UN NEBBIOSO GIORNO AL PILASTRO SOLDA'
Una mattina calda del Luglio 2010 concordai con Stefano, il fido scudiero, una salita un po' più d'ingaggio del solito Rocca Pendice e così decisi di andare a ficcanasare lungo le pareti del Baffelàn, la montagna più famosa delle Piccole Dolomiti. Avevamo con noi poco materiale, giusto tre friend (cunei meccanici a molla), la corda da 70 m e un po' di moschettoni e cordini (eh, il braccio era corto).
La via Soldà al Pilastro nord-est del Baffelàn è una delle vie più ripetute e famose delle Dolomiti Vicentine, grazie alla sua roccia solida e ben ripulita ed alle sue difficoltà modeste. La via venne aperta nel 1928 da Gino Soldà, forte guida alpina di Valdagno, medaglia d'oro al merito sportivo nel 1936 per la vittoria della sud-ovest della Marmolada e membro della spedizione al K2 del 1954, e da Franco Bertoldi, fedele secondo di cordata di Soldà e ingegnere alla Ferrari.
Andammo su un giorno infrasettimana e all'alpe di Campogrosso non v'era nessuno, tutto deserto e silenzioso immerso nella bianca foschia rischiarata da un sole pallido, mentre già si arrostiva, di fatto il posto era stato scelto sia per la comodità dell'accesso, sia per la rpesenza della nebbia che in una giornata a 40° ci avrebbe dato sollievo.
Lungo la stradina di avvicinamento, mentre camminavamo nella più totale blasfemia consci di essere gli unici due idioti in mezzo a quel nulla, incontrammo una pattuglia della Polizia, un gruppetto di agenti che tranquillamente faceva una passeggiata che ci chiese dove fossimo diretti, guardandoci con fare compassionevole. Dopo veloci convenevoli un po' imbarazzati, dato che loro dovevano essere in giro e noi sembravamo scappati di casa, ci trovammo nuovamente soli e nel silenzio. All'inizio la scalata andò liscia (o meglio, sudata) sotto il caldo sole, poi, all'altezza della torre Figlio del Baffelàn fummo come di consueto avvolti dalla nebbia, tipica di queste zone prealpine, salutandola con gioia perché finalmente portava fresco.
La via oggigiorno seguita non è l'originale percorso di Soldà, fatto salvo il tratto centrale, ma una combinazione di varianti che permettono di salire direttamente dalla base della parete est evitando il lungo giro per il faticoso Boale del Baffelàn, un impluvio franoso che scende dalla parete nord. La via poi s'inoltra in un enorme ed estetico diedro solcato da camini.
Questa volta mi feci più coraggioso e partii io, traversando lungamente a destra e risalendo un costolone fino all'anello di sosta. Venne su Stefano, si pigliò il materiale e ripartì sparendo dietro un angolo, tutto quello che sentii dopo era il placido fluire di bestemmie del socio che mi indicava che tutto stava andando bene.
Lo raggiunsi e a quel punto mi toccò una lunghezza di camino rotta e gocciolante risolta con una giravolta scimmiesca su friend che per fortuna nessuno vide. Ritoccò di nuovo allo scudiero andare su per una fessura verticale completamente da attrezzare e che fu prontamente condita dalla solita serie di sacramentazioni di entrambi; a quel punto ci trovammo sotto il tiro chiave e immersi in una nebbia così fitta da sembrare sera (non era neanche mezzogiorno): un diedro a gradoni chiuso a metà da uno strapiombo; un classico!
Probabilmente il clima mi giocò in quel momento un brutto scherzo e fui preso da un attacco di "coniglite", intravvedendo me bloccato in mezzo ad una placca faticare ore e ore per trovare una soluzione, bloccato in un grigio senza fine.
Con qualche moina condita da occhi imploranti cedetti volentieri il passo a Stefano che avanzò mestamente nella nebbia lungo la fenditura del diedro: due passi in su, un friend, un cordino per allungare un rinvio e via, uscì dalla mia vista perdendosi nella nebbia. Continuavo però a sentirlo chiaramente e vicino, malgrado la scarsa visibilità.
Ad un tratto cominciai a sentire più bestemmie del solito e capii che il mio amico si era piantato alla base del pancione che sbarra il diedro: "Oooh, vecio, non so più che fare" mi gridò Stefano dal punto in cui era, invisibile a me dal terrazzo di sosta. Ecco manifestarsi il peggiore degli incubi e anche la divina punizione per la coniglite di prima: il compagno, bloccato in un punto e distante in orizzontale così da non poterlo calare.
