Home Page

martedì 19 novembre 2019

WORK IN PROGRESS

WORK IN PROGRESS



Alcuni mesi dopo la prima volta, nell'aprile del 2010, ci fu un'uscita sulle Piccole Dolomiti, il gruppo di montagne frastagliate che troneggia i Monti Lessini, in provincia di Vicenza. L'obiettivo era lo spigolo est del Primo Apostolo, itinerario molto conosciuto nella zona.

Le Piccole Dolomiti, gruppo di montagne a cavallo delle province di Trento, Verona e Vicenza, è il più esteso gruppo delle Prealpi Venete e formato dal Carega (culmine dei Lessini), dalla catena del Sengio Alto (tra i passi di Campogrosso e Pian delle Fugazze) ed il noto massiccio del Pasubio con la sua "Strada delle 52 Gallerie". 
La catena del Sengio Alto, chiamata così per la forma frastagliata della sua cresta, puntellata di guglie e gugliette, è sicuramente la più frequentata dai rocciatori, anche per la solidità del calcare che la compone e gli accessi corti alle pareti. Il Primo Apostolo è la più a sud delle tre sommità rocciose che fiancheggiano il Baffelàn, grande e squadrata pala rocciosa ben visibile dalla pianura e palestra dei rocciatori vicentini fin dal 1908, anno della prima scalata della parete est del suddetto; 400 m di canali e camini levigati dall'acqua che impegnarono a fondo i coniugi Gino e Maria Carugati uniti ad Antonio Berti, cantore delle crode. Il Primo Apostolo, la cui sommità è un'insignificante gobba erbosa, presenta uno spigolo di roccia verticale molto estetico che fu vinto nel 1936 da Ottorino Faccio, forte scalatore vicentino attivo nella zona e nel resto delle Dolomiti, e da Francesco Snichelotto, tramite un itinerario di media difficoltà ancora oggi molto ambito.

Durante tutto l'inverno presi sul serio l'idea di un allenamento più sistematico e provai addirittura a fare un piano per progredire velocemente nella sicurezza della scalata, cosa che coinvolse pure Stefano, malgrado la magra riuscita della prima volta (inutile dire che i buoni propositi ci sono sempre ma poi bisognerebbe pure reallizzarli).
I mesi invernali passarono sulla plastica (quella per arrampicare, specifichiamo!) e a messaggi con Paolo sui progetti futuri in vista dell'estate (anche in questi caso i buoni propositi non mancano mai) che vennero ovviamente subito approvati "con gioia" dalla morosa di turno che sospettava stessi cambiando sponda (non so quale fosse la vera avventura, se lei o la montagna).

Dopo il ritrovo in una calda domenica di Aprile (che tanto gentile e tanto onesta pareva...), presso la mia umile dimora, si aggiunse anche un tipo scanzonato e proveniente dal Basso Polesine, già conoscente di Paolo, montammo tutti su una macchina e ci dirigemmo verso Recoaro per poi da lì proseguire su per la stretta strada a numerosi tornanti che, dopo "la Guardia", si dirige al Passo di Campogrosso. Sono contento, ripensando a quell'occasione, di aver ceduto il posto davanti a Paolo che si è fatto l'andata e il ritorno praticamente seduto in strada; di fatti, visti i tempi di trasferta, l'amico alla guida doveva aver attraversato un Wormhole tanto che ci ritrovammo a Recoaro nel giro di non tanti minuti.

