maggio 2023) in cui è ritornato "maggembre" e si intravede la fine della lunga siccità che ha attanagliato l'Italia fin dai tempi dalla pandemia, ripenso con affetto al monte di casa, il caro, vecchio Rocca, su cui ho vissuto veramente tanti momenti. Così mi è venuta voglia di ricordarli, anche perché, questa piccola fortezza situata al centro dei Colli Euganei in provincia di Padova, proprio al centro della Pianura Padana, è stata la salvezza di interi fine settimana per molta gente.
Rocca Pendice è un po' casa, un posto da cui magari si può stare lontani a lungo ma a cui prima o poi si torna sempre, anche con un po' di nostalgia e dove a volte vi si trovano delle novità, qualcuna simpatica e qualcun'altra meno.
Del mio primo approccio ho già parlato qui, quelli che seguono sono altri episodi non necessariamente in ordine cronologico, che si sono svolti negli anni successivi. Il Rocca Pendice è stata non sola la prima "montagna" ma anche un luogo per sperimentare e perfezionare l'uso del materiale, le manovre e i movimenti che poi sono venuti buoni in situazioni ben più stressanti.
LO SPIGOLONE
E' a mio avviso la più bella via del Pendice (la descrizione la si trova qua), percorsa sovente anche dai corsi CAI e riservata agli allievi più bravi, anche se per un periodo ha subito una forte decadenza.
La tentai subito la prima volta che misi piede a Rocca con Stefano, per provare l'ebbrezza di una via a più tiri, non ricordo esattamente il contesto, ma ricordo perfettamente che ero più una macchietta (o meglio uno scemo) che un rocciatore: pantaloncini corti riciclati da un ex costume da bagno, scarpette d'arrampicata larghe come ciabatte per cui assomigliavo più a Charlot, una manciata di rinvii e uno spezzone di corda regalatomi da mio padre, che a sua volta era stato infinocchiato dal venditore che gli aveva rifilato un inutile spezzone da neanche 20 m, e anche un friend (il BD rosso per l'esattezza, lo stesso che mi cavò fuori d'impaccio nel camino Carugati).
Conciato in questo modo grottesco mi avviai su per la ripida placca con cui inizia la via, sotto gli occhi dubbiosi di uno Stefano che già aveva subodorato cosa stesse per avvenire ma che comunque provava ad infondermi fiducia nel destino.
Risalii in modo elefantesco il primo balzo fino all'enorme anellone che sbuca dalla fessura che si doveva afferrare e poi mi avviai lungo un breve traverso a destra del tutto strapiombante, passaggio che mette tutt'ora alla prova le cordate che prendono lo Spigolone sottogamba. Infilai la mano dentro un buco con un rovo (a volte compare, altre volte lo estirpano), mi inarcai a destra ad afferrare una tacca per trovarmi a gambe divaricate spalmato sulla placca spanciante e abbandonato completamente alle braccia: oltre al dolore provocato dalle spine sentii anche una profonda ondata di calore pervadermi, con i tricipiti che erano in procinto di esplodere. Provai a buttare il bacino più a destra ma continuavo a sentirmi precario, provai ad allungare la mano ancora più a destra ma niente.
Mi portai di nuovo a sinistra sull'anellone, guardando in tono supplichevole Stefano ma senza avere il coraggio di cedergli il passo, dopo tutto ero io l'esperto, mentre lui mi guardava immobile con l'espressione di chi stia osservando i babbuini allo zoo.
Nel frattempo sopraggiunse un'altra cordata, due uomini di mezza età che ci guardarono come si guardano i sopravvissuti alla disfatta dell'Armir sul Don e ci offrirono il loro aiuto per superare la placca. Grazie ai loro rinvii e salendo come se fossi Tarzan potei raggiungere una stretta cengetta dove vi era una sosta posticcia con un cavetto metallico e decisi di fermarmi, anche perché il nostro spezzone di corda era fortemente limitante. Gli altri due intanto proseguirono a grande velocità e sparendo dopo un po' alla nostra vista. Recuperai Stefano che salì molto lentamente e ci appollaiammo sulla cengetta pensando al da farsi, in verità un po' scossi visto il battesimo del fuoco appena ricevuto.
