LA VIA MATTEO MARCOLIN
Parete del Forte Covolo di Butistone
Durante i vagabondaggi lungo la Valsugana, posto vicino a casa che ormai cominciavamo a frequentare assiduamente, il Bocia ebbe l'idea di aprire una nuova via sulla parete principale della Valsugana, la Parete del Forte o Covolo di Butistone. Esisteva uno spazio libero tra la via Corso Augusto, itinerario sportivo sul pilastro che delimita il più grande e visibile diedro della parete e la Nico e Nico, una via artificiale aperta negli anni '90 del secolo scorso che era caduta nel dimenticatoio.
Durante delle ricognizioni alla base della palestra alla base della parete aprimmo un monotiro di artificiale moderno abbastanza impegnativo proprio al centro della fascia rocciosa. Era intenzione del socio proseguire dritto superando i grandi strapiombi e fiancheggiare la via Nico e Nico o incrociarla per raggiungere più in alto le Traversate, un altro itinerario più a destra.
Io non ero dello stesso avviso: non mi garbava di ripetere per l'ennesima volta uno stile che sulla parete già abbondava buttando alle ortiche una quantità industriale di fix, perché la roccia mal si prestava alla preparazione di un itinerario artificiale moderno, ossia con l'uso di ganci, rivetti, chiodi di tutte le dimensioni e spalmabili. Vidi sulla sinistra dei grandi strapiombi una fessura sinuosa che raggiungeva le Traversate e più in alto un diedro poco accennato che restava libero da ogni tentativo. Le due fessure si sarebbero potute collegare tramite un altro diedro biancastro un po' sulla sinistra ottenendo una linea ancora tutta indipendente sulla parete.
Ovviamente la natura tiene in gran conto le opinioni dei comuni mortali e questo caso non fece eccezione.
In un giorno d'estate 2018 io e il fedele Bocia cominciammo la scalata approfittando del momento in cui la parete era in ombra, dato che al primo raggio di sole si sarebbe potuto tranquillamente fare una grigliata senza accendere il fuoco. Armato di tutto punto cominciai a salire cercando la maniera più naturale possibile, onde guadagnare metri più velocemente: prima un gancetto su una tacca, poi un chiodo, poi un chiodo a pressione perché la parete è liscia come uno specchio, poi ancora friends dentro una fessura. Ad un certo punto martellai la placca rocciosa che stava alla mia sinistra e cominciò a suonare come un tamburo; un po' a sinistra, nascosta dall'erba, si poteva scorgere una sottile crepa. Chiodo a pressione sulla lama alla mia destra, ben più solida e via. Arrivai alla prima cengia coi primi raggi di sole che mi sciolsero istantaneamente come una candela, approntai la sosta e tornai già dal compagno. Dopo le manovre rituali (secondo la nostra consolidata pratica religiosa) il Bocia ripeté il tiro appena aperto disgaggiando brutalmente tutta una serie di lamelle rotte e appoggiate e bersagliandomi come un tiro al piccione, dopodiché levammo le tende lasciando il progetto a decantare in attesa di tempi più freschi.
Il cantiere si era appena aperto.
Tornammo in inverno, finalmente le temperature erano divenute più tollerabili e potevamo disporre dell'intera giornata. Risalii il primo tiro agevolmente, recuperai il compagno e partii verso la fessura sinuosa che aveva attratto la mia attenzione già l'anno prima. Partito con sfrontatezza armato di friend per cercare di fare il macho e distanziare gli ancoraggi ai futuri ripetitori notai presto che la montagna mi mandava a quel paese: la fessura si presentava col bordo completamente a scaglie rotte che mi toccava staccare ad una ad una per trovare della polpa buona. Via i friend e giù di trapano, brusco ritorno a più miti consigli.
La fessura a questo punto formava un tetto e con dei passaggi su ganci un po' elefanteschi riuscii a traversare a sinistra senza finire cullato tra le braccia del Bocia qualche metro sotto, poi azzardai un passo in libera per riuscire a innalzarmi ma il peso della roba che avevo addosso mi impacciava in tutti i movimenti (altra lezione: corda di servizio), così provai con un dadino in un buco, largo quanto due dita (mmm..!). Ancora trapano e fix e cominciai il traverso a destra che caratterizza la prima parte della via, dimenticandomi completamente dei friend e lavorando di trapano in posizione improba, allungandomi sempre sul lato destro; fortunatamente il "braccio" non mi mancava. Dopo una sequenza di trapanature arrivai su un minuscolo gradino con una pianta e abbozzai la sosta, dopodiché solita manovra, il Bocia sale, ripulisce, appronta la sosta di cala e via giù, ormai le tenebre avanzavano. Cominciava ad intravvedersi una forma ma la parete era ancora lunga!