Così presi a chiedere: "gheto un ancorajo sicuro? Cossa vedi su?"-"ghe son du ciodi piantà int'una sfessa ma non riesso a tirarme su, spanza massa per tirar!"-"Ok, passa un cordino per legare insieme i due chiodi e recuperami lì".
Idea brillante: collegare due chiodi di progressione in ferro battuto piantati a pochi centimetri nella stessa fessura, il che significa nessuno dei due veramente buono. Fortunatamente il diedro era appoggiato e la probabilità di strapparli violentemente era bassa; improvvisamente sentivo anche una profonda fiducia nelle mie modeste capacità.
Giunto a lui, su un discreto gradino, guardai dove mi recuperava e vidi che era meno peggio del previsto, due ottimi chiodi in due buchi, così mi appesi e mi posizionai in modo tale da farlo salire su di me a guisa di piramide umana quando, sul punto di eseguire l'operazione, sempre con occhio vigile sui chiodi, disse: "ma varda ti che ghe jera l'appoggio...(immaginate)...maedetto!"-"massì vecio, ora so qua, montame pure in groppa (!!!) e va, che te frega...(immaginate)"-"Assa stare, co che o go visto lo fasso...", così Stefano si issò sulla tacca appena visibile e superò agevolmente lo strapiombo e poi mi recuperò su una sosta più sicura. Seguì una rampa di roccia detritica ed approdammo ad una forcella sulla sommità del pilastro. Meritata pausa di sosta e vestizione dato che cominciava a fare freddo.
La parte successiva consisteva in un oscuro e profondo camino che sbucava sulla cresta sommitale: più baldanzoso di prima lo attaccai facendomi però tentare da un chiodo e da un pianerottolo sulla sinistra che mi portò di nuovo in linea col grande diedro in mezzo a roccia strapiombante (scoprirò in seguito trattarsi della via originaria ormai abbandonata). Niente da fare, la roccia cominciava a farsi rotta e non si riusciva a distinguere qualcosa a più di 4-5 m; ridiscesi con circospezione e lasciai ripartire Stefano che era rimasto affascinato dal camino, conscio che il peggio fosse passato e si inerpicò lungo una fessura verticale di roccia resa ormai viscida e gocciolante dalla nebbia. Dopo qualche altra bestemmia arrivò in una nicchia completamente fradicia, mi recuperò ed immediatamente uscii a destra per raggiungere finalmente la cresta sommitale.
La parte successiva consisteva in un oscuro e profondo camino che sbucava sulla cresta sommitale: più baldanzoso di prima lo attaccai facendomi però tentare da un chiodo e da un pianerottolo sulla sinistra che mi portò di nuovo in linea col grande diedro in mezzo a roccia strapiombante (scoprirò in seguito trattarsi della via originaria ormai abbandonata). Niente da fare, la roccia cominciava a farsi rotta e non si riusciva a distinguere qualcosa a più di 4-5 m; ridiscesi con circospezione e lasciai ripartire Stefano che era rimasto affascinato dal camino, conscio che il peggio fosse passato e si inerpicò lungo una fessura verticale di roccia resa ormai viscida e gocciolante dalla nebbia. Dopo qualche altra bestemmia arrivò in una nicchia completamente fradicia, mi recuperò ed immediatamente uscii a destra per raggiungere finalmente la cresta sommitale.
Dopo un ultimo recupero della corda ci stringemmo la mano sulla cima e finalmente ci dedicammo al panino che avevamo trasportato fino a quel momento mentre la nebbia faceva per alzarsi e l'aria diventava più calda.
Molte volte sono arrivato in cima ad una montagna ma poche volte ho avuto una bella soddisfazione come quella volta sulla vetta del Baffelàn, immerso nella nebbia ma alla conclusione di una bella via; una di quelle rare occasioni di sintonia che si rivelano successivamente irripetibili.
Molte volte sono arrivato in cima ad una montagna ma poche volte ho avuto una bella soddisfazione come quella volta sulla vetta del Baffelàn, immerso nella nebbia ma alla conclusione di una bella via; una di quelle rare occasioni di sintonia che si rivelano successivamente irripetibili.
Non ho fatto neanche una foto della via...!
La mole del pilastro nord-est; nei pressi dello spigolo di destra corre la via Soldà-Bertoldi del 1928, foto fatta in un'occasione successiva.
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