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giovedì 22 aprile 2021

TORRE GABRISA - Una seconda svolta

 TORRE GABRISA 

Una seconda svolta


Un giorno, in tempi decisamente più recenti del 2019, all'improvviso e senza premeditazione, mi è apparsa sulla home di Facebook un post con una richiesta di formare una cordata da parte di un personaggio che avevo tra i contatti ma che avevo perso di vista nel corso del tempo. Vabbè, il mondo è piccolo, perché no? Tanto il Bocia in certi postacci non ci sarebbe venuto perciò tanto valeva cavarsi una soddisfazione, la passione per l'odore di selvaggio non mi è mai mancata.
Io e costui ci diamo appuntamento per la Domenica e ci troviamo in Valdastico, con un caldo torrido già di prima mattina, presso un noto bar posto in curva, punto obbligato per chi transita in questa amena valle (che avevo deciso appositamente per non sbagliare, prevenendo l'altrui disgrazia). E' così che, per la prima volta, faccio conoscenza di Moreno. 
Mi accoglie col sorriso e rapidamente mi carica in macchina alla volta della Val Sorapache. Siamo diretti alla Torre Gabrisa, la più alta delle torri della valle, immersa nella solitudine più totale. 

Tanto per cominciare due parole su questo personaggio e sulla torre: Moreno è l'autore di alcune vie piuttosto audaci intorno a Recoaro e già mi aveva contattato anni prima per aprire la Via delle Streghe sulla Cima Campodavanti, ma a quel tempo avevo delle idee troppo ingenue e non avevo colto lo spirito. La Torre Gabrisa fu invece scalata per la prima volta da Binotto e Dalle Carbonare nel 1951, lungo un itinerario poco ripetuto ma che pare promettente mentre la via su cui ci siamo cimentati è stata aperta da Tranquillo Balasso, Sergio Antoniazzo e M. Benetti nel 2006 attraverso placche e diedri di ottima roccia con una successione di tiri magnifici.

Ci incamminiamo velocemente lungo la Val Sorapache, io arranco perché sono pigro, Moreno accelera il passo andando in esplorazione e fermandosi di tanto in tanto in cerca della mia approvazione con " 'ndemo Sandro, dai che se sta ben qui! Semo a nord, a l'ombra". Io mi limito a fargli un cenno in quanto il sudore gli impedisce di vedere la mia smorfia di disgusto, bestemmiando contro la pendenza del sentiero. Ad un tratto Moreno si blocca, si mette in posa ieratica scrutando l'orizzonte, si rivolge a me e mi dice: "gavemo sbajà!". In cuor mio non riesco né a ridere né a piangere perché l'umidità mi sta facendo rivivere le battaglie nel Vietnam, perciò inconsapevole di cosa sto facendo e seguo il compare, con calma e moderazione, facendo economia di liquidi. 
Moreno, ben deciso a non perdere nemmeno un metro di quota perché Mussolini non torna indietro, traversa quindi su una cengia alberata che diventa sempre più stretta e a picco sulla valle sottostante, finché non si interrompe bruscamente ad un gruppo di alberelli: "nemo zo de qua che tajemo, tanto xe un attimo!". 
Bisogna diffidare degli attimi di Moreno, spesso significano che "in un attimo" risolviamo tutti i nostri problemi alla radice...! 
Io prudentemente preparo una corda e mi calo in doppia lungo il pendio scosceso, arrivando giù tranquillamente mentre il socio esplora la zona. 
"...lo go catà, vien de qua che fem prima!", mi avvio dietro di lui ricominciando ad arrancare lungo un canalone parecchio pendente di blocchi e ghiaie, sempre faticoso, uscendo finalmente fuori dal bosco e dalla sua micidiale umidità per guadagnare il solleone. Risaliamo tutto il canalone fino ad un gigantesco blocco che ne sbarra la sommità e ci obbliga ad uscire a destra lungo una parete di erba e roccette sul III. Moreno parte in quarta ma io, già subodorando il dopo, mi faccio legare e scarrozzare su come un pensionato: appena mossi i primi passi sulla paretina una zolla di erba mi parte sotto al piede e resto appeso, sesto senso!
Guardo l'ora, incredibilmente la nostra variante ci ha fatto recuperare un bel po' di tempo. Non è nemmeno l'ora di pranzo, ma quasi, e ci troviamo alla base della torre, su una selletta silenziosa e solitaria che sa di magico, un piccolo Eden di erba, con un pinetto mugo, piatto e sospeso in mezzo alle nuvole, al tempo, alla vita stessa, nel silenzio.