Non demordemmo: dopo qualche giorno fummo nuovamente in parete. Era un caldo giorno di Marzo del 2019 e il sito era più frequentato del solito, con alcune cordate in movimento sulle vie sportive. Nuovamente su per i tiri appena aperti, questa volta partì il compagno che concatenò in una le lunghezze appena aperte e mi recuperò in sosta, poi ripartii verso la successiva placca. Dal basso avevo visto delle fessure da chiodi ma erano solo macchie di umidità sulla roccia e mancavano pure le tacche per i ganci quindi giù di trapano senza pietà. Lentamente mi innalzai lungo la placca vergine, ovviamente carico come un mulo sfruttato e abusato dal suo padrone, traversai un po' verso sinistra e, dopo un chiodo a pressione rimasto piantato a metà a causa dell'esplosione della roccia in cui lo avevo ficcato, approdai ad una rampa di roccia facile con un chiodone artigianale, punto in cui passava la via delle Traversate.
Dal punto in cui ero, a causa della verdura che infestava la zona, non potevo mandare giù un po' di carico al compagno, così cominciai a innalzarmi sfruttando il chiodo presente. Sentii un sussulto e guardai l'ancoraggio: l'infingardo stava pensando di andare a spasso e stava lentamente sfilandosi dal suo posto. Armeggiai col trapano con la mano sinistra e puntellai i piedi alla buona, trattenendo il fiato: giù un fix e via, finalmente su un bel terrazzone, comodo e largo. Recuperai il partner e cominciai ad osservare la parete: il diedro intermedio dove pensavo di passare veniva a trovarsi tutto a sinistra ed era composto interamente da croste di guano (= merda!) e mattonelle buone solo come fermaporta. Non era il caso di insistere lungo la "linea logica". La parete sopra di noi si presentava invece solida e compatta come cemento armato, ma solo al disopra del consueto strato di croste che bisognava disgaggiare.
Non ebbi nessun dubbio a cedere il comando al socio, come si manda avanti la fanteria contro le mitragliatrici nemiche per fargli finire le munizioni, e poi si presentava l'occasione di aprire un bel tiro artificiale. Io mi sedetti comodo sulla terrazza e guardai, come un pensionato, l'avanzamento del cantiere verticale. Il ragazzo partì con circospezione lungo la prima fascia di croste, stranamente silenzioso, poi cominciò il disgaggio delle croste, con la consueta pioggia su di me, cercando di volta in volta un palmo di roccia che non fosse rotta. Guadagnò centimetro dopo centimetro, lentamente, innalzandosi grazie ai ganci in alcuni buchetti, ogni volta riuscendo a trovare un pezzo di pietra solido che non suonasse vuoto.
Dopo circa quindici metri raggiunse una fascia biancastra prima della parete nera, il punto più impressionante che dovevamo attraversare: il Bocia batté a sinistra, a destra, fece un buchetto piccolo e vi ficcò un gancio per guadagnare un altro mezzo metro ma nulla, tutto era friabile, tutto scollato dal corpo principale della montagna. Fu a quel punto che la forza degli uomini venne meno: "Vecio, xe tutto smarso, non son bon da piantare qualcossa che tegna in 'sto schifo! - Prova ad alzarte un altro fià! - Fago un altro busetto ma, Vecio, me sa che la via xe finìa!".
Ecco, una doccia fredda proprio nel massimo della carica morale! Mi ribellai, come mi accadde ancora in queste situazioni e a costo di adottare soluzioni più estreme come trapanare un fix ogni 10 cm pur di ottenere qualcosa di solido o nel violare la via di fianco pur di passare: "Bocia, prova ancora, varda se te riessi a smartelare quel toco de piera un po' piatto lì in alto! Alzate un altro fià". Egli provò ad alzarsi al suo limite e martellò all'incirca al termine della fascia bianca, un tratto più piano e un po' spostato dall'asse dei chiodi: dopo qualche colpo il martello trovò un punto che non emetteva il suono della grancassa e lì potè entrare un bel chiodo a pressione.