All'improvviso echeggiò un urlo selvaggio, di quelle urla che gelano il sangue nelle vene e che lasciano intendere perfettamente che sia successo qualcosa di grave: uno dei membri della cordata di prima era caduto dalla parte superiore della via ed era volato per l'intera lunghezza della corda disponibile arrivando a poca distanza da noi. Fortunatamente era caduto oltre il bordo dello spigolo finendo a penzolare nel vuoto (avrà fatto 50 m di volo!!!) e senza toccare la roccia, cavandosela solo con un gran spavento.
Fu chiaro a quel punto che non era cosa saggia insistere con la via e buttammo una corda doppia disarrampicando poi le ultime roccette perché lo spezzone non era sufficiente.
Io e Stefano tornammo l'anno successivo, dopo la salita della Carugati, con una corda degna di questo nome e più equipaggiamento e anche molta più motivazione. Era primavera, faceva caldo e mi ritrovai nuovamente alle prese con la famigerata placca. Ricordandomi più o meno cosa avevo fatto la volta precedente affrontai nuovamente lo strapiombo spostandomi a destra ma ancora una volta venni respinto. Riprovai ancora, questa volta senza usufruire della fessura con l'anello ma del solo buco e sfruttando un appoggio più giù: mi resi conto che avevo fatto una fatica del diavolo per nulla quando alla fine era sufficiente restare un po' più bassi. Raggiunsi la cengetta della volta precedente dopo una gran fatica e recuperai Stefano a cui cedetti ben volentieri il comando e che risolse il passaggio successivo con il suo proverbiale "colpo di anca" per poi sparire al di sopra di un doccione. Giunsi in sosta, la vera prima sosta e trovai l'amico bellamente al telefono intento a subire improperi da parte della propria ragazza, la quale trovava la nostra uscita del tutto inconcepibile.
A me gli improperi della mia erano già arrivati la sera antecedente, con un promemoria di prima mattina!! Eh, a quel tempo eravamo giovani ma per fortuna dagli errori si impara.
Stefano riprese la via verso l'alto affrontando il bellissimo diedro del secondo tiro, bestemmiando giusto un poco nel superamento del tettino, poi lo raggiunsi con abbastanza disinvoltura.
Mi toccò il tiro lungo il camino seguente, che richiedeva una scalata più da panzer nelle steppe russe che un'arrampicata ma lo superai e mi ritrovai su un terrazzino sotto il passo chiave della via: un corto diedro strapiombante che richiede aderenza su placche lisce, protetto solo da un chiodo resinato mal posizionato. Provai ad innalzarmi infilando le mani nella fessura di fondo ma, quasi alla sommità il piede mi scivolò sulla placca e restai incastrato solo coi pugni. Ritentai ancora la fessura provando a fare più forza col piede ma scivolai ancora, così mi sfilai uno dei soli tre friend che avevo (due in più rispetto al tentativo precedente) per notare, con orrore, come questo fosse troppo piccolo e che restasse a malapena appoggiato nella fessura, giusto nell'unico posto dove potevo piazzare le mani.
Scesi al nuovamente al chiodo un po' scazzato e cercando un modo per superare l'ostacolo e provai a buttare l'occhio a sinistra, oltre lo spigolo e notando un altro diedro coperto dal fogliame e dai rami. Provai a raggiungerlo, muovendomi come una fata su una cengetta coperta di muschio ma venni inesorabilmente trattenuto dall'attrito pazzesco della corda contro lo spigolo.
E' necessario specificare che, anche allungando il chiodo con un cordino, la corda faceva il medesimo attrito? Ma certo che no, le disgrazie viaggiano sempre a coppie.
Non ci fu che una soluzione: recuperai Stefano sul chiodo e lo spedii ad esplorare il diedro nascosto, malgrado mi maledicesse in una lingua arcana e oscura (oggi la variante che evita il passo difficile è ben ripulita, ma allora non lo era). Io nel frattempo mi appollaiai comodo su un alberello, seguendo le sue mosse con attenzione e spiegandogli dove sarebbe dovuto andare quando mi accorsi di aver disturbato la quiete di un formicaio e vidi con orrore le legittime proprietarie dichiararmi guerra.
Quasi a vendicarsi dell'ulteriore fatica a cui lo sottoponevo, Stefano se la prese molto comoda, un passetto alla volta con molta calma; anche il recupero della corda alla sosta fu fatto con tutta tranquillità, mentre io combattevo la mia lotta personale contro l'Armata Rossa.
