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venerdì 22 agosto 2025

LA SCALA IMPOSSIBILE DI PENROSE - Nuotando tra le croste del Lefre

LA SCALA IMPOSSIBILE DI PENROSE

Nuotando tra le croste del Monte Lefre


Nella vita si possono fare mille progetti ma quelli che poi andranno in porto sono sempre quelli a cui non si era minimamente pensato. Infatti l'idea di questa nuova e difficile via, nasce pensando a tutt'altra cosa, da tutt'altra parte. E' estate 2024 quando, mentre scendiamo dai Lagorai, il socio Moreno mi fa notare una grande parete grigia che emerge dai colli sovrastanti Ospedaletto. Sulle prime non ci faccio tanto caso, è brutta, è alta e remota ma scatto una fotografia perché non si sa mai. Tornato a casa comincio subito ad informarmi su che montagna sia quella che ho visto ottenendo di sapere solo una quota topografica e una vaga immagine satellitare, sapendo che dovrebbe trovarsi nei pressi di uno sgarrupato sentiero. Studio attentamente la foto che ho fatto e sembra che questa parete grigia abbia un certo interesse, almeno lo credo per sentirmi virile per qualche minuto, così la passo a Frank per sentire il responso, il quale arriva puntuale con un appuntamento a Villa Agnedo per vedere il farsi. Per essere sicuro di trovarci entrambi nello stesso posto stabilisco che ci si troverà l'indomani davanti al cimitero. E' un ottimo posto per cominciare i lavori, soprattutto di buon auspicio, il quale diventa assai desiderato nei momenti di maggiore fatica, in cui si rimpiange di essere nati e si chiede a sé stessi "perché non mi unisco anche io ai giusti?!". Il compare non è immune al fascino del camposanto e mi replica: "bene, almeno se qualcosa andrà storto, avremo già il posto per riposare!".
La mattina seguente ci troviamo al camposanto di Villa Agnedo: la giornata parte deprimente, a parte la vicinanza di coloro che riposano in pace, il meteo è instabile, ha appena smesso di piovere e la nostra parete è avvolta nelle nubi. Io e Frank ci guardiamo dubbiosi, chiacchieriamo di qualche stupidaggine, poi lui se ne esce di punto in bianco con un "andiamo!". Conosco le bizzarrie del socio e mi viene da ridere amaramente pensando alla benzina sprecata per il viaggio a vuoto, però mi allieta l'idea del bar e della birra: "forza, anche gli attrezzi devono andare a passeggio! Ma dove c***o andiamo che è tutto fradicio? - Beh, là!", si gira e mi indica la parete alle mie spalle. Io guardo dove mi indica e poi guardo lui perplesso, la risata mi passa di colpo: "mica sono venuto là per quella, ma per quella là!" e indico dall'altra parte della valle. Frank si gira, guarda l'orrida parete grigia, che adesso è nera e arcigna, accenna una smorfia decisamente schifata e afferma: "bah, là oggi non combiniamo nulla! A parte il fatto che è tutta bagnata, ma è anche bene in su, e mi sembra anche erbosa". Estrae il binocolo e scruta la parete, poi me lo passa e osservo con attenzione cosa ci aspetterebbe: si ha ragione, la parete ha un bell'aspetto se vista da lontano ma è completamente corazzata di cenge e toppe d'erba, segno anche di scarsa inclinazione. A differenza del Collicello, che era comodo vicino alla macchina, questa è pure lontana e l'unico punto promettente è un grande camino con un sinistro conoide ghiaioso alla base. Lasciamo perdere e mi giro a guardare la parete alle mie spalle: dalla nostra prospettiva sembra bella. Il Monte Lefre è una montagna imponente, molto complessa e circondata da muraglie strapiombante alte fino a 500 metri. Peccato che sia anche universalmente noto per essere di una friabilità leggendaria, tanto che ad oggi si ha notizia di una sola cordata che vi si sia avventurata, composta da Melchiori e Saint nel lontano 1954, lasciando una descrizione molto vaga e carica di orrori. Nel 2014 addirittura i comuni sottostanti organizzarono l'esplosione di un intero pilastro pericolante sotto le postazioni della vetta, i cui segni sono visibili ancora oggi. Insomma, parliamo della montagna dei desideri di ogni rocciatore!
Dico a Frank che non è una grande idea mettere le mani sul paretone giallo sotto la bandiera ma lui mi blocca dicendo che ha visto un interesse sulla punta più ad ovest, a forma di cupola e rigata da numerose rigole, di cui una più grande delle altre e con un vistoso tetto. Gliela indico subito e mi replica: "si dai, un bel diedro con anche un tettino, magari alla gente non piacerà ma il tettino è estetico". Anche in questa occasione, cadiamo come due pollastri sempre nel medesimo errore, ossia quello di non considerare la prospettiva nella quale ci troviamo e di prendere invece dei solidi punti di riferimento per calcolare propriamente le distanze che ci dobbiamo trovare a percorrere. Scopriremo, infatti, solo molto dopo che quel tettino era un bestia di svariati metri. In questo momento però non lo sappiamo ancora e ci avviamo in esplorazione con tanto di pesante fardello appresso e senza avere la più pallida idea di come approcciare la parete, ben difesa da un bosco molto fitto. Consulto brevemente Google Maps, che ho imparato essere uno strumento prezioso nelle sue fotografie satellitari, cosa che i nostri nonni avrebbero venduto l'anima al Diavolo per avere, trovando effettivamente una strada che si avvicina abbastanza alla montagna. LA mia visione però cozza inevitabilmente con quella di Frank che ha un momento di ispirazione e "sente" (non so dove ne come) che bisogna prendere la strada per la chiesetta di San Vendemiano. Guardo il Lefre sopra di noi e ho l'impressione che siamo un tantinello fuori rotta ma lascio perdere. Ci prepariamo rapidamente, come prima volta ho portato poco materiale, così ci avviamo nel bosco sopra la chiesetta. Dopo pochi passi che seguono una debole traccia siamo completamente persi: il bosco è molto ripido e fitto e non abbiamo punti di riferimento. Prendo l'iniziativa e mi oriento verso sinistra alla ricerca di uno spiazzo per poter vedere dove siamo e rinvengo una debole traccia che seguo per poco, prima che si perda anche questa. Frank prova a salire alla mia destra passando in mezzo alle ortiche, io lo seguo, bestemmiando e bestemmiandolo per questa scelta, poi ricominciamo a traversare a sinistra sempre su erto bosco. Tra le fronde degli alberi intravvedo qualcosa ma è sempre molto spostato. All'improvviso reperisco un'altra traccia che si fa largo nell'erba alta e passa sotto un gigantesco macigno che forma una grotta, buono come punto di riferimento e poco oltre trovo un ghiaioncino dove il bosco un po' si apre e finalmente riesco a vedere la montagna al di sopra di me: è circondata da diversi avancorpi che dobbiamo provare ad evitare, non ci voleva. Frank mi segue inizialmente lungo il ghiaioncino, poi traversa ancora lungamente a sinistra nel bosco fino a dove la rampa boscosa si fa ancora più ripida, al punto che sbraita: "adesso tiro fuori la corda!" e riprendiamo a salire maledicendo di essere nati. E' una gran fatica, bisogna salire puntando i piedi nella terra e sforzando continuamente gli alluci e i polpacci, due ore sono già passate, abbiamo le gambe finite e ho come l'impressione che oggi portiamo solo gli attrezzi a spasso, per davvero. All'improvviso noto un'altra colata ghiaiosa, meno marcata della precedente, che scende giù da un gruppo di alberi più piccoli e decido di seguirla, mentre Frank prova più a sinistra. Arrancando come un portatore nepalese che mette corde fisse per i suoi padroni, finalmente raggiungo una cengia dove all'improvviso si innalzano i muri rocciosi del Lefre: la vista è rassicurante, ovunque la roccia è grigia e solcata da rigole, mentre alla nostra destra una lunga fessura taglia lo zoccolo del grande diedro che abbiamo visto dal cimitero. Frank mi raggiunge bestemmiando e guarda verso l'alto: "bah, verranno cinque o sei tiri...!", al che io replico: "beh, dopo tutta questa fatica facciamoli, se la via è corta, qualcuno verrà a farla, piuttosto che venti tiri!" - "Si vabbeh, tutto questo bosco per una vietta corta, però dai, c'è il diedro...!". Ci prepariamo e do tutto il materiale da scalata a Frank in quanto voglio decisamente rilassarmi nel boschetto mentre lui esplora, senza scompormi, come un vero impresario che affida i rischi agli altri ma divide le glorie. Ovviamente non avevo la minima idea che in seguito sarei stato severamente punito per questa mia perfidia.
Frank osserva la fessura che si erge al di sopra di noi: è molto piena di erba e ci pare strano che nessuno abbia tentato di salire il diedro più evidente della parete, infatti gli dico scherzando che magari potrebbe trovare un chiodo appartenente a qualche tentativo e gli indico di salire una canaletta appena a destra del punto in cui siamo, così aggiriamo uno zoccoletto inconsistente. Si avvia su molto deciso per circa un metro e mezzo, poi con più circospezione, poi si immobilizza mentre io lo osservo perplesso: "non è per la difficoltà, è per la roccia...! - Si, certo va bene!" e tra me e me penso che la parete non convinca del tutto il compare, che sia troppo poco per lui. Estrae il martello e prova a saggiare la canaletta attorno a sé, come tira un colpo al labbro destro tutto il tratto di parete su cui sta salendo ha un sussulto, oltre al classico suono da cartongesso. Frank impallidisce e io prontamente mi sposto, così giusto per scaramanzia, ben intenzionato a non fare da cuscino umano. Riprova ancora ma tutto ciò che ha attorno è crepato e sobbalza ad ogni martellata, pare che la parete sia quasi fatta di gesso, la roccia si rompe con le dita, così il socio sale un altro metro nutrendo una flebile speranza di piazzare un ancoraggio e trova un punto in cui la roccia suona "piena", o quantomeno è un poco meno peggio che non sotto e fa entrare in azione il trapano. Piantato il primo fix, tiriamo entrambi un sospiro di sollievo, poi il socio sale più facilmente verso una grande scaglia addossata alla parete. Anche in questo caso batte col martello in ogni direzione ma trova solo marciume, al punto che ci domandiamo entrambi se la montagna non sia finta o non stia su per puro miracolo. Guardo la lama che sovrasta Frank e penso che la soluzione più ovvia sia di prendere la fessura di sinistra, ma presenta molta erba, mentre sopra ci sono delle fessurine. Il compare mi urla che vorrebbe proseguire dritto per le fessurine ma come prova a mettere un chiodo, qualcosa si sbriciola. Mentre mi bifonchia qualcosa io sposto lo sguardo a destra verso e vedo un'altra fessura, poco visibile e nascosta da un pino; sembra più pulita della sua gemella e più in linea con la spaccatura che vogliamo seguire, così urlo a Frank di traversare decisamente a destra e provare a raggiungere il pino. Inizialmente non lo vedo molto convinto ma mi ascolta e dopo un po' di battute violente contro la roccia pessima, vola giù una grossa scaglia e si libera un posto solido per piazzare un fix. Dopo averlo fissato si sposta un po' a destra su placca liscia e trova un bel blocco di roccia compatta e solida che chioda senza pietà raggiungendo l'agognata fessura. La vista della crepa è incoraggiante e la roccia migliora rispetto a prima, così egli la segue riempiendola di friend e posizionando qualche chiodo, prima di arrivare in cima alla scaglia e piazzare una bella sosta comoda. Ancora non lo sappiamo ma sarà l'unica di tutta la via. 
Per oggi abbiamo dato più che abbastanza e lasciamo su del materiale, quindi torniamo indietro ravanando ancora nel bosco senza trovare la minima traccia del passaggio fatto all'andata, bestemmiando e con l'ansia del buio in arrivo. Fortuna vuole che, arrivati ad un crinale, io scorgo un segno blu dell'acquedotto che ci riporta sulla giusta traccia per tornare alla chiesetta, altrimenti Frank sarebbe andato dritto fino al versante opposto del monte. Infatti questa volta mi segue senza proferire parola. Arrivati alla macchina incontriamo un tale del luogo che ci guarda con aria commiserevole, pensando che siamo avanzi di manicomio, poi, per pietà, ci spiega che esiste un sentiero che lui stesso ha tracciato e che si porta molto vicino alla nostra meta, il quale si imbocca da una stradina che parte proprio davanti al Castello Ivano. Lo ringraziamo mentre guardo Frank con un misto di odio e biasimo per le ore spese nel bosco ma faccio finta di nulla e ci dileguiamo velocemente, prima che si sparga la voce e al paese chiamino il servizio sanitario per farci un tso. 

