Il fatto di anteporre l’adagio, il movimento lento e distensivo, al consueto movimento concitato non è una novità di Beethoven, infatti lo si può già trovare nella Sonata n.4 K282 di Mozart, il quale affida all’adagio iniziale il fulcro della composizione, facendolo seguire da due piccoli minuetti e un rondò. Altri (pochi) esempi si possono trovare nelle sonate di Haydn (come la 21) senza però essere così sfacciati e senza un vero e proprio crescendo drammatico come quello disegnato da Beethoven. Ciò che contraddistingue questa sonata dalle sue predecessore è però il deciso sbilanciamento delle dimensioni e dell’imponenza dell’architettura verso il finale, il quale è anche il vero movimento in forma sonata, al contrario del primo che è in forma di romanza e del secondo che richiama vagamente un minuetto (solitamente è il contrario). Anche le difficoltà tecniche dell’ultimo movimento sono decisamente superiori non solo a quelli precedenti ma anche alla maggioranza delle precedenti sonate di Beethoven, quasi a voler cominciare una nuova fase di esplorazione della tastiera da cui, di lì a poco scaturiranno capolavori come la sonata 21 op. 53 e la 23 op.57, punto culminante non solo del pianismo del compositore ma di un’intera epoca di classicismo che qui trova la naturale conclusione prima di lasciare il posto alle novità profonde rappresentate dall’ultimo periodo, non solo di Beethoven ma anche del mutato pubblico al quale si rivolgono le opere. Non bisogna dimenticare infatti che l’epoca del Classicismo musicale (figlio dell’Illuminismo) si conclude con la Rivoluzione Francese (1789 e gli anni seguenti) e che il contesto in cui viene scritta l’op.27 è il momento in cui in Francia c’è il Consolato, succeduto al Direttorio dopo un colpo di stato nel 1799, in cui continua la famosa spedizione francese in Egitto (che si conclude proprio in quest’anno) e che la guerra per esportare la Rivoluzione anche oltre i confini infuria in tutta Europa (Napoleone diviene imperatore nel 1804).
Le due sonate op.27 si staccano quindi da tutto quello che era stato fatto in precedenza pur senza abiurare gli schemi e la prassi del passato, aggiungendo per così dire un’altra crepa nel muro di conservatorismo che rappresentava l’epoca passata.
Il primo movimento della sonata, in Do# minore e in 4/4 è in forma di romanza, con una scrittura ridotta al minimo funzionale per esprimere un’armonia e una pulsazione, costituita da un unico tema a sua volta formato da una nota ribattuta e una breve cadenza al Mi maggiore, seguito da lunghe code che oscillano attorno alla tonica. Il pezzo, se confrontato con i movimenti seguenti o con gli omologhi delle sonate precedenti, è di una semplicità unica, quasi banale, ma al tempo stesso estremamente ardito nell’armonia e nella dinamica e di grande incisività nell'ascoltatore. Questo movimento si riaggancia direttamente al primo tema della Patetica suscitando nell’uditore emozioni immediate e molto forti, quasi come una sorta di malinconia e di cupezza davanti al suo fluire languido e nel modo minore, proprio come quel Grave dell’op.13, massiccio e definito come un monolito e di così profondo impatto emotivo da scolpirsi eterno nella mente.
La struttura dell’intero movimento è formata da tre livelli, o voci, di cui i due estremi hanno un comportamento quasi statico: la voce acuta costituisce il canto, occasionalmente si scambia con quella grave per un breve dialogo e il basso, per l’appunto, scandisce l’armonia. La voce intermedia scandisce delle terzine ininterrotte per l’intera durata del movimento completando i suoni degli accordi sul basso e conferendo movimento e direzione alla massa sonora. E’ interessante notare come sia di pugno dello stesso Beethoven l’indicazione “si deve suonare tutto questo pezzo delicatissimamente e senza sordini” che nella pratica significa col pedale di risonanza abbassato senza interruzione, onde creare un effetto di pienezza. Qui occorre tenere presente che questa cosa ha perfettamente senso sul fortepiano che possedeva, mentre sui pianoforti moderni suonerebbe orrendo (si può fare lo stesso ma crea una gran confusione e con alcune stonature). Ciò è dovuto in parte alla maggiore cassa armonica dei pianoforti odierni, alla maggiore corsa dei martelli e a corde più forti e triplicate da una certa altezza in su.