Quando finalmente mi diede l'ok a salire, lo raggiunsi come un razzo e con un "leggiero" prurito addosso. Scalai l'ultimo facile tiro e insieme sbucammo sulla cresta sommitale del Rocca, proprio sopra la falesia, con la soddisfazione di aver portato a casa una bella via.
2020
Riaperte momentaneamente le gabbie dalle clausure della pandemia di Covid, incontro Stefano mentre è di passaggio a casa, in riposo da una delle sue peregrinazioni. Insieme ricordiamo i vecchi tempi e notiamo come siano dieci anni esatti che arrampichiamo insieme, un po' a fasi alterne. Bisogna dunque festeggiare, e quale posto se non dove è tutto cominciato, ossia Rocca Pendice?
La scelta più ovvia sarebbe stata la Carugati ma Stefano ha un legame particolare con lo Spigolone e così la scelta cade su questo. L'amico non è in forma mentre io sono al massimo, dopo essermi sciroppato mostruosità come Dark Angels, la Zonta-Gnoato e altro perciò andrò io da primo su tutti i tiri.
Fa caldo, è pomeriggio inoltrato ma tutto sommato è ventilato e si riesce a scalare in scioltezza. La prima placca, che dieci anni prima ci aveva fatto penare ridimensionando grandemente il nostro ardimento, me la lascio alle spalle senza nemmeno accorgermene; l'amico mi segue senza fiatare ma ritrovando il piacere della roccia. Poco dopo anche il secondo tiro è passato e subito sono impegnato col terzo, quello col famigerato diedro. Arrivato sotto il punto incriminato risalgo la fessura e piazzo un friend per proteggere il passaggio, questa volta più grosso del tentativo precedente ma, quando lo carico per fare il passaggio, vedo inorridito l'aggeggio sfilarsi dalla fessura e per poco non finisco a disintegrarmi le gambe sul terrazzino. Niente da fare, ci vuole una camma ancora più grossa.
Nessun problema, aggiro nuovamente l'ostacolo a sinistra e recupero la corda in sosta. Quando alzo lo sguardo e faccio per chiamare l'amico vedo un muro opaco e grigiastro, dietro cui i colli svaniscono: sta arrivando un violento temporale estivo ed è appena dall'altra parte della valle. Urlo al compagno di darsi una mossa e di tirare tutto ciò che gli capita a tiro ma il poveretto è fuori allenamento e fa quello che può. Il temporale nel frattempo si avvicina e lambisce le case di Castelnuovo.
Stefano finalmente raggiunge la sosta e vi si aggancia, io riparto senza nemmeno attendere che mi assicuri, tanto sono roccette facili e per di più le conosco e, nel giro di un paio di minuti sono già alla fine del tiro, mentre il vento alza turbini di polvere accecante. Recupero il compare ad ampie bracciate, quasi a tirarlo su di peso e, riunitici, ci sleghiamo. Con pochi balzi superiamo anche le ultime rocce che ci separano dal sentiero di discesa; intanto cominciano a cadere i primi goccioloni. Guardo il compagno leggermente spaesato e gli grido di seguirmi imperterrito, non abbiamo nulla per coprirci dalla pioggia (e forse dalla grandine) perciò bisogna correre; perciò via, lungo il sentiero della falesia mentre il muro d'acqua divora anche la vetta del Rocca. Corriamo senza voltarci indietro e sbuchiamo sulla strada di Castelnuovo dove avevo fatto sapientemente parcheggiare Stefano per accorciare la discesa.
Arriviamo alla macchina, apriamo il bagagliaio e immediatamente si scatena il finimondo; appena in tempo!! Sembra quasi di essere sotto un idrante da quanta acqua viene giù dal cielo in un colpo solo.
Torniamo a casa con l'anniversario del nostro sodalizio in tasca, contenti e soddisfatti.
2022
C'è brutto tempo in montagna e io e Bruno ripieghiamo su Rocca Pendice, dato che lui non ci ha mai arrampicato, una domenica con un affollamento pazzesco. Quel giorno decidiamo di concatenare più vie e partiamo dai Diedri delle Nebbie per passare poi allo Spigolone e ai Diedri Bettella. Questa volta porto il friend 3 BD, sapendo che ci toccherà il famigerato diedro. E' quello giusto e con una pressione su una piccola tacca che la volta prima non avevo visto finalmente anche il tratto chiave è passato, pulito!
Lo spigolone
Nel diedro del secondo tiro
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