Passano i giorni e, ai primi di Novembre siamo nuovamente all'attacco, questa volta seguiamo le indicazioni che l'indigeno ci ha fornito, riuscendo ad arrivare alla base in poco più di un'ora, contro la mattinata intera della volta precedente. Risalgo velocemente fino alla sosta che Frank ha piazzato la volta scorsa, poi lo recupero, insieme depositiamo la corda fissa, gli passo il materiale da salita e gli auguro ogni bene. Frank comincia con un traversino verso destra portandosi su una placca erbosa e poi ricomincia la solita routine: si batte la roccia per trovare un punto solido, si fa il buco, si batte dentro un tassello, si stringe la piastra, poi staffa e via ancora per il prossimo ancoraggio. La differenza con la volta precedente è che l'amico Fritz si arena dopo circa cinque metri in cui tutta, e dico tutta, la parete non suona solo come la gran cassa nella Sesta di Mahler, ma addirittura ad ogni martellata si vedono delle crepe allungarsi e dei pezzi saltare via in punti diversi. Frank mi guarda con un'espressione di chi è incerto se essere disperato e urlare o se essere deluso e incerto sulle proprie capacità. Metto da parte il sadismo che mi è insito e tralascio lo scherno, così lo incito ancora un poco a provare vicino all'erba dove magari c'è una vena di roccia solida ma nulla, tutta la parete è rotta, corazzata di croste pronte a sbriciolarsi appena una punta cominci a forarle. Preso dalla rabbia, il socio vorrebbe bucare tutto con una mitragliata di roba andando dritto su per la placca che lo sovrasta propendendo per la quantità anziché la qualità degli ancoraggi. Lo comprendo, però mi farebbe un tantinello schifo ridurre la nostra via in tale stato, così l'occhio mi cade verso destra dove noto una fessura parallela alla nostra, nascosta dall'erba. Il problema è che è distante da lui parecchi metri e nel mezzo c'è una grande scaglia erbosa inconsistente, seguita da un colatoio. Passato il momento delle risa sono un po' sconfortato, però guardando bene la sua posizione e l'attacco della fessura mi dico che forse c'è una soluzione. Mi rivolgo all'amico e gli dico la mia idea: "senti, prima di mandare all'aria tutto, già che sei lì, allungati con un cordino il chiodo a cui sei appeso, poi mettiti in tensione sulla corda mentre io io ti calo un po' per volta e poi pendola con decisione verso la fessura a destra, là la roccia sembra molto compatta". Devo dire che egli reagisce bene e non devo pregarlo come al solito, forse perché le croste lo avevano intimorito abbastanza, quindi esegue quanto detto e comincia a traversare a destra con la tensione della corda; avanza lentamente un passo dopo l'altro camminando su una crosta fragile come i biscotti da inzuppare nel latte e riprendere a battere col martello. Batte una prima volta e niente, la roccia si crepa; batte una seconda volta più a destra e ancora nulla; traversa in tensione ancora un metro ad uno stillicidio al centro del colatoio e batte per la terza volta trovando finalmente roccia ben compatta. Un fix entra subito in azione e poi si volge alla fessura: è una miseria, erba e croste tenute insieme dalla terra ma c'è anche della roccia compatta. Frank sale lungo la fenditura verticale a suon di chiodi e fix, scaricando una quantità importante di detriti ma alla fine raggiunge una grossa nicchia sotto il camino di uscita della fessura. E' andata, per ora, la via può proseguire. Ha impiegato un intero giorno per venire a capo di soli diciassette metri ma è andata; per fortuna io ero su una sosta relativamente comoda.
Ancora una volta ri-disponiamo tutto il materiale da scalata e scendiamo. Le due riprese seguenti sono senza storia, dedicate alla pulizia di quanto fatto fino ad adesso e al superamento del camino, un altro tratto orrendo per via delle croste ma che alla fine si lascia salire senza troppi patemi d'animo. Il bello sarebbe arrivato solo dopo. Già con le prime passate di scopa e martello, la parete rivela che le croste sono solo superficiali e che a volte sono particolarmente tenaci, fatte di argilla dura come la resina epossidica, che richiedono ore di lavoro di battitura col mazzotto per essere rimosse. Meglio così dunque, vuol dire che non costituiscono un serio pericolo se non per il piazzamento degli ancoraggi di progressione.

Passano alcuni giorni, è ormai Dicembre e nevica. Frank mi scrive che ha il sabato libero e che vuole andare avanti, io mi dimentico completamente di guardare le previsioni meteo in dettaglio e lo seguo, arrivando come di consueto sul luogo dell'appuntamento, trovandomi davanti alla sorpresa di una Valsugana completamente imbiancata e con nuvole basse, oltre ad una bella arietta friccicarella a -8°C. Dico al socio che forse sarebbe meglio scaldarsi al bar e che oggi è andata a finire male ma lui insiste che qualcosa si può fare lo stesso. Non so bene per quale motivo lo assecondo, forse per una questione di ego, ma lo seguo e insieme torniamo sulle corde fisse. La marcia di avvicinamento nel bosco, assai penosa per via del fango, ha l'indubbio pregio di riscaldarmi, così che non senta troppo i diversi gradi sotto zero della giornata. Risaliamo le corde fisse e arriviamo all'uscita del caminetto, su una sottospecie di sosta su di una lastra inclinata, che Frank mi decanta come se fosse un posto al pub. Io non sono affatto convinto e mi allungo quel che basta da poter appoggiare un piede su una motta di fango che ha la parvenza di essere piatta. Non ricordo esattamente quel che succede dopo, solo il fatto che il socio bifonchia qualcosa a cui non do peso e, pur di non dovermi muovere in quell'incubo gocciolante che è la parete come si presenta in questa strana giornata, lo "offro volontario" a partire con armi e bagagli. Quello che accade dopo è, per il punto di vista di un osservatore esterno, qualcosa di assolutamente normale, un primo che scala e il secondo che lo assicura, con pochi scambi di battute per tutto il giorno. Quello che accade davvero per chi invece vive la situazione sulla propria pelle, è un vero castigo, la meritata punizione per la codardia dimostrata nelle fasi precedenti dell'apertura. Tanto per cominciare la partenza: come Frank accenna ad alzarsi dalla sosta per imboccare una sorta di canaletta lungo lo spigolo del diedro, subito una crosta delle dimensioni del nostro sacco di materiale si muove in modo preoccupante e tutto quello che la circonda suona vuoto. Lo spavento è tale che ci diamo una bella scaldata, quasi a sudare, malgrado la temperatura glaciale. Per il momento la lasciamo lì, anche perché correremmo il rischio di farla cadere proprio sul nostro materiale da scalata, il che sarebbe un disastro. Passato questo momento emozionante, inizia la vera lotta: il cielo resta sempre plumbeo, non c'è un raggio di sole e la temperatura che si scalda all'incredibile e piacevole temperatura di -6° C, la parete resta bagnata, umida con la neve che si fa molliccia e si scioglie, malgrado il freddo, per qualche fenomeno termodinamico ignoto alla scienza (evidentemente lo scarso irraggiamento solare è più che sufficiente). Frank procede ad una lentezza quasi esasperante, lungo il solco della canaletta estremamente liscio e umido, io resto in piedi sulla motta di fango guardando verso l'alto. A mano a mano che le ore passano, si alza una corrente d'aria, giusta per peggiorare la sensazione di freddo che mi pervade. Inizialmente permane il calore sviluppato con la risalita e le manovre, poi comincio a patire sempre di più. Mi vesto mettendomi quanto di più pesante abbia a disposizione che però non basta, il freddo mi morde anche dentro il piumino; a questo aggiungiamo che dopo un po' non sono più in grado di stare eretto sulla motta di fango e perciò mi sposto sulla lastra inclinata della sosta, letteralmente appeso come un salame. Col passare delle ore viene il pomeriggio, il vento cresce di intensità, al punto che anche Frank, alcuni metri più su, comincia a battere i denti, si volta, mi guarda e mi dice: "se continua così, non so quanto ancora resisterò!". Mi sento sollevato, di solito procede come un trattore dritto per la sua strada, ma questa volta il freddo è davvero insopportabile. Per ora comunque va avanti, malgrado il vento. Si fa ormai pomeriggio inoltrato e ormai le mie gambe sono rigide e indolenzite, l'imbragatura mi taglia i fianchi e il freddo mi procura crampi alle mani. Fortuna vuole che in quel momento esca il primo spiraglio di sole di tutta la giornata e il vento cessi come d'incanto. Il sollievo è però solo momentaneo e solo per il socio che arrampica, non per me; almeno conclude il tiro su una lastra inclinata pure peggio di quella dove sono adesso. Quando scende e mi raggiunge, mi confida: "guarda, per fortuna che si è scaldato perché c'era un freddo...! Povero te che sei stato su questa sosta di m***a ad aspettare!" (bontà sua!). Posso affermare che questa volta ho pienamente compreso cosa significhi affrontare un'invernale, con lo spirito di una volta; c'è molto romanticismo nella letteratura!!!!