Il tema viene preceduto da 4 battute introduttive in cui al basso compare un si naturale contro la triade di Do# delle terzine e che risolve in modo poco canonico su un VI grado (La maggiore), questo per giocare sulle dissonanze senza interrompere la graduale discesa del basso e accentuando il senso di profondità che regala l’accordo maggiore al suo arrivo; segue un II- (sesta napoletana) – V – I, classica cadenza affermativa.
L'introduzione del I Movimento
Alla fine di battuta 5 entra il tema sull’ultimo quarto (ritmo - > - -). Su questo tema bisogna spendere due parole ancora: è costituito da un sol# ribattuto con un ritmo puntato che sembra quasi la parodia di una marcetta ma in verità è un tipo di scrittura in voga al tempo che significa che il sol# andrebbe sincronizzato con le terzine dando origine ad una placida cantilena e non ha il significato che gli diamo noi oggi, ossia che la semicroma resti leggermente in ritardo rispetto alla terzina costituendo essa una pulsazione più breve (nella fuga della toccata in sol minore di Bach BWV 915 questa scrittura è esplicita, con le note ben allineate e si procrastina fino a Chopin). Oggi, comunque, nessuno esegue questo tema nel modo pensato da Beethoven e lo sfasamento della semicroma rispetto alla terzina contribuisce a dare al movimento un piglio più drammatico al tema. A tutto ciò bisogna pure aggiungere che il tema dura appena 4 battute e che nel corso di queste si conclude in Mi maggiore, il relativo di Do# minore, tonica; tutto ciò che segue sono trasformazioni armoniche dello stesso, rimanendo il canto pressoché immutato, quasi fossero delle metamorfosi.
Il tema viene proposto da btt 5 alla 9 a cui seguono 5 battute di risposta negativa in cui Beethoven gioca attorno alla sesta napoletana (II-) considerandola non un grado alterato ma una tonalità a sé stante che consente movimento tra scale molto lontane tra loro, per poi passare alle dominanti secondarie (a bt 10 vengono levate dalle triadi le alterazioni e alla bt.11 modula a Do maggiore, II- di Si maggiore, poi passa continuamente da Fa# a Si in un continuo scambio di dominanti).
Modulazione di risposta al tema
Alle btt.15-22 questa continua ambiguità del punto di arrivo tonale genera una forte dissonanza che mantiene alta la tensione e introducendo l’eco, lo scambio di ruoli tra la voce acuta del canto e il basso (btt.16-18) che si ripete 2 volte, prima di lasciare spazio ad una breve coda che modula ancora e porta la conclusione di questa esposizione alla quinta che nel circolo delle quinte precede il do#, ossia Fa# minore, IV grado.
L'eco e la forte dissonanza
A battuta 23 finisce questa esposizione, molto breve per gli standard beethoveniani ma molto densa di una nuova ricerca di combinazioni di accordi all’interno dell’armonia classica. Da btt. 23 a 42 c’è una sorta di sviluppo delle idee fin qui esposte che non è una vera e propria parte b come si suole nelle romanze.
Il tema torna all’acuto alla bt.23 per poi condurre, tramite un breve concatenamento IV-V (btt. 25-26) riferito alla scala di Do#, nuovamente alla tonalità di impianto. A battuta 28 inizia il lungo pedale di dominante (Sol#) che costituisce il cuore dell’episodio e di tutto il movimento ed è suddiviso in due momenti ben distinti: il primo (btt.28-31) dove il compositore ricorre ancora all’espediente dell’eco e facendo ricomparire la stessa figurazione ad altezze diverse (sta poi all’interprete giocare sull’intensità), il secondo (btt.32-39) basato sulla fioritura dell’elemento terzina che si muove attorno ad una 13° e alla tonica compiendo ampie salite e discese lungo la tastiera (è il momento più drammatico del movimento). Alla fine, come prevedibile, l’episodio finisce riportandosi a Do# minore con la consueta cadenza affermativa V-I (btt.41-42).