Era fatta: il punto chiave della scalata era stato vinto ed ora il Bocia si apriva la strada verso l'alto lungo la parete nera senza preoccupazioni, a ritmo costante come un T-34. L'unica cosa che lo fermò fu l'arrivo della sera. Seguì la consueta discesa e rientro a casa. La via era fatta per metà ma ora si presentava il problema di come salire la metà superiore senza bivaccare sulle staffe.
Passò il tempo e giunse il momento propizio alla fine di Agosto del 2019. O meglio, dopo aver subito il lavaggio del cervello da parte del partner fino a fare penetrare nel mio inconscio il desiderio dell'impresa, venne il momento di andare lassù malgrado le temperature decisamente proibitive. Questa volta optammo per un'approccio diverso: calarci dalla sommità della parete, posizionare le corde fisse e chiodare fino ad esaurimento batterie per poi tornare ad opera compiuta. Un primo tentativo andò a vuoto perché finimmo totalmente da un'altra parte, il secondo andò bene: mi calai con circospezione lungo la muraglia orientandomi coi chiodi di Nico e Nico per trovare il giusto punto dove eravamo arrivati e pervenni ad un terrazzino al centro del bastione. Il compagno mi raggiunse dopo poco e cominciai a scrutare il punto in cui proseguire la calata quando capii dove eravamo: esattamente sopra il diedro che avevo individuato dal basso. Peccato però che quest'ultimo fosse la brutta copia di quello più basso: una faccia era accettabile ma l'altra era una catasta di mattonelle scollate dalla parete e rette da un albero ivi cresciuto.
Ora, su una montagna normale, non mi sarei fatto scrupolo a levare di mezzo quel cesso a suon di martellate ma su questa parete c'era il rischio concreto che i pezzi prendessero il rimbalzo sbagliato e finissero sulla ferrovia o superassero il paramassi (difficile ma mai dire mai). Fine della linea logica e forse della via. Per il momento scesi lungo il diedro, approntai una sosta alla fine della corda e rientrai su, giungemmo in cima alla parete a notte fonda e con una fame da squali.
Ritornammo la mattina seguente cercando di partire il prima possibile per usufruire delle ore di ombra come negli episodi precedenti, peccato che in cima alla parete, per la conformazione della valle, la luce arrivasse decisamente prima e che quindi fin da subito iniziò la cottura. Raggiungemmo la fine della corda fissa e lasciai calare il compare fino all'ultimo metro ad una cengia più in basso mentre io mi sistemavo alle operazioni di assicurazione; mi sentivo già in fonderia ed ero ben contento di non prendere anche un colpo di caldo.
Al termine della corda il Bocia ebbe lo stesso problema riscontrato metri più in basso: ovunque battesse il martello la roccia suonava come vuota e non c'era verso di ancorarsi a qualcosa di solido. Optammo di deviare dall'idea originale usufruendo di qualche metro della vicina Nico e Nico per poi aggirare l'ostacolo del marciume in mezzo ad una placca grigia molto compatta. Egli allora tornò su da me e cominciò a ridiscendere più a destra verso i visibili chiodi della via accanto chiodando la placca, operazione che condusse con certosina pazienza sotto un sole spietato mentre io stavo per prendere fuoco; poi tornò su completamente esausto mentre io ero ormai stato cremato e insieme risalimmo ancora una volta in cima alla parete, sfiniti e disidratati. Mancava poco a finire il tutto.
Dopo qualche giorno, essendo in vacanza, il Bocia tornò da solo sulla via usufruendo della corda che avevamo lasciato in precedenza e terminò gli ultimi metri lasciati, ma soprattutto disgaggio la parte con le lame rotte facendo avanti e indietro su per la corda e buttando tutto in una fenditura sopra il terrazzino. Questo gesto eroico mi levò un peso dall'anima perché il solo pensare di andare su ancora e rifare la trafila col caldo mi faceva venire voglia di darmi alla briscola.
Finalmente, il 28 Settembre del 2019 terminammo anche gli ultimi metri che mancavano per connettere la parte inferiore con quella superiore; la via era terminata.
Decisi di dedicare la via a Matteo Marcolin, un giovane entusiasta morto per un banale incidente sul Monte Grappa l'inverno dell'anno precedente, mi pareva giusto dedicargli un pensiero lungo le lisce pareti del Canale del Brenta.
Il mentre apro il primo tiro
Lungo la fessura sinuosa tra i tetti
Il grande muro chiave della via
La grande placca superiore
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