Alla ripresa successiva fa sempre freddo, ma almeno c'è il sole (così promettevano le previsioni), pertanto tutto si svolge come da copione e ci ritroviamo all'ultima sosta piazzata, lungo lo spigolo del diedro. Da questo esso punto appare immenso, dritto come potrebbe esserlo un obelisco, con il famoso "tettino" a sbarrare la strada, che da qui si vede perfettamente essere un ostacolo di prim'ordine. Riprende a salire Frank come di consueto, io mi terrò semmai per la parte successiva più "artificiale" della scalata, Quello che gli tocca oggi è, senza probabilità di dire sciocchezze, il tiro più marcio di tutto il Monte Lefre, di tutta la Valsugana, di tutte le Prealpi italiane, pertanto sono ben contento di starmene in sosta a gustarmi lo spettacolo, anche se ciò significa soffrire. Ancora una volta l'amico si sposta verso destra per cercare un passaggio, saggia la roccia e poi si alza lentissimamente sulla placca sovrastante che è letteralmente corazzata di croste che si sbriciolano solo a sfiorarle col martello. Passano parecchie ore durante le quali il socio si apre la strada in mezzo a tutto il marciume, facendomi piovere addosso di tutto e di più, mentre io lo canzono  di usare le staffe sul terzo grado. Mentre egli procede verso l'alto, il vento si rafforza improvvisamente e il freddo torna a farsi sentire, fortunatamente c'è ancora il sole limpido ma è comunque fastidioso. Per curiosità butto l'occhio oltre lo spigolo del diedro e vedo perché tira vento: una bufera di neve sta arrivando dritta dritta verso di noi, precipitando giù dai Lagorai. Caccio un urlo a Frank dicendogli che tra poco avremo il maltempo addosso e che comunque siamo in Gennaio; lui, col solito fare laconico di chi si rassegna al suo ineluttabile destino mi risponde: "ma tanto le previsioni di Borgo non danno pioggia! Vedrai che non fa niente!". Sarà anche, ma il dubbio è legittimo. Intanto il socio raggiunge una cengetta fuori dalla mefitica placca e comincia a traversare a destra, tirando giù un macigno dietro l'altro, uno dei quali mi passa pericolosamente vicino; io allungo il collo oltre lo spigolo e vedo il cielo farsi scuro, con nuvole di un bianco quasi abbagliante, segno che sono cariche di cristalli di ghiaccio. Mentre il socio è impegnato nella lotta alla rupe, cominciano a fioccare i primi cristalli e, dietro la nostra montagna, i Lagorai spariscono nelle nubi della nevicata. Comincio a diventare impaziente e sollecito il compare a darsi una mossa perché la situazione si sta rinfrescando! Dopo momenti di grave incertezza, in cui le nostre parole si sono perse nei turbini del vento, sento distintamente il richiamo della nuova sosta, ora spetta a me la solita manovalanza di risalita, piazzamento delle corde fisse e dei vari cordoni, almeno mi sgranchisco un po' le gambe dopo un'altra giornata bloccato in posizione improba. Raggiungo Frank nel centro del diedro che ormai è pomeriggio e gli dico cosa si sta scatenando sul versante opposto del monte ma devo anche ammettere che per una volta ha avuto ragione a fare finta di nulla, infatti il vento cala di intensità e la tempesta di neve devia totalmente verso i Lagorai, lasciandoci al sole. Ovviamente mi risponde: "te l'avevo detto che le previsioni di Borgo non davano pioggia!". La vista di ciò che abbiamo di sopra è abbastanza desolante: tutto il centro del diedro che dovremmo seguire è occupato da erba grassa e rigogliosa, che ci costringe quindi da arrampicare con immensa fatica sulle pareti laterali. Frank fa ancora qualche metro prima di lasciare l'impresa a tempi migliori, quindi ci caliamo e torniamo a casa. 

A questo episodio seguono un altro paio di riprese in cui puliamo un po' le lunghezze appena percorse e finiamo di scalare il grande diedro grigio che ci porta direttamente sotto i gialli strapiombi che rappresentano la vera incognita della salita, dopodiché Frank fa una cosa che mi rompe alquanto le tasche, ma su cui taccio perché tutto sommato la via deve proseguire, ossia un giorno infra-settimana se ne va su da solo e chioda un altro tiro. Vabbè, vedremo il da farsi dopo questa nuova sezione. Non passa molto tempo e siamo nuovamente su entrambi, nel cuore del diedro strapiombante. La sosta da cui partiamo è talmente misera, che non ho dubbi nell'identificarla come la peggiore di tutta la via; per di più non c'è spazio per potersi scambiare i ruoli e la risalita delle corde fisse comincia a farsi sentire. Tra l'altro oggi Frank è particolarmente impaziente, pertanto non ho voglia di rogne e gli cedo il passo. Il socio comincia a scalare la fessura giallognola al centro del diedro, intasata di croste e di terra, andando avanti dieci centimetri alla volta, mentre io sono torturato in una posizione assolutamente improba, con un piede su una minuscola tacca, un piede in pressione nel diedro e faccio contrapposizione con la sosta per riuscire a stare in equilibrio, in quanto sono in una strettoia dove non riuscirei a stare appeso. Mentre Frank scala il diedro le ore passano con una lentezza assolutamente esacerbante, quasi da impazzire, l'imbrago mi taglia i fianchi più del solito, lo sento mordere direttamente le mie carni, le gambe stentano a rimanere dritte e i tendini fanno sempre più male. Il punto chiave del tiro che oggi stiamo facendo è un tetto da cui cola uno stillicidio, tutto intorno la roccia è liscia come una lavagna e Frank lo supera riuscendo a martellare due buoni chiodi in minuscoli buchetti. La parte sovrastante, tuttavia, non è da meno e sento distintamente un "c'è la parete che è fatta di segatura!", seguito da una sequenza di bestemmie che si fanno via via più vaghe e informi a mano a mano che la corda fila. Dopo cinque interminabili ore, finalmente sento chiaramente un: "c'è un terrazzino! Aspetta che lo disgaggio!", salvo poi udire un porcone galattico quando sotto la terra e l'erba la parete ritorna liscia come il vetro: "vabbè, la sosta verrà scomoda!". Ma che novità! Intanto però abbiamo raggiunto l'enorme "tettino", che a guardare bene sporgerà di cinque o sei metri dalla verticale ma che lascia intravvedere un passaggio alla sua destra molto logico, senza doverlo affrontare di petto. E' tutto sommato una buona notizia. Risalgo fino a lui con grande fatica, dolente perfino nei gomiti, porto il fardello e sistemo le corde fisse, poi entrambi ci caliamo giù sapendo che la risalita successiva potrebbe essere decisiva. A causa di impegni vari, non riusciamo a trovarci sistematicamente tutti i sabati, tra l'altro si sta avvicinando la primavera e con essa il grande caldo, che renderà impossibile salire la parete, ben peggio che il freddo, quindi diventa adesso imperativo uscire dal diedro e terminare la salita della parete verticale. 

La ripresa decisiva arriva, eccome se arriva! Ci tocca, anzi mi tocca, una levata prima dell'alba, un cospicuo rifornimento di fix, il ritrovo direttamente al parcheggio sotto la via per poi risalire gli ormai trecento metri di corde fisse fino all'ultima sosta lasciata, una risalita lenta e faticosa, resa insidiosa dalle scaglie di roccia che non bisogna toccare. Ci ristabiliamo entrambi sulla sosta appesa che Frank ha preparato la volta scorsa, lo lascio andare nella speranza che si sbrighi, ma soprattutto mi approprio del suo seggiolino e mi appollaio sulla sosta che, per una volta, riesce ad essere perfino sopportabile, rispetto alle torture delle volte precedenti. Il socio chioda una placca liscia ma appoggiata e poi si sposta a destra per aggirare il grande soffitto pervenendo così ad un pulpitino sotto l'ultimo grande tetto del diedro, che da sotto non sembrava nemmeno granché. Lo raggiungo velocemente e porto tutto il materiale, la mattinata è già trascorsa ma c'è ancora tempo per finire l'opera, alla peggio torneremo giù con le pile frontali. Frank riparte lungo la placca gialla liscia e verticale sopra il grande soffitto e comincia a portarsi sotto un tetto nero, orizzontale, che sbarra l'uscita del diedro, proprio quando al di sopra si intravvedono le frasche dei pendii sommitali. A metà tiro il socio vorrebbe chiodare dritto un arcigno strapiombo giallastro ma io insisto che sarebbe più corretto continuare nella compatta incavatura tra placca e parete del diedro, più scalabile e più compatta, scelta che si rivela azzeccata perché la roccia tiene sempre, a parte una breve scaglietta. Dopo la consueta lunga attesa finalmente Frank riesce a piazzare la sosta all'uscita dell'immenso diedro del Lefre, io lo raggiungo velocemente e piazzo le corde fisse per poi studiare l'uscita in un secondo momento. E' fatta, siamo riusciti a finire la scalata della parete in tempi utili, adesso tocca finire la pulizia e cavare tutto il materiale lasciato in parete. Rientriamo soddisfatti dopo la lunga giornata passata appesi nel mare di croste precarie di questa montagna ma siamo riusciti a venirne a capo. E' stata una via continuamente tormentata dall'idea che si giungesse ad un certo punto da cui fosse impossibile poi proseguire a causa della friabilità della roccia, invincibile anche al trapano, ma che alla fine ci ha regalato una linea ideale, tracciata dalla natura, che pochi hanno ancora il privilegio di poter percorrere al giorno d'oggi. 
Nei mesi successivi approntiamo una discesa in corde doppie, valutando l'idea di proseguire lungo l'ultima balza della parete, molto erbosa e friabile, o di terminare la via lì, all'uscita del tratto verticale di parete. Scioglieremo successivamente questo nodo ma per il momento siamo contenti del risultato. Il nome scelto per la via, "la scala di Penrose", fa riferimento alla figura impossibile che il matematico britannico disegnò ed inviò all'amico Moritz Escher, che ne trasse un quadro e che calza alla perfezione alla forma del diedro che abbiamo scalato. 

