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sabato 19 settembre 2020

CIMA DEL LAGO - DIEDRO DALL'OGLIO

CIMA DEL LAGO 

DIEDRO DALL'OGLIO 

Passato il mese di Luglio del 2015, piuttosto caldo e faticoso, venne finalmente un periodo di meritata vacanza e approfittai per organizzare una salita con l'amico svezzato da poco alla montagna e che da poco era divenuto Dottore (nel senso di medico). Come avvenne anni prima andai alla ricerca di una via facile ma lunga per rimettere in sesto le braccia e il fiato dopo il periodo di inattività: aprii la Bibbia del Buscaini sulle Dolomiti Orientali e la scelta cadde su questa via degli anni '50 aperta da Dall'Oglio e Consiglio lungo un regolare diedro nel gruppo di Fanis.

Piazzammo la tenda in una radura abbastanza nascosta lungo il fiume che costeggia la strada che sale alla Capanna Alpina e il Dottore tirò fuori un bel materassino da tenda "matrimoniale" su cui dovemmo dividerci i cm quadrati disponibili, senza agitarsi. Passò la notte con un sonno altalenante ma che tutto sommato rimase calda e la mattina, assonnati e con una pigrizia sopraggiunta come le zecche che non si staccano, ci avviammo alla volta della parete, partendo assai di buon'ora dato che ormai lo stare distesi a contare i minuti era divenuto straziante. Scambiammo giusto due parole con una coppia decisamente più matura di noi che ci superò allegramente nella faticosa salita verso l'attacco, mentre le nostre pance vuote e penzolanti di nullafacentismo ci ostacolavano il cammino. Arrivammo comunque alla base della parete, mentre la coppia di prima si stava alzando lungo lo zoccolo sacramentando abbondantemente malgrado l'apparenza bonaria. Partii anche io e capii subito il perché di tante bestemmie: lo zoccolo era un ghiaione, una catasta di rocce sfasciate e accatastate le quali, oltre a non fornire assolutamente una valida presa, rischiavano di lobotomizzare il compare di sotto (nel mio caso si sarebbero rotti i sassi). Al primo tiro mancai la sosta di pochi metri e dovetti attrezzarne una alla buona coi friend dentro dei buchi non molto rassicuranti (ma vince la quantità). Ai tiri successivi la nuotata continuò, sempre su terreno precario e con notevoli impacci causati dalle corde che, ovviamente, non perdevano occasione di impigliarsi su ogni minima asperità non necessariamente fissa. Arrivammo alla cengia a metà della via esausti e con le mani tremanti vista l'arrampicata del tutto inaspettata che avevamo dovuto affrontare. Indietro non si tornava e quindi avanti!!!

Traversata la cengia verso destra mi portai sotto una nicchia rotonda chiusa da uno strapiombo; nel frattempo il sole si fece cocente malgrado la quota di 2000 m. Dopo qualche tentennamento decisi di infilarmi nell'incavo per rimanere bloccato ancora una volta incerto sul da farsi: bisognerà affrontare lo strapiombo? Devo uscire a destra? Perché non c'è nulla? Le difficoltà non erano eccessive comunque avessi deciso di procedere ma per non sapere né leggere e né scrivere piantai un buon chiodo e uscii dalla nicchia a destra trovando subito un chiodo di via nascosto in un buco. A quest'ultimo seguì un diedro strapiombante faticoso che mi portò ad un misero terrazzino di sosta con un'ancor più misera sosta; la roccia però migliorò decisamente quasi ciò che avevamo passato prima fosse una sorta di selezione. La lunghezza successiva fece dimenticare tutte le tribolazioni: una placca compatta e monolitica che più in alto si chiudeva a diedro e che regalava un'ottima arrampicata su belle e solide maniglie. 

Alla sosta successiva fummo raggiunti da un gruppo di cinque "stagionati" provenienti dalla Toscana e la cui età media era difficile da definire. Probabilmente la somma di tutte le loro età avrebbe coperto il tempo che separava noi da Leonardo. Essi procedevano con una cordata da 3 ed una da due, ci raggiunsero e per cercare di far presto ci sorpassarono cercando di accorpare i tiri con conseguenti ingarbugli delle corde e con il problema ulteriore di suddividere ulteriormente le già non spaziose piazzole di sosta sui magri e usurati chiodi (con conseguenti auguri di "buona salute" rivolti alla loro direzione). Malgrado il caldo torrido e la grande confusione generata dal sopraggiungere delle altre due cordate la scalata procedette a suon di "mi fa male la prostata...ti sto tenendo con le mani...fermati che ho lo protesi all'anca, Maremma maiala...(e non solo quella)" lungo la fenditura principale del diedro, col loro capocordata in testa e io subito dietro. Il diedro qui si fece di proporzioni enormi, fino all'ultimo tiro, magnifico. Alla fine, vista l'evidente stanchezza di noi due e della situazione di groviglio  che si era venuta a creare approfittai della generosità della cordata da due, formata da lui e lei, per avere un passaggio da secondo, rilassarmi un attimo e sveltire l'uscita in cresta. 

Arrivammo in cima alle 17,00, stanchi fino nell'anima ma contenti e soddisfatti ma non era ancora finita. Ci avviammo lungo la discesa, per tracce e con le corde ormai legate per il trasporto fino ad una calata in corda doppia, l'unica di tutta la discesa, in cui il gruppetto di vecchi si ostinò a voler ritirare le proprie corde per sveltire la discesa, secondo loro. Ci costrinsero quindi a sciogliere le corde appena raggomitolate, legarle insieme, calarci, bestemmiare per il groppo che ne conseguì e in tutto a perdemmo quasi un'ora per superare l'ostacolo. Arrivammo giù al Rifugio Scoiattoli stanchi, giusto per un panino, prima di riprendere il sentiero di discesa con la sorpresa che il rifugista ci chiese che fine avessero fatto i tizi dalla prostata ingrossata che non si erano ancora fatti vivi e cominciava ad essere in pensiero. Lo tranquillizzammo dicendo che probabilmente erano già alla macchina e continuammo la discesa. Ritornammo stanchi morti alla radura dove ripiazzammo la tenda e ci riaccomodammo sul materassino matrimoniale che si bucò, e su cui facemmo involontariamente l'altalena per tutto il resto della notte.


Relazione


La Cima del Lago dal parcheggio

La stessa vista dopo il Rifugio Scoiattoli

La base della parete

Lungo la parte centrale del diedro

Lungo l'ultima fessura



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