Ritorno bruscamente alla realtà: Moreno si mette in posizione velocemente per attaccare, io preparo uno zainetto più piccolo e non ho obiezioni a lasciargli la via, sono abbastanza bollito e per una volta approfitto del passaggio. La prima placca, ben mitragliata di chiodi, non è scontata, un VII secco, con un passo strapiombante che da secondo non è esattamente il massimo della comodità, visto il tiro obliquo. Trovo un buchetto per le dita della mano destra con cui riesco ad innalzare i piedi e mi lancio sulla presa seguente senza partire a pendolo a sinistra, poi scalo il diedro seguente, sempre con mirabolanti acrobazie per non finire in mezzo agli strapiombi e mi riunisco al compagno alla sosta. Altra sorpresa: la relazione riporta un tiro inesistente, quindi siamo in anticipo sulla tabella di marcia.
Segue un altro bel diedro che non ha problemi e poi un tiro verticalissimo lungo una lama-diedro a picco sulla base della torre, dove una presa si rompe e mi fa fare un giretto di giostra nel vuoto, nessun problema, mi spingo su e passo il tetto che chiude il diedro, un bel VI+ di quelli che tendono le fibre muscolari. Riuniti alla sosta Moreno riparte e si accanisce contro una lama abbastanza marcia che lo fa sudare per un po', io fortunatamente resto in disparte e non sono bersagliato dalle pietre che arrivano giù; lo raggiungo con qualche bestemmia e percorriamo la breve cresta aggrappandoci ad essa per tenerla assieme fino all'esile vetta della Torre Gabrisa.
La soddisfazione è tanta, la stanchezza pure, la sete ancora di più, però l'acqua va razionata per il ritorno.
Allestiamo la prima delle due lunghe corde doppie che ci portano al canale di discesa e parte ovviamente Moreno, con sicurezza e comodità, ravvisandomi "Ocio ai sassi Sandro, quanto te scendi, parché l'è smarzo!" - "Non c'è problema!".
Appena l'amico parte mi perdo a guardare il panorama, sganasciandomi le mascelle a forza di sbadigliare quando sento un tonfo netto, unico, distinto, che rimbomba intorno come una fucilata e mi giro di scatto: Moreno non si è mosso, è ancora lì sull'orlo del baratro, immobile. Prende a fissarmi con un'espressione neutra, a metà tra chi sta per ridere isterico a causa di un crollo nervoso e chi sta per piangere l'addio. Nel calarsi ha urtato con il piede un sasso che ha centrato le corde molto più in basso, danneggiandone sicuramente una in modo serio, l'altra forse. 
Restiamo immobili senza fiatare, senza nemmeno respirare, a guardarci per alcuni secondi che mi sono parsi delle ore, poi rompo il silenzio: "senti, tira su le corde e valuta l'entità del danno!" - "seto che forse no l'è cussì mae come pare?!" - "tira su e basta e lascia giudicare me!!!".
Le prospettive per toglierci d'impaccio mi paiono agghiaccianti: se entrambe le corde fossero tranciate dovremmo farci strada per la cresta della torre, su terreno ignoto, con quello che ne resta annodato insieme e cercare di arrivare verso la forcella che guarda il Fratòn, oltre la vicina Punta del Vecio e da lì ridiscendere a valle in qualche modo. Ma la Punta del Vecio ha un camino da scendere con almeno una doppia lunga, oppure passando di chiodo in chiodo...non voglio nemmeno pensarci, sono cose che si fanno con la forza della disperazione!
Se una delle corde fosse integra invece potremmo ripercorrere la via al contrario, non sarebbe difficile, solo un po' laborioso ma fattibile; "senti Sandro, una xe solo scalzà ma dentro l'è bona, l'altra corda è apposto, par fortuna il sasso la ga 'pena tocà!" - "bene!!!! Tentiamo allora!!".
Moreno si cala oltre il ciglio e sparisce alla mia vista. Passano attimi di silenzio più totale in cui la stanchezza e il sonno sembrano svaniti, lontani nel tempo, ogni fibra del mio corpo è tesa come la corda di un violino in ascolto di ogni sussulto. Penso a quanto sia fragile la vita e a come siano vane le nostre velleità quando quello che crediamo sotto controllo improvvisamente ci ricorda che il mondo, anzi tutto l'Universo, fa quello che vuole e basta!
Poi, dopo un'altra snervante attesa giunge il richiamo: "Sandro, liberaaa! Se fa!". Mi preparo e mi calo lungo la verticale parete ovest della torre, metro dopo metro, lentamente e con tutti i sensi all'erta; arrivo al danno, è grave ma non al punto da essere pericoloso, vedo lo scorticamento passare lentamente nel discensore, trattengo il fiato e proseguo la calata fino ad approdare al terrazzo di sosta. 
Riprendiamo con la seconda delle due calate in doppia, questa volta meno impressionante della prima perché prima di ripassare per il danno possiamo appoggiare i piedi su qualcosa di solido potendo tirare un grande respiro di sollievo.

Passo a riprendere lo zaino che avevo lasciato alla base della guglia, mi riposo qualche secondo, poi seguo Moreno giù per il canalone parallelo a quello di salita, meglio non insistere con le doppie oggi, e scendiamo per vari franamenti e una selva fittissima di rami e spine che ci riporta giù al fondo della Val Sorapache. Entrambi abbiamo i piedi in fiamme e ci sentiamo come prendere fuoco, perciò ci fermiamo al torrente che qui scorre con un buon volume d'acqua a chiacchierare con due ragazzi saliti a prendere un po' di frescura. Mi sento ringiovanire. 

Alla fine dell'estate io e Moreno siamo in Valsugana alla Gusela di Cismòn a percorrere la storica Paolo de Tuoni, facendo stavolta tesoro di qualche accorgimento. E' l'inizio di un nuovo sodalizio.


torre Gabrisa e Fraton
La torre Gabrisa è il dente affilato al centro, assieme alla bifida Punte del Vecio
A destra è ben distinguibile il Fratòn.

partenza directa Gabrisa
La prima difficile placca

diedro della Directa Gabrisa
Il bellissimo tiro nel diedro verticale

quarto tiro della Directa Gabrisa
Fessura friabile


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