La scala di Penrose I tiro
Apertura del primo tiro

Uno dei tratti chiave della Scala di Penrose
Apertura del secondo tiro, molto sporco e crostoso

La Scala di Penrose quarto tiro
Apertura della canaletta nella freddissima giornata di Dicembre

Grande diedro del Monte Lefre
Il grande diedro grigio

Strapiombi del Monte Lefre
Il diedro che ha richiesto ben 5 ore ad essere vinto

Tetto finale della Scala di Penrose
Il tetto finale del grande diedro

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lunedì 28 luglio 2025

CHOPIN - Preludes op. 28

CHOPIN

Preludes op. 28


Penso che sia inutile descrivere chi fosse Chopin, allo stesso modo di quanto sarebbe inutile descrivere chi siano stati Mozart e Beethoven. Chopin (1810 - 1849) è, tuttora, il compositore romantico per eccellenza, anche se per molti aspetti è più classico di quello che sembra ad un primo approccio, ed è stato uno dei grandi innovatori della storia della musica. Infatti, come è possibile dividere la storia dell'arte da un prima e un dopo Beethoven, lo stesso si può dire al riguardo del fatto che c'è stato un prima e un dopo Chopin. Sottolineo dell'arte in generale e non della sola musica perché i riferimenti al polacco fioccheranno da tutti i campi, letterari e pittorici, dopo il suo breve passaggio terreno.
Prima di Chopin esisteva il pianoforte come uno qualunque degli strumenti da intrattenimento con un repertorio di composizioni abbastanza standardizzate e che si cominciava ad affrancare dal suo ruolo di accompagnatore e di supporto per gli esercizi solo grazie agli sforzi di Mozart, Clementi e Beethoven (un po' meno di Haydn), partendo da circa una trentina di anni prima della sua nascita. Sempre prima di Chopin, il repertorio pianistico contava solo sonate a 2, 3, 4 movimenti, un certo numero di variazioni, qualche composizione breve scritta per qualche sparuta occasione e diversi concerti scritti nel corso del XVIII secolo, di cui solo quelli di Mozart e Beethoven sono rimasti nel repertorio fino ai giorni nostri (gli altri sono letteralmente stati inghiottiti dall'oblio del tempo).
Dopo Chopin (anche se, a voler essere giusti ed imparziali bisognerebbe dire dopo il "periodo" in cui visse Chopin, costellato anche da una serie di compositori oggi completamente dimenticati ma che al tempo godevano di una certa fama, come Hummel), il repertorio pianistico si è trovato ad aver acquisito tutta una serie di altre forme musicali, lunghe e brevi, alcune scritte specificatamente per l'esibizione, altre molto più intellettuali, le quali hanno portato il pianoforte, ormai completamente sviluppato meccanicamente, a diventare il "re" degli strumenti. 
Ovviamente, come citato in precedenza, non è stato lui solo a portare un cambiamento così radicale non solo nella pratica dello strumento ma anche nell'abitudine di comporre, ma è stato il compositore la cui fama ha forse accelerato di molto il processo già iniziato dai suoi predecessori.
L'arte di Chopin, come già accennato in precedenza, è ancora molto classica per certi aspetti che si vedranno in seguito, ma si esprime al meglio nelle forme brevi e libere di cui i ventiquattro Preludi op. 28 costituiscono, secondo me, l'apice assoluto nel genere (infatti questi preludi faranno scuola per le generazioni successive).
Andiamo però con ordine: cosa sono i Preludi op. 28 e perché la loro innovazione è così dirompente?
I preludi, come suggerisce il titolo stesso, sono composizioni brevi che fungono da introito per qualcos'altro, oppure sono brevi improvvisazioni riportate su carta, valide per diverse occasioni, come ad esempio un bis ad un concerto. Col tempo, a partire proprio da quelli qui descritti, divengono vere e proprie composizioni fine a se stesse e che possono essere unite a piacimento a formare dei cicli da concerto o da semplice intrattenimento o ancora da studio. Questi non sono i primi esempi di preludi nella storia, infatti ci sono dei precedenti illustri da cui il polacco ha attinto per creare la sua raccolta: l'esempio più eclatante è costituito dalle due serie di Das Wohltemperierte Klavier di J. S. Bach, scritte rispettivamente nel 1722 e nel 1744 e costituite da coppie preludio-fuga in tutte le tonalità del sistema a temperamento equabile di A. Werckmeister, partendo da Do maggiore e ascendendo verso l'acuto dell'ottava, procedendo per semitono. Chopin conosceva bene le raccolte, costituendo esse alcuni dei suoi brani di studio tecnico e di riscaldamento. Altro esempio sono i ventiquattro preludi di J. N. Hummel op. 67, brevissime improvvisazioni in tutte le tonalità, ordinate per quinte ascendenti, oppure i Preludi ed esercizi di M. Clementi, tutti sempre ben noti al compositore. 
A differenza però dei suoi predecessori, Chopin non scrive un'opera didattica ma una sorta di ciclo di miniature, ben definite, che mimano l'arte che lo circondava al momento della stesura e la condensano in un'unica opera. Se infatti li esaminiamo bene, è difficile non pensare di come al suo interno vi siano Beethoven, Schubert, Liszt, Mozart e altri. Certo, individuare le citazioni con precisione sarebbe un compito assai arduo e opinabile, ma certi passaggi suonano davvero molto "alla maniera di...." e non ci sarebbe nulla di strano se lo fosse. La rielaborazione di tali citazioni, poi, è talmente personale da renderla comunque qualcosa di originale, per cui è abbastanza inutile specularvisi sopra.
Purtroppo, quest'opera, come quasi tutte quelle di Chopin (per non parlare di quelle di Liszt già descritte in Studi Trascendentali) è stata soggetta ad una tale opera di depredazione, svalutazione, saccheggio e abuso da parte di due secoli di pianisti, che oltre ad eseguirli nelle maniere più disparate, vi hanno scritto pure fiumi di parole sopra e l'anima stessa della composizione è stata così seppellita da una spessa coltre di pattume. Soprattutto le esecuzioni sono divenute una piaga; esse sono divenute talmente tante che quasi ogni pianista ha voluto incidere la sua interpretazione di questi poveri preludi, arrivando a farli diventare nauseabondi anche al fan più sfegatato (probabilmente risulterebbero indigesti allo stesso compositore). A mio gusto personale, solo due sono le registrazioni dei Preludi che veramente hanno lasciato un segno: quella su rulli Duo-Art di Ferruccio Busoni e la prima sessione (1926) di Alfred Cortot. I rulli di Busoni sono come l'apparizione di un fantasma, per citare Lovecraft una "ombra calata dal tempo", in cui il pianista italiano si appropria della musica del polacco e la trasforma in qualcosa di molto personale, anche se l'effetto complessivo ne risulta un poco sofferente, a causa di qualche idiosincrasia dovuta al sistema meccanico. E' un peccato che oggigiorno questa esecuzione non piaccia ma è molto genuina e ottocentesca e i vistosi "rubati" di tempo, che danno una grande cantabilità alle melodie, lasciano sicuramente un segno indelebile nell'ascoltatore. L'esecuzione di Cortot è invece all'esatto opposto, molto francese, alternando momenti di freddezza ad altri più passionali, sempre mantenendo un livello di concitazione tale da catturare l'attenzione dell'auditore e senza momenti morti. Probabilmente queste esecuzioni sono lontane dalla prassi di Chopin, stando ai recenti studi del professor Wim Winters, però raggiungono un momento di assoluta elevazione artistica nell'arte dell'esecuzione pianistica.
E' giunta quindi l'ora di tornare alle origini e di apprezzare il genio che si nasconde dietro le miniature.
I Preludi di Chopin, come già detto, sono ventiquattro e ordinati per tonalità disposte secondo quinte ascendenti Do - Sol - Re - La - ecc. e relative minori. Non vi è alcuna continuità tra un preludio e l'altro tranne il fatto che siano accoppiati spesso per emozioni contrastanti, con un preludio veloce, ansioso e irruento, l'altro tranquillo e sereno. Essi non sono il frutto di un unico momento creativo per soddisfare un'occasione speciale ma il frutto di una lunga meditazione durata otto anni dal 1831 al 1839.
Essi sono: 
  1. Do Maggiore (Agitato);
  2. La Minore (Lento);
  3. Sol Maggiore (Vivace);
  4. Mi Minore (Largo);
  5. Re Maggiore (Allegro molto);
  6. Si Minore (Lento assai);
  7. La Maggiore (Andantino);
  8. Fa# Minore (Molto agitato);
  9. Mi maggiore (Largo);
  10. Do# Minore (Allegro molto);
  11. Si Maggiore (Vivace);
  12. Sol# Minore (Presto);
  13. Fa# Maggiore (Lento);
  14. Mib Minore (Allegro);
  15. Reb Maggiore (Sostenuto);
  16. Sib Minore (Presto con fuoco);
  17. Lab Maggiore (Allegretto);
  18. Fa Minore (Allegro molto);
  19. Mib Maggiore (Vivace);
  20. Do Minore (Largo);
  21. Sib Maggiore (Cantabile);
  22. Sol Minore (Agitato);
  23. Fa Maggiore (Moderato);
  24. Re Minore (Allegro appassionato).
La scrittura dei Preludi, come la stragrande maggioranza delle composizioni di Chopin, è abbastanza scarna, limitandosi a fornire solo le indicazioni fondamentali quali qualche dinamica, l'agogica e qualche segno di accento dove serve, talvolta una qualche evidenza alle voci interne (questo è un modo di scrivere molto classico, assai vicino al primo Beethoven). Dopo la prima pubblicazione, qualche editore ha provato a dare qualche titolo ai componimenti al fine di aumentarne le vendite ma con scarso successo, i Preludi restano senza titolo e la disposizione, così come il numero d'opera, sono voluti dall'autore stesso.

1) Do Maggiore - Agitato

E' l'apertura della raccolta (in questo caso non me la sentirei di chiamarla suite, i legami tra un pezzo e l'altro sono assai effimeri e speculativi), un guizzo breve e dalla melodia poetica ma ritmicamente molto interessante. Certuni hanno voluto vederci una citazione diretta del primo preludio del vol. 1 di Das Wohltemperierte Klavier di Bach, ma a parte la tonalità e la disposizione delle parti in ampi arpeggi, i due pezzi non hanno assolutamente nulla in comune. Infatti, il preludio di Bach è costruito su degli accordi arpeggiati, formanti una cellula ritmica che si ripete regolare molte volte fino all'ultima battuta; tutto il carattere del brano è dato esclusivamente dall'armonia contenente di volta in volta dissonanze più o meno forti. Il preludio di Chopin, al contrario, non è costruito solo su accordi arpeggiati ma su una melodia sincopata che traccia due picchi molto evidenti sia in intensità sonora che in altezza, dando un senso di compiutezza al pezzo che pur si svolge nell'arco di pochissime battute.
Il primo preludio è un Agitato in 2/8 su un totale di 34 battute. Esso è scritto su 3 linee melodiche, le "voci", ben distinte e di cui una è un breve arpeggio del basso alla mano sinistra che scandisce l'armonia, la seconda è la vera melodia ed è sincopata, partendo sempre un sedicesimo in ritardo sulla battuta e poi c'è la voce acuta che, con le altre due voci, completa l'armonia. 

Chopin Prelude 1
La prima frase del preludio

Il pezzo è composto di sue sole frasi: la prima è di 8 battute e sostanzialmente propone timidamente un'idea musicale che nelle successive 26 battute viene iterata con cromatismi fino al culmine di battuta 21 per poi discendere nuovamente nella regione grave della tastiera e lasciare che l'impulso si spenga portando a compimento la composizione. 