Alla piccola galleria prima del passo ci attese la prima sorpresa: un'enorme valanga, caduta durante l'inverno, aveva lasciato un grosso blocco di ghiaccio che sbarrava completamente l'uscita della galleria e, com'è ovvio, in un punto piuttosto stretto della strada. Il nostro Terzo Uomo (d'ora in poi lo chiamerò così), persa d'un tratto tutta la sua goliardia e cominciò a manifestare i segni della crisi di nervi che da lì a poco si sarebbe manifestata; infatti tentò un parcheggio azzardato al centro della curva all'ultimo tornante con la scusa pigra che tanto la strada era sbarrata. Nell'arco di alcuni secondi salvo la situazione cominciò a farsi interessante: Paolo cominciò ad avere le ansie pensando alla multa dei vigili (e non aveva tutti i torti), il Terzo Uomo cercava di minimizzare e si impuntò nel non muovere la macchina ed io che agivo da ammortizzatore sociale (almeno nell'intenzione). 
Dopo l'aumento graduale del volume della voce dei due soggetti seguì un subitaneo momento di silenzio di forse un minuto ma totale e ricco di pathos, tanto che alla fine il Terzo Uomo rinunciò all'atto di forza (forse perché non era Shwarznegger e noi non eravamo, o almeno non sapevamo essere mutanti) e portò giù la macchina ad un piccolo parcheggio sito poco prima, con la nostra promessa di trovarci nello stesso punto.

Dopo un'attesa abbastanza pacifica, in cui Paolo continuò ad avere qualche ansia, entrambi decidemmo di avvantaggiarci portando su il pesante fardello dell'attrezzatura, tanto la strada era una sola e comunque il nostro altro componente sarebbe stato veloce (vatti a fidare dell'ovvio).
Trascorse quasi un'ora di lento e monotono cammino lungo la strada ancora in parte innevata fino alla svolta che portava al cospetto di sua maestà il Baffelàn. Intanto il nostro Terzo Uomo non arrivava, ed il tempo passava inesorabile; malgrado la neve a terra faceva già abbastanza caldo per la stagione, dalle montagne circostanti si levavano i tuoni di valanghe e frane dovute al disgelo e nei tratti piani si affondava rendendo particolarmente facile la blasfemia a noi schiavi oppressi dalle nostre colpe. 
Ad un certo punto, preoccupati per il tempo trascorso, decidemmo di ritornare indietro a cercare il nostro compare oramai dato per disperso quand'ecco, come un messia (dei poveri, molto poveri...), si fece avanti dal bosco la sua figura con fare un poco truce. 
Per la sensibilità del lettore tralascio gli improperi rivolti alla Santissima Trinità e a noi che non lo avevamo aspettato nel punto prestabilito e che era stato assalito dal timore di averci sbagliato o che ci eravamo persi (lungo una strada asfalto per autobus circondata da clivi ripidi, non ho ancora conquistato questa medaglia al merito ma mai disperare). Si vocifera tutt'ora infatti che nel bosco di Recoaro ci sia una casa di marzapane...