Inizio del pedale di dominante con gli echi
Fioritura della 7- con le terzine
A battuta 42 c’è la ripresa del tema, esattamente come era stato presentato all’inizio e poi, dopo le 5 battute di proposta, si aggancia una risposta negativa in Mi maggiore (btt.46-50) che regala per un momento l’illusione della conquista della luce per poi tornare cupa al minore tramite il medesimo passaggio sul II- (sesta napoletana, bt.50) a cui si aggiunge l’ultima riproposta dell’eco trasportato al IV di Do# minore per mantenere la tonalità di impianto.
Ripresa
A questo punto, per rompere la ripetizione pedissequa della parte iniziale, Beethoven compie una specie di piccolo miracolo armonico, abbastanza semplice nella concezione ma così di grande effetto da costituire il punto più memorabile ed emozionante di tutta l’intera sonata: terminato l’eco (bt.55) in Fa# minore, IV di Do#, modula improvvisamente a Mi maggiore che però è solo di passaggio, per quanto ben affermato (bt.56) e poi discende ancora a Do# con una piccolissima progressione, giusto una battuta (57) in cui compare una delicata 7° sul II che modula il passaggio attraverso V-I di Do#, quasi impercettibile nella sua dissonanza ma perfettamente amalgamato nell’armonia del passaggio.
La modulazione cruciale che ribalta la conclusione del movimento
Alle battute 58-59 si prepara poi la cadenza conclusiva e definitivamente affermativa di Do# minore con un certo senso di inesorabilità e che lascia spazio alla breve coda in cui il tema ricompare al basso (btt.65-69) e tutto si ferma definitivamente.
Il terzo movimento, come detto in precedenza, è quello in forma-sonata dell’opera e che, nella mente del compositore, ne è anche il fulcro, il momento più atteso, ossia la parte dove si recita il vero dramma. Questo atteggiamento equivale a dire al pubblico: "vi ho accomodati col primo movimento, tranquillo e orecchiabile, vi ho fornito anche l’avanspettacolo col secondo, ora si fa sul serio".
Innanzi tutto, bisogna esaminare questa parte della sonata dall’alto: essa, come lunghezza e numero di idee impiegate, può tranquillamente fagocitare ciò che c’è stato prima. Anche il pianismo cambia, la scrittura si fa decisamente più virtuosistica, più abbellita e di grande difficoltà tecnica (almeno rispetto a ciò che ha preceduto sia nella sonata stessa che in quelle precedenti).
E’ in Do# minore, in 4/4 e "Presto agitato", il che significa che deve essere eseguito con una pulsazione al quarto molto serrata, con irruenza e senza posa.
Il movimento è costruito secondo la forma-sonata canonica che consta di esposizione, sviluppo e ripresa, episodi ben definiti nel corso del pezzo ma la costruzione degli stessi si fa più complessa e ricca.
Beethoven continua la sua sperimentazione e da sfogo alla sua fantasia, questa volta affiancando un vero, classico tema “cantato” nella parte acuta, quindi ben udibile e spiccato al di sopra del marasma che lo contorna, ad un’area tematica composta da idee e gesti pianistici molto distanti tra loro, introducendo anche una variazione al tema stesso. In tutto ciò domina la semicroma, la veloce pulsazione che scorre per l’intero pezzo, fatto salvo alcune brevi pause e che mantiene alta l’”energia” che ne scaturisce.
Esposizione (btt.1-66): è il primo episodio, quello in cui vengono presentati per la prima volta i temi al pubblico, quasi fossero i personaggi del dramma. Il primo tema parte subito, senza nessuna introduzione, nudo e crudo e in Do# minore, con la particolarità che non si tratta di un vero e proprio tema ma più che altro di un’area tematica. Esso comincia (btt.1-8) con una serie di veloci arpeggi che, come le onde contro una scogliera, si infrangono su coppie di accordi (armonicamente è una lunga modulazione alla dominante, Sol#).