Coda Chopin prelude 1
Culmine e finale

Le dinamiche sono quasi assenti, tranne un generico "forte" all'inizio, perché in questo caso si "suona come si canta", assecondando il sentimento che viene ispirato dai suoni, ciò rende questo preludio l'essenza stessa della musica, in sole 34 battute. Per concludere, il primo preludio è una sorta di climax a 3 voci che miniaturizza una scena lirica compiuta in pochissime battute ed è autoconclusivo, senza in alcun modo allacciarsi a ciò che viene dopo.

2) La Minore - Lento

Il secondo preludio è esattamente l'opposto del precedente, come carattere, costrutto armonico e melodico, dinamica. Il preludio è in 2/2, Lento e con un totale di 23 battute, formato da un tappeto di accordi pesanti e gravi che accompagnano una melodia in registro medio nella scala melodica di La minore. Differentemente dalla composizione precedente, il secondo preludio è formato da un'unica frase che si ripete per tre volte su tre diversi accordi della tonalità di impianto, senza mai affermarla decisamente fino alla battuta finale, mostrando così una grande inventiva armonica, decisamente inusuale sia per Chopin che per il momento storico.
Il preludio inizia con 4 battute di pesanti accordi gravi che definiscono l'accompagnamento e sono formati dalla sovrapposizione di due linee melodiche di cui una accenna il tema del dies irae gregoriano (si-la#-si-sol) mentre l'altra riempie l'armonia. 

Chopin prelude 2
Inizio del Preludio con evidenziate le note del Dies Irae

L'inizio è piuttosto enigmatico: compare un accordo di Mi minore, col sol naturale, che lascia indefinita la tonalità d'impianto e non fornisce nessun riferimento. L'inserimento della melodia alla terza battuta, che poi si appoggia su un Sol Maggiore, rende ancora più ambiguo l'insieme. Dopo 7 battute la melodia si ripete partendo da un Si Minore per spostarsi a Fa# Minore. Esaminando attentamente la successione di accordi impiegati, si può dedurre che Chopin stia giocando con i "modi" (la mancanza di un 7° grado, la sensibile), accostando tra loro gli accordi delle dominanti secondo l'uso consueto ma rimanendo in una zona di incertezza tonale che, con le appoggiature varie sembra quasi jazzistico. Alla terza ripetizione (btt. 14 e seg.) la melodia ricompare più decisamente sulla scala di La Minore mentre si va delineando un accordo di 9a di dominante con una sensibile (sol#) che finalmente compare in chiusura nelle ultime 2 battute a confermare la tonalità di impianto del pezzo. 

Chopin prelude 2, ending
Ultima apparizione del tema

Confrontando questo preludio con altre opere del polacco, emerge quasi la miniatura di un notturno, per le tinte fosche, ambigue e la melodia limpida, solitaria e oscillante tra tonalità lontane, con la dinamica che prescrive sempre piano per l'intera durata della composizione. Molta musica successiva a questo pezzo avrà caratteristiche simili, come le composizioni brevi di Satie e il preludio in Do# minore di Gershwin.

3) Sol Maggiore - Vivace

Il terzo preludio è un pezzo semplice, quasi un'improvvisazione trasposta su carta e per la precisione è un moto perpetuo che funge quasi da studio per la mano sinistra. E' un componimento di 33 battute, in 4/4 e Vivace in cui l'impulso, ossia il soggetto, è dato dalla rapida figurazione di 4 quartine di semicrome che fa da accompagnamento e che racchiude anche gli accordi formanti l'armonia di base, mentre la mano destra suona una melodia di terze e seste, sempre in Sol Maggiore. La struttura del pezzo riprende quella del primo preludio con 11 battute di proposta a cui segue una sorta di risposta che porta alla conclusione, prima di una codetta virtuosistica con una specie di volata.

Chopin prelude 3
Inizio del Preludio n. 3

Questo preludio è stato in passato paragonato al volo degli uccelli, paragone quanto mai azzeccato visto il suo carattere spensierato, leggiero e volante sulla tastiera. La sua difficoltà esecutiva è data principalmente sia dalla figurazione che deve suonare la mano sinistra che dall'arpeggio finale. Per la sua scrittura, il preludio assume quasi le caratteristiche di uno studio.

4) Mi Minore - Largo

Come per il precedente La Minore, questo preludio esprime un forte contrasto col predecessore: ritorna, come è tipico nello stile di Chopin, la melodia monolitica e secca alla mano destra, il canto, mentre la sinistra esegue un accompagnamento armonico di pesanti accordi. Il quarto preludio è in 2/2 e Largo, con un "piano espressivo" come indicazione dinamica. Alfredo Casella paragona questo componimento all'Arioso della sonata n. 31, op. 110 di Beethoven e mi trova completamente d'accordo, anzi aggiungerei anche dei richiami agli Improvvisi op. 90 di Schubert, come il Trio di quel famoso n. 4 in La bemolle Maggiore. Malgrado consti di sole 26 battute, questo preludio, come il secondo, gode di una grande ricchezza armonica ottenuta dal moto cromatico discendente delle parti interne degli accordi che, con la melodia, formano delle dissonanze assai ardite anche per Chopin. Queste vengono addolcite notevolmente dalla sapiente disposizione degli accordi in cui gli stridenti urti di semitono si vengono a trovare a distanza di un'ottava, mentre i tritoni derivanti dal moto delle parti gravi restano in secondo piano rispetto al canto, senza disturbarlo. 
Strutturalmente parlando, è una brevissima romanza senza parole, in cui una melodia molto semplice di 5 battute viene fatta seguire da un breve sviluppo di libera invenzione di 8 battute, prima di una breve ripresa (altre 4 btt.), un climax e una breve coda. Questo preludio è un altro capolavoro di miniaturizzazione di forme musicali molto più estese.

Chopin prelude 4
Inizio del preludio 4


5) Re Maggiore - Molto allegro

Preludio di difficile interpretazione, che assomiglia di più ad un'improvvisazione, a qualcosa scritto di getto, molto più destrutturato rispetto a Sol Maggiore. Questa idea è rafforzata dal fatto che le sue 39 battute siano scritte a moduli che si ripetono e che complessivamente esso assuma una forma ciclica di A-A'. Il preludio è in 3/8, Molto allegro; parte con un piano per poi proseguire con un generico forte, senza altre particolari indicazioni.
La sezione A è suddivisa in una proposta ed una risposta negativa articolate in 4 + 8 battute e 4 battute di coda. La partenza è sull'accordo di V di Re, La maggiore, con si e sib che compaiono fugacemente come voce intermedia prima di lasciare il posto alla risposta convulsa che modula lontano da Re maggiore, a Fa# Maggiore. 

Chopin prelude 5
Preludio 5 in cui sono visibili sia la proposta con la voce intermedia, sia la risposta verso toni lontani

La ripresa A' torna improvvisa alla battuta 17 e si mantiene in Re Maggiore fino alla breve coda che richiama l'inizio chiudendo ciclicamente il pezzo. 
E' un brano di notevole difficoltà tecnica, dovuto al fatto che la mano sinistra deve muoversi rapidamente su intervalli piuttosto ampi e la destra ha pure le sue complicazioni.

6) Si Minore - Lento assai

Questo preludio è il duale del n. 4: il canto passa alla mano sinistra, nella regione grave della tastiera, mentre la destra intona un accompagnamento fatto di note ribattute, ruotando attorno alla tonica, il si. Esso consta di 26 battute, è in 3/4 e Lento assai, in forma di una romanza senza parole che, con i lugubri rintocchi delle note ribattute, assume l'andamento di una marcia funebre. Strutturalmente parlando, è un pezzo molto semplice, costruito con due frasi opposte, la prima con slanci ascendenti e la seconda discendenti che formano il cupo canto mentre la mano destra completa l'armonia. 

Chopin prelude 6
Preludio n. 6, inizio


Le dinamiche come "sottovoce", "1 corda", "pp morendo", sono evocative del sentimento di tristezza evocata dal brano. In questo brano si può già scorgere l'op.35 dello stesso Chopin ma anche i rintocchi di "Le gibet" che Maurice Ravel scriverà settant'anni dopo, nel 1908.

7) La maggiore - Andantino

Con 17 battute, questo preludio è la composizione compiuta più breve del repertorio pianistico; primato duramente conteso dai pezzi op. 19 di Schoenberg. Esso è una piccola mazurka, in 3/4 come da ritmo della danza e Andantino, costituita da due brevissime frasi A e A' in cui varia solo la conclusione. 

Chopin prelude 7
Preludio n. 7


Tutto in questo breve pezzo è ridotto al minimo possibile e l'avanzamento del discorso musicale è dato dalla ripetitività del breve inciso delle prime 3 battute, posto di volta in volta su armonie diverse. L'unica indicazione dinamica fornita da Chopin è un "p dolce" all'inizio che diventa "pp" agli accordi finali, il che lascia una certa libertà di azione all'esecutore per arricchire questa piccola miniatura.

8) Fa Diesis Minore - Molto agitato

Questo preludio è uno dei più difficili della raccolta, nonché uno dei più ampi. Tecnicamente è uno studio per la mano destra in cui una melodia in Fa# Minore suonata esclusivamente col pollice della destra, viene fiorita da delle figurazioni di biscrome, rapidissime che rinforzano la melodia stessa e ne completano l'armonia. La mano sinistra suona degli arpeggiati discendenti che aggiungono la difficoltà di incastrarsi con la destra in una poliritmia. Fortunatamente la ripetitività delle figurazioni utilizzate mitiga l'impegno globale richiesto dalla composizione. 
Il preludio è in 4/4 e Molto agitato per un totale di 36 battute ed ha una struttura tematica abbastanza complessa. Esso inizia con 2 battute di proposta e risposta positiva in cui viene presentato il tema principale, con un ritmo di croma puntata più semicroma che resta inalterato fino alla fine. 

Prelude 5, beginning
Tema: proposta e risposta 

Seguono 2 battute di risposta con una discesa cromatica nuovamente di un'ottava. Il tema riprende con nuova energia per altre 2 battute salendo di un'ottava a cui seguono ben 8 battute di discesa cromatica che fungono da una sorta di sviluppo, in cui Chopin divaga su tonalità assai distanti facendo ampio uso dell'enarmonia. 

Chromatic descent
Discesa cromatica

Prima della ripresa seguono 2 battute in "ff" sospese su una sorta di VII grado scritto con i bemolli (lontano da Fa#) e poi 2 battute in "p subito" che ripetono le due precedenti e preparando la ripresa. 

Prelude 8, suspension
Sospensione prima della ripresa

Il ripresentarsi del tema, "
Molto agitato e stretto" è breve e fugace, riconoscibile dalla proposta iniziale, a cui non segue la risposta iniziale ma comincia subito ad innalzarsi verso un culmine in fortissimo che lascia poi spazio alla lunga coda (10 battute) che oscilla tra Fa# maggiore e minore, prima della conclusione definitiva in minore.
In questo preludio è sufficiente l'agogica a descriverne il carattere generale, il sentimento evocato e l'immagine di fondo sottintesa dalla musica. Si tratta di un "unicum" anche nella produzione di Chopin, infatti non se ne trova un altro simile in tutta la sua opera, segno che in queste piccole composizioni egli si sentiva libero di dire ciò che voleva senza ricondursi a schemi prefabbricati.