Risolto l'inghippo arrivammo infine alla meta (o alla Mecca), ossia all'attacco dello spigolo, ormai ad ora di pranzo tuttavia col morale ancora alto e decisi ad andare avanti con la nostra scalata. 
Dopo una minuziosa preparazione che aveva sortito l'effetto di annodare le corde il nostro Terzo Uomo  si offrì volontario per andare da capocordata, senza lasciare spazio a repliche e lasciando a me il compito di fare l'enigmista con le corde, il tutto giusto per mostrare a noi uomini la durezza del suo membro. 
Cominciammo bene: proprio perché la via è di difficoltà moderate, e perché in queste zone si ostinano a perseguire un'etica di attrezzatura degli itinerari attuale e sicura come l'andare all'assalto di un tank con arco e frecce (ma su cui tralascio di esprimermi) ebbene lungo la via gli ancoraggi non abbondano ma si richiede un pizzico di intuito e di ragionamento nel cercare i passaggi migliori e di proteggersi adeguatamente. Questo fatto trae sempre in inganno chi è abituato ad andare solo con corda scarpette e qualche moschettone. Ciò che seguì ovviamente non fece eccezione.
Il nostro Terzo Uomo partì quindi baldanzoso, ovviamente senza pensare che la superbia debba essere supportata anche da un'adeguata preparazione per non finire come un palloncino sui cactus. Infatti, egli superò di slancio il primo difficile passaggio (reso difficile dalla levigatura degli innumerevoli passaggi) e si diresse poi nel bel mezzo di una placca senza possibilità di salire e di scendere, incrodato. Ciò fu dovuto anche al fatto che il vero rocciatore cerca il difficile nel facile: cosa è quella scanalatura ben gradinata a confronto del liscio piombo che la rupe oppone al pettoruto maschio italico, orgoglio della patria e della razza?! 
Malgrado le indicazioni di Paolo che, anni addietro, aveva già percorso l'itinerario, e che incitava il virgulto (ormai retrocesso a ominide nella scala evolutiva) a spostarsi verso un tratto di più miti consigli non ci fu nulla da fare. L'unica soluzione per salvare "la capra" e i cavoli, a quel punto fu che partisse anche Paolo, lasciando il sottoscritto in retroguardia a fare sicura (psicologica) sotto la mitragliata dei sassi scagliati dagli altri due (quando si dice la sicurezza...!!). 
Dopo un po' di pena (e invocazioni generose all'Altissimo) il problema venne risolto e tutti e tre ci trovammo sulla prima sosta. Da qui in poi proseguì sempre Paolo in testa con me ed il Terzo Uomo ad alternarci da secondi lungo il resto dello spigolo, sempre bello solido ed esposto, col sole che lentamente degradava verso ovest allungando le ombre delle montagne in un cielo rosato e malinconico.
Arrivati alla cima dello sperone est del Primo Apostolo il nostro capocordata, sicuro di sé, ci fece slegare con la scusa "tanto il sentiero è qui" e con virile baldanza si diresse lungo i lastroni della cresta che collegavano il detto sperone con il sentiero di arroccamento delle creste del Sengio Alto; noi lo seguimmo a ruota ovviamente con le scarpe bagnate fradice e la roccia viscida e rigorosamente slegati perché, si sa, un morto è meglio che tre, la sicurezza prima di tutto! 
Arrivati fortunosamente al sentiero (sacramentando), lo seguimmo verso Campogrosso per pochi metri per vederlo sparire in mezzo a cumuli di neve e giustamente col sole ormai tramontava. 
A questo punto gli altri due si misero nuovamente a battibeccare su quale fosse il sentiero da seguire per raggiungere il più velocemente possibile Campogrosso, giusto mentre cominciava a tirare uno sbarzolino gelido su per i pantaloni. Visto che le due "aquile" non prendevano posizione allora raccolsi io l'iniziativa (a volte anche la ciurma deve essere indirizzata dal capitano) dirigendomi in linea retta giù dal pendio ed affondando fino al petto in alcuni punti, riuscendo però a risparmiare un sacco di andirivieni per raggiungere la strada del passo, ovviamente con i due che continuavano a sacramentare in lingue arcane per la fatica.
Il rientro a casa avvenne tra una goliardata e l'altra attraverso un nuovo wormhole, infatti in circa 40 aminuti eravamo già oltre Padova, con Paolo che nuovamente si trovò direttamente in autostrada, ma fortunatamente tutto andò bene. 
Dopo questo episodio non rividi mai più il Terzo Uomo che da allora (per fortuna) prese altre strade. Intanto ebbi la prima, vera, seria esperienza su una montagna e nelle condizioni in cui la trovammo mi sentii parte per un attimo di quel mondo che avevo sentito narrato e descritto nella mia infanzia.




immagine dello spigolo est del Primo Apostolo

autoritratto a Campogrosso

immagine in arrampicata lungo lo spigolo

I contenuti presenti sul blog “Alerossiclimbemusic” sono di proprietà di “Alessandro Rossi”.
È vietata la copia e la riproduzione dei contenuti in qualsiasi modo o forma.
È vietata la pubblicazione e la redistribuzione dei contenuti non autorizzata espressamente dall’autore.
Copyright © 2019 – 2024  “Alerossiclimbmusic”. Tutti i diritti riservati.”
Questa opera è protetta da <a rel="copyzero" href="http://www.costozero.org/wai/u2.html">Copyzero</a>.

Nessun commento:

Posta un commento

UNA GITA DOMENICALE

  UNA GITA DOMENICALE Via Vicenza al Baffelàn E' estate 2022, fa un caldo tremendo e l'Italia è secca.  Questo è il racconto di una ...