Inizio con i lunghi arpeggi
Questa prima idea, o proposta, è esattamente la ripresa del primo movimento, semplicemente allungando la terzina per far quadrare il disegno nel tempo binario, così come l’armonia, presa di pari passo dal primo movimento. Questo espediente chiude così il ciclo che era iniziato nel primo movimento e, con il suo carattere diametralmente opposto a quello del primo movimento, ribalta completamente l’idea consolidata di sonata che si era consolidata (motivo per cui Beethoven la chiama “sonata quasi una fantasia”, si ricordi il ciclo costruito nell'op. 26).
Alle battute 9-14 il fluire delle “onde sugli scogli” viene interrotto da un pedale di dominante (Sol#), anch’esso caratterizzato da due momenti assolutamente peculiari: una sorta di trillo che ruota attorno alla dominante e una vera e propria fermata (bt. 14) che ricomparirà più volte nel movimento come elemento divisorio. Questo pedale prepara la seconda ondata di arpeggi (btt. 15-21) che riprende la concitazione dell’inizio e modula (Do# come IV di Sol#-> IV-II-V-I) al Sol# minore, secondo tema (una sorta di breve ponte modulante).
Pedale di dominante
Il secondo tema di questa esposizione in forma-sonata è nuovamente nel modo minore, come nella sonata n. 8 Pathétique, e con una caratteristica croma puntata seguita da una sfuggente semicroma, come richiamo del tema del primo movimento, così prosegue con l’atmosfera drammatica e tesa che altrimenti sarebbe stata interrotta troppo presto. Questo tema contrasta con quello precedente in quanto qui viene proposta una melodia cantabile (btt. 21-24) sovrapposta ad un basso albertino sempre veloce ed agitato.
Fine degli arpeggi e secondo tema
La risposta (btt. 25-28), anche per evitare di inventare materiale nuovo, è semplice ed efficace, ossia è una piccola variazione delle prime quattro battute con l’uso di un sincopato che tende ancora una volta ad affrettare il tempo già concitato. Questo tema rallenta poi gradualmente con una progressione, che si appoggia ai valori delle minime al canto, davvero insolita ma che resta comunque amalgamata all’insieme. Questa piccola progressione (btt. 29-32), che viene poi riproposta anche nella ripresa e che quindi è importante nell’equilibrio generale, nasce dalla sensibile (Fa##) che scende di semitono, portandosi dapprima a Si maggiore e poi ancora (col solito II-V-I) e poi nuovamente a Sol# minore interrompendo bruscamente la naturale risoluzione con l’irruzione e la fermata su un possente accordo di La maggiore, che qui è una vera sorpresa.
La progressione di chiusura
In verità questo accordo, II gr. Min., è un accordo di Sesta Napoletana che sospende l’armonia e prepara (btt. 33-42) il ritorno del tema. Ciò che segue all’accordo è un disegno melodico, leggiero, in p, che è una semplice fioritura che imita i gesti effettuati in precedenza (a bt. 39 ritornano anche le sincopi).
Sospensione sul II-
Per concludere questa esposizione, Beethoven non si accontenta di risolvere alla tonica di Sol# (btt. 41-42) ma riprende variato il secondo tema distribuendolo su degli accordi e passando la melodia tra le voci. Non si tratta di un inciso estemporaneo ma di una sezione ben sviluppata in cui la proposta variata (btt.43-46) è seguita da una piccola coda (btt.47-48) per poi riprendere con ancora più vigore (btt-49-56) per lasciare poi il posto alla coda vera e propria.
Variazione
La coda dell’esposizione (btt. 57-65) è un breve inciso in cui riecheggia il secondo tema, sempre sull’agitato basso albertino, che si mantiene ferma sulla tonica di Sol# minore che in questo caso svolge la doppia funzione di punto di arrivo e di ripartenza (V-I col ritornello) o di transizione (dominante secondaria di Fa#) per lo sviluppo.
Coda
Sviluppo (66-102): rispetto al precedente, questo episodio è relativamente corto e semplice, fatto che suggerisce che qui Beethoven si è focalizzato più sui grandi contrasti e sul lirismo dei temi più che sulle possibilità di invenzione che da questi avrebbero potuto scaturire. Lo sviluppo è formato da tre fasi: la prima (btt. 66-71) che sfrutta una serie di arpeggi per modulare a Fa# minore richiamando il primo tema;
Inizio dello sviluppo
la seconda (btt. 72-87) in cui il compositore divaga dapprima attorno ai gradi di Fa# (btt. 72-79) richiamando il secondo tema al basso e poi ripassa improvvisamente alla scala napoletana (che qui è data dal Sol maggiore).