9) Mi Maggiore - Largo

Il preludio n. 9 è un'altra di quelle composizioni brevi ma intense che si incontrano spesso non solo nel corso di questa raccolta ma in generale nell'opera di Chopin. A mio parere, questo pezzo richiama esplicitamente Beethoven, in particolare la celebre sonata n. 2 dell'op. 27 (Chiaro di Luna) e l'adagio della sonata op. 13 "Pathetique"; lo si può notare dalla costruzione stessa del tessuto musicale. 

Chopin prelude 9
Tessitura del Preludio 9, notare la somiglianza con la sonata al Chiaro di Luna di Beethoven

La melodia principale è la voce più acuta, la quale si appoggia su un accompagnamento di terzine in cui si staccano gli accordi principali e inizia con una nota ribattuta con croma puntata e semicroma, incastrata sopra la terzina, proprio come nella Sonata al Chiaro di Luna. Il basso esegue invece una linea melodica indipendente, proprio come nella Patetica. Queste due celebri sonate del compositore tedesco sono qui mischiate assieme e trasfigurate in una nuova poetica, più drammatica e grandiosa, il cui effetto emotivo è dovuto principalmente agli accostamenti di accordi lontani ottenuti per cromatismo e ai due grandi crescendo che costituiscono l'ossatura del componimento.
Il preludio n. 9 è in 4/4 e Largo, costituito di 12 battute costruite su di un unico tema in Mi Maggiore che, divagando attraverso tonalità lontane come Do maggiore e La bemolle maggiore, raggiunge due culmini: uno a battuta 8 e l'altro alla fine, come conclusione del pezzo. Si badi che, al giorno d'oggi, è entrato in uso lo sfasare le semicrome dalle terzine ma non era assolutamente nelle intenzioni di Chopin: a quel tempo la croma puntata seguita dalla semicroma era un'indicazione per allinearsi alla prima e alla terza pulsazione della terzina. Lo sfasamento modernamente inteso è quello al basso, con il doppio punto e la biscroma; il preludio dovrebbe suonare quindi come una cantilena, meno tragica di come viene eseguita abitualmente ma più dolce, più "tonda" e in linea con il ritmo dettato dalle terzine.

10) Do diesis Minore - Allegro molto

Il decimo preludio è un altro di quelli che sembrano un'improvvisazione, intesa come qualcosa scritto di getto e senza troppe revisioni. E' un piccolo pezzo di 19 battute, in 3/4 e Allegro molto, costruito attorno ad una figurazione di gruppi di 5 semicrome che discendono su di una scala di Do# minore e che si ripete per 4 volte; 3 volte essa appare uguale a parte la conclusione, una volta invece è sul quarto grado. 

Chopin prelude 10
Tessitura del preludio 10

Ogni volta che la figurazione termina, per contrasto, il movimento si ferma e subentra una sequenza di accordi di risposta. Si tratta di un pezzo molto breve e molto delicato, con una resa sonora complicata, come testimoniato dalla dinamica curata e piena di forcelle che indicano una discreta varietà di intensità sonore da adottare per non appiattire il tutto.

11) Si Maggiore - Vivace

Il preludio in Si Maggiore è un pezzo leggiero, fugace e che passa quasi inosservato nel marasma dei ventiquattro ma che ha una bella ricchezza di inventiva melodica e armonica, racchiusa in 27 battute. Il pezzo è costruito di iterazione in cui, ad ogni ripetizione della cellula tematica principale, si aggiungono delle risposte diverse che creano un unico flusso che va dalla prima battuta alla ventunesima. La cellula di origine del pensiero di questo preludio è la breve sequenza a due voci delle battute 3, 4 e 5, che viene ripetuta tre volte per intero (con piccole variazioni al basso e alle acciaccature) e una quarta volta monca per lasciare spazio alla corta coda. Ad ogni ripetizione si aggiunge una breve divagazione sulle tonalità vicine a Si Maggiore. 

Chopin prelude 11
E' subito ben visibile la cellula tematica su cui si basa il brano

Il risultato generale di questa operazione è una composizione breve, spensierata con uno slancio melodico che parte da una singola nota, poi una voce, si aggiunge un basso, compaiono degli accordi e alla fine si svuota e si esaurisce come un pensiero fuggitivo che si disperde nell'aria.

12) Sol diesis Minore - Presto

Questo preludio, come da consuetudine, è esattamente agli antipodi del precedente: lungo, agitato e complesso. Si tratta di un Presto in 3/4 formato da lunghe sequenze cromatiche con le note ribattute a due a due. A mio avviso, questo brano riprende un gesto dalla sonata n. 17 di Beethoven, conosciuta come "Tempesta", in cui i temi sono formati da sequenze di note ribattute a due a due discendenti. Chopin qui riprende l'idea del tedesco e la ribalta (scale ascendenti e non discendenti), la velocizza e, con il colore sonoro dato dal cromatismo, dà forma ad una vera burrasca di note (qualcuno la definisce una cavalcata tragica).
Il tema principale, costituente la prima di queste ondate, è espresso nelle prime 5 battute, con una scala cromatica di note ribattute accompagnate da accordi che si alza di un'ottava, prima di lasciare spazio a 3 battute di risoluzione. 

Chopin prelude 12
Tema e risoluzione, prima della seconda ondata

Immediatamente dopo parte la seconda ondata, in cui si ripete la medesima scala cromatica, segue una zona culminante di 7 battute formante una sorta di esposizione, che si esaurisce in Si Maggiore e lascia spazio ad ulteriori 20 battute di sviluppo. 

Culmine tema
Culmine e conclusione in Si Maggiore

Preludio 12, sviluppo
Zona di sviluppo

In queste ultime, Chopin crea una sezione di attesa abbastanza lunga, in rapporto alle dimensioni complessive del pezzo, in cui dapprima ferma la musica (btt. 21-28) per poi ricaricare la tensione sonora con frammenti dell'esposizione accostati, passanti su tonalità lontane e terminanti sul V grado, Re diesis. 
A battuta 40 riparte l'ondata del tema iniziale in una sorta di ripresa, ripetuto integralmente, prima di lasciare spazio ad una lunga coda che, come nella consuetudine di questi preludi, si dissolve su frammenti di tema in modo assai etereo, con la sorpresa finale di un bel V-I in fortissimo.
Questo preludio è un pezzo di grande effetto e di notevole interesse tecnico, quasi uno studio per le dita deboli, fatto che lo rende tra i più temibili della raccolta.

13) Fa diesis Maggiore - Lento

Pur essendo un'oasi di pace tra due grandi marasmi, questo preludio è altresì sviluppato come il precedente ma di carattere ben diverso e nettamente in contrasto sia col n. 12 che con quello che poi segue. Esso assomiglia ad un notturno, in 6/4 e Lento, con una struttura episodica. Infatti, esso inizia con un episodio autoconclusivo in Fa# Maggiore costituito di due elementi: la melodia, formata da accordi alla mano destra, che inizia in tonica e finisce in dominante dopo 7 battute, ed è formata da un breve inciso che si ripete due volte con fioriture. Il secondo elemento è l'accompagnamento, formato da degli arpeggi di appoggiature sui gradi principali della scala di Fa#. Questi elementi formano il tema del I episodio del preludio. 

Chopin prelude 13
Tema del I episodio

Dopo 8 battute di esposizione, il tema viene ripetuto nuovamente fiorito e con l'aggiunta di una coda che conclude a battuta 20 in Fa# Maggiore. Il II episodio del preludio inizia in Re# minore, "Più lento", con una struggente melodia che si appoggia su un accompagnamento di accordi ribattuti e che è sostanzialmente il rovescio del tema del primo episodio. 

Preludio 13, II episodio
II Episodio

Questo episodio non costituisce uno sviluppo ma una sorta di breve intermezzo, di sole 8 battute, che re-introduce il Fa# Maggiore del III episodio, che altro non è che una coda di 10 battute che, similmente ad un'improvvisazione, chiude scomponendo il tessuto armonico su tre livelli, imparentandosi con i due episodi precedenti e donando unità sonora e formale all'intero pezzo. 
Pianisticamente parlando, questo preludio è di semplice esecuzione ma di soddisfazione per la melodia cantabile, molto sentimentale e la struttura varia che lo rende poco ripetitivo e accattivante per l'ascoltatore.

14) Mi bemolle minore - Allegro

Questo preludio, in 2/2 e "pp - sottovoce", è uno dei più brevi della raccolta, una sorta di guizzo apparentemente informe ma che invece nasconde un tessuto armonico e melodico raffinato. La scrittura del preludio è semplice, un disegno pianistico composto di terzine con entrambe le mani all'ottava. La dinamica "pesante" posta all'inizio del pezzo, sottintende che questo non sia un pezzo meramente virtuosistico ma un qualcosa di più sentito e intimo, quasi fosse un lamento dell'anima. Tra tutti i preludi, infatti, questo è forse il più bistrattato e il meno capito. Malgrado la scrittura lineare in terzine nasconda il reale tessuto armonico del pezzo, esso è costruito a due voci raddoppiate all'ottava, una interna che costituisce la melodia vera e propria, una estrema e acuta che invece completa l'armonia degli accordi e definisce l'andamento armonico del preludio. 

Chopin, prelude 14
Inizio del preludio con la melodia (rosso) e il completamento dell'armonia (giallo)

Il pezzo è costruito intorno a due sequenze modulanti di cui la prima, di 10 battute, parte da Mi bemolle minore e si sposta sui gradi della scala da I a V, la seconda, di 8 battute, ricomincia dalla tonica Mi bemolle minore, si porta su IV grado, intensificato dalla presenza di una 7a, e conclude di nuovo in Mi bemolle minore tramite una plateale cadenza plagale IV-I.
La difficoltà tecnica del preludio non è eccessiva ma le dinamiche sono tracciate in modo serrato, segno che questo pezzo non si debba esaurire in un guizzo rapido e meccanico ma che debba essere eseguito non troppo veloce con un'intensità altalenante senza esaurire tutto troppo in fretta. Questo preludio è un breve assaggio di quello che sarà poi il finale della sonata op. 35 dello stesso Chopin.

15) Re bemolle maggiore - Sostenuto

Il preludio in Re Bemolle Maggiore è di gran lunga il pezzo più famoso della raccolta e uno tra i pezzi più noti di Chopin. In un'edizione ottocentesca dei preludi era anche chiamato "goccia d'acqua" a causa della struttura del suo accompagnamento, costituito dalla tonica La bemolle ribattuta ossessivamente per tutta la durata del componimento. Questo preludio, in 4/4 e "p cantabile", è formato da 79 battute ed è diviso secondo lo schema classico di romanza con una parte A di esposizione (27 battute), un intermezzo B (38 battute) e una brevissima ripresa e conclusione di A (14 battute). La parte A è costruita attorno alla sua celebre melodia in Re bemolle, sopra un lungo pedale di dominante (La bemolle, 8 battute), a cui segue un breve sviluppo (12 battute) iterativo di un'inciso che modula attraverso La bemolle minore e Si bemolle minore, prima di un breve riepilogo del tema principale.

Chopin, prelude 15
L'inizio del preludio con la celebre melodia


L'intermezzo B, "un poco più mosso", continua da dove lascia la parte A, con l'ostinato continuo sulla dominante, cambiando tonalità nel rispettivo minore, Do diesis minore, ed è formato da due brevi incisi accordali al basso che formano il raggiungimento di ben due climax, a cui segue una lunga coda, terminante in Sol diesis maggiore, che per enarmonia diventa dominante di Re bemolle maggiore. 

Intermezzo preludio 15
Inizio della parte B, in Do# minore

Dopo un breve riepilogo del tema, il preludio si conclude "morendo" in Re bemolle maggiore, sempre sull'ostinato di dominante. 
Da un punto di vista esecutivo, questo pezzo merita tutta la sua fama per essere estremamente versatile nell'inserirsi in varie occasioni e fare un'immediata presa sul pubblico; non presenta difficoltà tecniche di rilievo e anzi si presta ad una resa più "sentimentale" d'effetto.

16) Si bemolle minore - Presto con fuoco

Il preludio 16 è un pezzo che, per la fortuna del pianista, è corto. Si tratta di uno studio per la mano destra, basato sulla scala di Si bemolle minore, con diversi momenti non facili da diteggiare, complicati dagli ampi salti alla mano sinistra. Il pezzo è introdotto da una battuta contenente 6 accordi di dominante che assecondano una breve discesa di sesta dove non vi è riportata alcuna indicazione, a parte la dinamica "f" e quindi il pianista è lasciato libero di preparare l'evento che sta per iniziare. Alla seconda battuta inizia il preludio vero e proprio, in forma di un pezzo virtuosistico caratterizzato da un tema di 8 battute (numero che torna spesso nei preludi) dichiaratamente in Si bemolle minore, in cui il basso armonizza il disegno melodico portante. 

Chopin, prelude 16
Introduzione e tema virtuosistico

Quest'ultimo è caratterizzato dalla scala di Si bemolle abbellita da vari cromatismi, che compie subito un lungo balzo verso l'acuto per poi "frantumarsi" in cromatismi e settime spezzate concludendo affermativamente in Si bemolle minore. In risposta all'esposizione segue una breve risposta di 8 battute di brevi cromatismi armonizzati appoggiando i gradi della scala di Si bemolle, poi breve cadenza V-I e ripresa del tema con altre 8 battute, tutto in "ff" e col basso raddoppiato con ottave. 

Cromatismi nel preludio 16
Cromatismi di sviluppo

La sezione finale di 21 battute è molto libera e formata dall'elaborazione del principale disegno melodico, partendo dall'idea cromatica insita nel tema e tentando ben due nuovi guizzi verso l'acuto senza che essi trovino sfogo. L'agogica è "sempre più animato" segno che questa parte è pensata dal compositore come un treno che va a sbattere dritto contro il capolinea e termina con un V-I brutale, semplice ed evidente.

Cadenza nel preludio 16
Cadenza finale

Dal punto di vista complessivo e tecnico, questo preludio è tra i più difficili della raccolta, se non il più arduo: la mano destra deve compiere delle piroette difficili da diteggiare mentre la mano sinistra, coi salti, non aiuta affatto. Inoltre anche la resa interpretativa del preludio non è semplice e non bisogna rischiare di finire in un'esibizione meccanica, ma occorre invece assecondare l'idea di onde che si infrangono come indicato dalle dinamiche volute da Chopin stesso. Infatti i segni inerenti l'esecuzione, in questo pezzo sono più presenti che in altri e assecondano sempre le rapide salite e discese del disegno melodico della mano destra.

17) La bemolle maggiore - Allegretto

Bellissimo preludio, il secondo più lungo della raccolta, che infatti consta di 89 battute, in carattere di romanza e che per scrittura e tema contiene già i semi di quella che diventerà la Ballata n. 3 op. 47. Il pezzo, in 6/8, è in forma complessa A-B-A'-C-A'' con una lunga coda e, dopo 2 battute di introduzione in "p", vede l'esposizione del tema in La bemolle maggiore caratterizzato da un'alternanza di proposta e risposta di 2 battute in 2 battute; la melodia è sempre nella voce più acuta, mentre le altre parti completano l'armonia. 

Chopin, prelude 17
Tema del Preludio n. 17

L'esposizione A dura 18 battute, poi inizia l'episodio B, piuttosto breve, che in questo caso è un vero e proprio sviluppo dove Chopin ricombina in modo sempre diverso i pochi elementi forniti dall'idea iniziale del tema. Lo sviluppo prende avvio da un Mi maggiore ottenuto enarmonicamente con un passaggio per nota comune lab-sol#  e vede il crearsi di un climax molto intenso da battuta 19 a battuta 34 vedendo poi un ritorno del tema in "ff" come sezione A', dato che viene ripreso per 8 battute prima di cedere il passo ad una nuova sezione di sviluppo. 

Sviluppo preludio 17
Fine dell'episodio B e inizio della breve ripresa A'

Questa sezione C dura altre 18 battute e procede in modo speculare alla precedente B: invece di disegnare una crescita verso un altro climax, questa sezione vede un progressivo spegnimento dell'intensità e della tensione sonora in precedenza scatenata e ritorna alla dominante Mi bemolle per enarmonia, esattamente come aveva iniziato. Segue l'ultima ripresa del tema, A'', in "pp sottovoce, come lontano" generando un effetto di smorzamento molto lungo e tutto su pedale di tonica La bemolle, disegnando così una lunga coda che termina il brano con un "ppp" e lasciando vibrare le corde. 

Ultimo ritorno del tema
Ultimo ritorno del tema

Questo preludio, come quello in Re bemolle maggiore, non presenta rilevanti difficoltà tecniche ma si presta ad un'interpretazione più sentimentale e meno meccanica che, grazie alla sua melodia struggente, si adatta molto bene a qualunque contesto; l'unica difficoltà di rilievo è la realizzazione delle dinamiche, molto presenti anche in questo caso, e di dover costantemente sottolineare la melodia coi mignoli.

18) Fa minore- Molto allegro

Il preludio in fa minore è forse il più destrutturato dell'intera raccolta di preludi. Questo pezzo, in 4/4, è basato su due piccole cellule tematiche che costituiscono l'idea su cui si regge l'intero pezzo, peraltro molto breve: la prima è il gruppo di 2 quartine di semicrome che ruotano attorno al II in 7a; la seconda è la sua appoggiatura in crome sul medesimo accordo che chiude la battuta. 

Chopin, prelude 18
Incipit del preludio 18 con la cellula tematica

La ripetizione della stessa battuta unita a 2 battute di "guizzo" virtuosistico che sviluppano la prima idea forma una sorta di tema che compie ben due ondate prima di esaurirsi. Da battuta 9 inizia qualcosa di nuovo: uno spostamento ritmico che cambia gli accenti della battuta e fa cominciare la nuova idea in levare che è quasi una speculare di quella iniziale. Anche qui, dopo 3 insistenze il pensiero si conclude con una rapida discesa prima di lasciare spazio alla terza e ultima idea. 

Seconda sezione preludio 18
Seconda idea e rapida conclusione


Essa costituita da un incalzante appoggio sulla dominante Do che stringe sempre di più, prima con accordi e poi con un'ultima rapida discesa tra le due estremità della tastiera che precipita diretta verso la conferma del Fa minore e conclude il preludio (tot. 21 btt.). Dal punto di vista armonico, il pezzo ruota tutto attorno alla scala di Fa minore, appoggiandosi talvolta un semitono sopra o sotto agli accordi principali ma senza mai modulazioni ardite come nei casi precedenti. Quello che sconvolge di questo preludio è il pianismo, di un virtuosismo quasi sfacciato, meno tecnico del precedente preludio in Si bemolle minore, ma d'immediato effetto sull'ascoltatore, quasi un'interpretazione di Chopin delle esibizioni di Liszt.

19) Mi bemolle maggiore - Vivace

Il preludio in Mi bemolle maggiore è un'altra invenzione tipica dello stile di Chopin, che deriva quasi direttamente dagli studi dell'op. 10, in particolare si può udire una certa assonanza con lo studio n. 11. Il pezzo è infatti una sorta di studio per gli arpeggi, sempre molto larghi con la melodia sempre appoggiata dal basso, le note intermedie non fanno altro che completare l'armonia. 

Chopin, prelude 19
Inizio del preludio 19


Dal punto di vista strutturale, questo preludio è simile al n. 17 con una forma A-B-A-C, con un tema chiaro e brillante in Mi bemolle maggiore seguito da un piccolo episodio di modulazione al IV grado, La bemolle maggiore, e iterazione del tema. Dopo un breve richiamo del tema stesso, segue una lunga coda su due lunghi pedali di Mi bemolle prima di arrivare alla conclusione. Il pezzo, pur composto di 72 battute, è in verità piuttosto breve per la sua agogica "Vivace" che implica un tempo piuttosto spedito per cui i vari elementi testé descritti, in verità appaiono come piccole digressioni.
Questo preludio è, assieme al n. 16 e al n. 24, uno dei più difficili della raccolta a causa dell'ampiezza degli arpeggi da suonare di getto e molto velocemente con le note più difficili da prendere poste proprio alle estremità. Malgrado ciò, tocca molte volte sentire questo preludio, armonioso e anche libero nella sua esecuzione, date le dinamiche ridotte al minimo, ridotto ad un mero esercizio in conta di più quante note si eseguono in un secondo. Non dovrebbe assolutamente essere questo lo spirito del preludio e non ci si lasci ingannare dall'agogica "Vivace" che non sottintende automaticamente un prestissimo ai limiti umani, quanto semplicemente un tempo mosso e poco meccanico.

20) Do minore - Largo

Come il preludio n. 15, anche questo è una delle composizioni più note in assoluto di Chopin. Esso è uno dei pezzi più brevi della raccolta, 13 battute in 4/4 ed è costituito di sole 3 frasi: la prima, in "ff e solenne" suggerisce quasi un corteo funebre molto vicino all'ascoltatore, e lo descrive richiedendo all'esecutore un'interpretazione assai drammatica. L'atmosfera è drammatica e il passo della marcia è dato dal ritmo puntato sul terzo quarto della battuta. L'armonia inizia con un vibrante accordo di Do minore e, spostandosi sui gradi della scala, concatena VI-IV-V-I-II in 7a-V. La seconda frase, in "p" risponde direttamente alla prima partendo nuovamente dal I e ritornando sul I alla fine, percorrendo in senso discendente i vari gradi della scala e dando un senso più statico dei suoni, suggerisce quasi l'idea che il corteo si sia allontanato. La terza e ultima frase è una ripetizione della seconda, in "pp", come svanendo in lontananza e ritardando, solo l'ultimo accordo che occupa la tredicesima battuta, è messo leggermente in rilievo e conclude tutto il pezzo. 