Momento della seconda fase
Durante la seguente modulazione, la caratteristica croma puntata e la semicroma spariscono, lasciando spazio ad una sequenza di sequenza di crome accentate (sf) che stringono sempre di più il tempo per poi fermarsi improvvisamente su un lungo pedale di dominante (btt. 88-102). Questo costituisce la terza fase dello sviluppo ed è costituito da un lungo tremolo di sol# al basso e da una fioritura discendente, prima di crome e poi di accordi che richiama la variazione sul secondo tema già presente nell’esposizione, prima di fermarsi definitivamente su due accordi (btt. 101-102, II-V) in dominante di Do#.
Fine della terza fase
Ripresa (btt.103-Fine): episodio decisamente ampio e vario che dichiara esplicitamente come la sonata in tre movimenti derivi dal concerto (inteso concerto per solista e orchestra), infatti, oltre alla ripetizione, appena ritoccata, dei temi dell’esposizione, segue una lunga e ben strutturata cadenza in cui il compositore accosta e collega frammenti già esposti dando libero sfogo alla fantasia, quasi improvvisasse. Questo espediente, da questa sonata in poi, diviene frequente ed assai esplicito, basti ricordare il lungo episodio a carattere improvvisativo della sonata 17 (detta la “Tempesta”), le “volate” alla fine dei primi movimenti delle sonate 21 e 23, ecc.
La ripresa comincia alla battuta 103 con la ripetizione tale e quale del primo tema fino alla sospensione in dominante (btt. 103-116). Essendo già in Do# minore, il raccordo modulante dell’esposizione viene tagliato e si passa direttamente al secondo tema, ora trasportato in Do# (btt. 117-128) e ripetuto tale e quale. Seguno anche l’intercalare sulla Sesta Napoletana (btt. 129-137) e la variazione in crome di accordi, anche queste presenti nell’esposizione (btt. 138-151), poi segue una breve coda (btt. 152-159), sempre in Do# minore.
Alla fine della codetta la sonata potrebbe anche concludersi ma la comparsa del si e del mi# che portano verso Fa# minore (V-I) prolungando il movimento e introducendo un nuovo episodio a sorpresa.
Modulazione che introduce la cadenza
Quello che segue è una lunga cadenza assemblata a partire da parti già scritte in precedenza, intercalate da delle divagazioni del compositore che gioca sui gradi della scala della tonalità, dà un’impressione di bravura e virtuosismo all’ascoltatore e porta al culmine tutta la tensione accumulata durante il frenetico fluire del movimento.
La cadenza è strutturata così: una partenza sugli arpeggi che passa da Fa# a Do# per giungere su una settima diminuita (btt. 163-165), massimo della dissonanza raggiungibile in questo contesto, presa con rapidissimi arpeggiati che stringono la pulsazione precedente.
Dissonanza sugli arpeggi
La 7°- consente a Beethoven di modulare rapidamente e di tornare in tonica per collegare subito un frammento del secondo tema, in Do# minore, già riproposto tale e quale nella ripresa. Qui, l’accorciarsi dei valori (btt. 166-175) conduce bruscamente a quello che è il punto più intenso, sonoro e memorabile del movimento, una lunga sequenza di ampi arpeggi (btt. 176-188) il cui ritmo è ben cadenzato dall’alternarsi di semicrome e terzine di croma.
Tratto della lunga sequenza di arpeggi
La sequenza si muove tra IV(Fa#) - II-(napoletana) – VII – I in rivolto e alla fine V, con un lungo trillo e la seguente discesa libera sulla scala di Do#. Segue una pausa (btt. 187-188) marcata “Adagio”, libera e di attesa e poi la coda (btt. 189-Fine) in cui per l’ultima volta riecheggia il secondo tema. Un ultimo grande arpeggio conclude bruscamente il movimento, regalando la sorpresa finale.
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