Chopin prelude 20
Preludio n. 20


Questo preludio trae spunto direttamente da Beethoven, infatti se ne può notare l'assonanza con la Marcia Funebre della sonata op. 26 e anticipa direttamente la Marcia Funebre dell'op. 35. Tecnicamente, questo preludio è uno dei più facili della raccolta ma resta un enigma cercare di trasmettere quel senso di rassegnazione insito nella musica stessa scritta da Chopin. Esso è stato oggetto di numerose variazioni, di Busoni, di Rachmaninov, ed è stato utilizzato anche in ambito pop, insomma ha conosciuto una fama senza tempo e senza confini.

21) Si bemolle maggiore - Cantabile

Il preludio 21 è un altro pezzo decisamente originale, innanzitutto per l'asimmetria della disposizione pianistica, poi per la sua struttura in cui non c'è nessuna ripresa o ripetizione, ma tutto fluisce come un flusso di coscienza. Il preludio, in 3/4, inizia con un Si bemolle maggiore non troppo dichiarato e camuffato da un accompagnamento al basse caratterizzato da due voci con andamento divergente, mentre il canto è una singola voce acuta. Questo episodio in cui viene presentato un tema in Si bemolle maggiore dura 13 battute, poi viene seguito da una breve cadenza che conclude l'episodio in Si bemolle maggiore. 

Chopin, prelude 21
Tema del preludio 21

A battuta 17 inizia un episodio nuovo, diverso dal precedente anche se lo richiama nei suoni: innanzitutto la tonalità muta improvvisamente a Sol bemolle maggiore, l'accompagnamento non è più con due voci divergenti ma 6e e 4e parallele e termina improvvisamente dopo 16 battute in Fa maggiore, dominante di Si bemolle, a cui segue una cadenza più lunga della precedente (6 battute) che riporta nuovamente in tonica e lascia spazio ad una coda.

Secondo tema del preludio 21
Secondo tema

Quest'ultima, comprendente 15 battute di cui 4 hanno un alternanza tra una breve iniziativa dell'accompagnamento al basso a cui risponde una breve figurazione del disegno di crome che ha accompagnato tutto il brano, rovesciato; poi nelle restanti battute il disegno melodico-armonico diviene sempre più aleatorio e conduce ai due pesanti accordi finali V-I che concludono il preludio. 
Da un punto di vista pianistico, questo preludio è più complesso di quello che sembra, a causa dei legati poco agevoli nell'accompagnamento e la velocità non eccessiva ma comunque sostenuta che asseconda il canto della parte acuta affidata alla mano destra. Esso inoltre è ricco di dinamiche tra "f" e "pp" che richiede un esame attento della transizione tra le diverse situazioni. Il carattere di questo preludio è tipico dello stile di Chopin e imita un certo tipo di scena lirica, in voga all'epoca in cui furono scritti i preludi con lunghe arie strappalacrime ala Vincenzo Bellini che qui vengono condensate e ben dosate nell'intensità e nella durata, cura che fa di Chopin il grande compositore che è stato.

22) Sol minore - Molto agitato

Il preludio 22 è uno dei più indecifrabili della raccolta, in cui tutto lo svolgimento del discorso musicale avviene al basso, nel virtuoso disegno di ottave, mentre la mano destra si limita ad accompagnare riempendo l'armonia, tramite un ostinato che si incastra in levare all'interno del ritmo del basso. Il pezzo è in 6/8 e inizia con un "f energico", con una melodia cupa e grave pienamente sulla scala di Sol minore. L'incipit con il ritmo puntato può richiamare Haendel, in quanto più di qualche movimento delle sue suite per tastiera incomincia nello stesso modo. 

Chopin, prelude 22
Tema del preludio al basso

La turbolenta zona espositiva iniziale dura 17 battute, molto rapide e che quindi passano in un baleno e termina con una cascata di ottave che porta a Re Bemolle Maggiore, una tonica lontana da Sol minore ma che in questo modo emerge improvvisa con la comparsa di un controcanto alla mano destra molto evidente e in netto contrasto con le scale di ottave al basso. 

Stacco nel preludio
Momento in cui emerge il Re bemolle maggiore

Questo breve intermezzo, cantabile e quasi eroico, dura lo spazio di 18 battute, molto energiche e fuggevoli con la melodia che viene iterata due volte, e ciò lascia una chiara impronta netta nella mente dell'ascoltatore che altrimenti percepirebbe solo un mesto brusio. Il preludio si conclude con lo stesso "guizzo" con il quale è cominciato, articolato in una coda brevissima e tre pesanti accordi V-I. Tecnicamente, è un preludio assai interessante per le scelte timbriche operate da Chopin, il quale esplora le potenzialità percussive del pianoforte adottando una scrittura quasi orchestrale e molto Beethoveniana. Dal punto di vista strutturale, questo preludio è, assieme al n. 14, quello che si avvicina di più ad un'improvvisazione messa per iscritto.

23) Fa maggiore - Moderato

Il preludio 23 è, nelle varie esecuzioni, uno dei più bistrattati, tanto da divenire quasi insignificante, prassi purtroppo ereditata da un certo tipo di pianismo di inizio '900 che puntava tutto sulla velocità e non sul possibile significato con cui caratterizzare il brano e distinguerlo dagli altri. Innanzitutto il preludio è in 4/4, con la semplice agogica di "Moderato" e una dinamica di "p, delicatissimo". La scrittura del pezzo è a due voci: una melodia scritta su arpeggi, che ha il ruolo sia di canto che di armonia, e un accompagnamento formato da un inciso con trilli, in cui il basso accenna una melodia, e una sorta di breve riempimento armonico che segue il disegno melodico principale. 

Chopin, prelude 23
Tema del preludio

Il preludio è assai breve e consta di 22 battute, con una struttura iterativa molto semplice: a 4 battute di proposta in Fa maggiore, in cui si alternano i due ruoli del basso prima descritti, seguono 4 battute di risposta in dominante, Do maggiore. Dopo queste 8 battute, la proposta viene ripetuta un'ottava più alta e, dopo 4 battute sul V e la dominante secondaria, il piccolo tema-proposta di 4 battute conclude il preludio in maniera quasi evanescente.
Dal punto di vista esecutivo, anche se può vagamente assomigliare ad uno studio degli arpeggi, questo preludio è quasi un ritorno di Chopin alle origini della tastiera, a Bach e Haendel e a quella scrittura orizzontale che deriva direttamente dalla coralità, di cui cercherà per tutta la vita di impossessarsi riuscendoci parzialmente solo alla fine dei suoi anni, con la sonata per violoncello e la Polacca Fantasia. Le esecuzioni tutt'ora in circolazione, purtroppo non rendono giustizia a questo preludio, allontanandolo decisamente dal riferimento delle sue fonti e rendendolo una specie di guizzo che passa quasi inosservato. Dovrebbe invece essere eseguito come si una Allemanda di Bach, molto moderato e con la giusta importanza da conferire ad ogni singola nota, mettendo in risalto l'iterazione del breve e semplice tema conduttore.

24) Re minore - Allegro appassionato

E' forse una delle pagine pianistiche più belle e meglio riuscite di Chopin, pur essendo meno famoso di altri preludi della raccolta. Il preludio in Re minore è un pezzo in 6/8 e formato da 77 battute, fatto che lo pone tra i più lunghi della raccolta ed è caratterizzato principalmente dalla figurazione d'accompagnamento di 4 semicrome e 1 croma, estesa su una dodicesima, che conferisce al pezzo un andamento strascicato, quasi in affanno. 

Chopin, prelude 24
Tema del preludio

La struttura del preludio non è ben definita secondo uno schema tradizionale ma anche in questo caso si è davanti ad una sorta di "melodia in evoluzione"; infatti, dopo un paio di battute di introduzione, entra il tema, nello stile tipico di Chopin della melodia secca e nuda adagiata sopra un accompagnamento turbolento. Il tema include inoltre delle brevi fioriture che consistono in rapide scale, marcate con "veloce", che danno un tocco di spettacolarità e virtuosismo al pezzo, contribuendo a muovere il tutto e concludendo sul V grado. 

Virtuosismi nella tessitura del preludio

A battuta 21 il tema ritorna trasportato al V grado, in La minore, mantenendo così il carattere cupo e drammatico del pezzo, con lo stesso espediente usato più volte da Beethoven e viene integralmente ripetuto, inclusa la breve cadenza con le fioriture poste in conclusione. Da questo punto in avanti, il preludio cambia forma, il tema non torna più ma inizia una lunga fase di trasformazione e di sviluppo degli elementi che porterà direttamente alla conclusione del pezzo, in modo molto teatrale e spettacolare, in un modo abbastanza inusuale anche per lo stesso Chopin. Da battuta 37 il tema viene citato e traslato dapprima in Do minore, come tonica secondaria e poi, partendo da questa tonalità, esso traccia un grande crescendo passando per Re bemolle Maggiore (scala napoletana, morbida e molto cara a Chopin) per tornare poi improvvisamente a Re minore per enarmonia Re bemolle-Do diesis, culminando in una brillante scala di doppie terze, sospesa su un accordo di 7° di sensibile che appoggia il Re minore, che torna infatti subito dopo. 

Cadenza sulle doppie terze
Culmine del preludio

Un ultimo sviluppo del tema di 9 battute che si appoggia su un accordo di 5° sovrapposte porta alla coda di 13 battute con gli ampi e brillanti arpeggi che appoggiano il Re minore su una sorta di cluster che appoggia di semitono l'accordo di Re minore. Il preludio, e con esso tutta la raccolta, si conclude con tre colpi di Re nella zona più grave della tastiera. 

Fine dei preludi di Chopin
Finale del preludio e della raccolta


Tecnicamente, questo preludio è tra i più difficili della raccolta, dietro quello in Si bemolle minore, primo a causa dell'ampiezza dei veloci arpeggi alla mano sinistra, secondo perché a volte è difficile incastrare gli abbellimenti nell'accompagnamento e infine per la scala di doppie terze che risulta sempre insidiosa anche per i pianisti più agguerriti. A parte questo, il preludio 24 è il pezzo più caratteristico dell'op. 28 ed uno dei pezzi più drammatici del compositore polacco. 

In conclusione, i 24 preludi sono una summa dell'arte di Chopin, in cui è concentrato una sorta di piccolo universo nell'arco di poche battute, perfettamente coerente, logico e ricco di idee assolutamente dirompenti per l'epoca della composizione. Per questo motivo i Preludi hanno avuto un successo storico e sono divenuti repertorio fisso del pianoforte negli anni successivi alla loro composizione.

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