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lunedì 14 febbraio 2022

IL CAMPANILE NICOLA E SOFIA

 IL CAMPANILE NICOLA E SOFIA


Novembre 2019 è stato un mese di pioggia ininterrotta, abbastanza da smuovere in maniera vistosa la grande frana del Rotolon. 
Durante l'unica pausa nel maltempo, un pomeriggio di non ricordo quale giorno vado a trovare Moreno, assorto nella contemplazione del suo nuovo attrezzo, il drone Mavik, costato un pezzo di rene e un litro di sangue e quindi assolutamente da usare e  andiamo a provarlo in Val Posina dove, a detta sua, c'era una torretta che meritava la nostra attenzione. 
Arrivo quasi verso sera rilassato, immerso nella magia delle vedute sublimi che solo la montagna può regalare, con un clima ideale per le riprese: la valle è gelida, il cielo è coperto e uggioso e soffia una brezza umida che penetra dentro il cappotto, dentro la canottiera e perfino nelle mutande, fino alle ossa! Malgrado questo "trascurabile inconveniente ci ritroviamo verso Piovene Rocchette e proseguiamo alla volta di Griso, nella magra speranza di un miracoloso squarcio. Anche se sono assai scettico riguardo l'esito dell'operazione, l'entusiasmo del compare è alle stelle e mi contagia come un'influenza (la pandemia arriverà tra non molto) e una volta arrivati estraiamo il drone. 
Eccolo lì quindi, scintillante, ruggente e profumante ancora di fabbrica, quasi ad invitarci ad abusarne. Moreno fissa una torre erbosa che si perde nella nebbia, alta sopra di noi, con lo sguardo vitreo di chi ha vissuto tante battaglie ma deve nascondere la preoccupazione per le sorti del costoso mezzo meccanico: "te vedarè, i xe zentottanta metri, se poe 'nar su par deà dove che xe pi buttà e po far eo spigolo. Aa gavevo vista 'na 'olta e so n'dà a vedare la sotto, l'è roccia bona, credime!" (Vedrai, sono 180 m, possiamo salire dove la parete è adagiata. Una volta sono andato a vedere ed è solido...!)
Io guardo la guglia che continua ad essere incappucciata dalle nuvole, sembra uno spirito imprigionato nella roccia all'alba del mondo: il suo basamento è strapiombante, giallo, segue poi uno spiovente di erba ripida sopra cui s'erge uno spigolo affilato grigio e verticale che sparisce nel bianco lattiginoso della nebbia. Assecondo il socio ma sono scettico.
Il drone viene attivato, ronza violentemente e si alza in volo rapidissimamente sparendo in qualche secondo dalla nostra vista. Arrivano sul telefono le prime immagini delle pareti rocciose (i comandi sono sul telefono, n.d.A.), verticali, rotte da cornici erbose. Il drone arriva alla quota massima di 500 m e non è neanche a metà della guglia che continua ad innalzarsi perdendosi nel nulla; Moreno mi guarda con l'espressione di qualcuno a cui hanno appena rubato il pane di bocca e non proferisce parola, io resto perplesso sulla fattibilità dell'impresa e soprattutto sul suo effettivo valore. 
Ad un tratto, mentre il drone sorvola in semicerchio le pareti ripide ed erbose, l'occhio cade su una torretta laterale che si distingue poco dalla strada ma che con la ripresa appare nettamente staccata dal corpo principale della montagna ed esco: "cossa pensito se inveze 'ndem a far chel cazzetto de piera lì? Mi par pi puita, curta e fazie dea torre granda, anche pi comoda. Par mi sirà 80 m, in do volte ea femo"-"Disito? Anca secondo mi ea merita de pi delo spigolo, speta che vardo pi da vizin".
(Cosa dici se andiamo invece a salire quella torretta lì in basso? Mi sembra più pulita, corta e comoda di quella grande. Secondo me saranno 80 m, la possiamo fare in 2 volte! Dici? Anche secondo me merita di più).
Il drone vola vicino alla guglietta e rivela un bel sasso con una parete liscia e a placche grigie, che si alza direttamente dal bosco, facile da trovare perché posta accanto a un canalone. Il velivolo filma da distanza ravvicinata la formazione e ci fornisce tutti i dettagli di cui abbiamo bisogno. A riprese fatte nessuno dei due proferisce parola per alcuni minuti, non serve dire nulla: il nuovo progetto è già in cantiere!
Nei giorni successivi, nei momenti di pausa, faccio delle ricerche per cercare di avere più informazioni sul gruppo montuoso, impresa ostica dato che alla biblioteca del Cai non c'è nessuna pubblicazione sull'area (e quando mai!), la cartografia è imprecisa (e si che l'Italia dovrebbe essere un paese civilizzato...) e le uniche note sono in un librettino introvabile distribuito per passaparola solo a livello locale (classico: poi gli indigeni si lamentano che nella zona non ci va nessuno, c'è la crisi, la montagna si spopola e altre cazzate simili). Scopro, da alcuni commenti in internet e dalla lettura di un libretto sulla guerra in montagna, che è stato un punto fortificato dalle truppe italiane durante la Grande Guerra per sbarrare la Val Posina e che vi si sono svolte alcune azioni di contatto tra gli eserciti e una grande battaglia nel 1916 che ha coinvolto tutto il massiccio del Monte Maggio, con migliaia di vittime tra morti e feriti. Nel frattempo Moreno fa un sopralluogo ravanando nel bosco, per individuare l'approccio migliore e mi manda tutto il repertorio fotografico.

Arriva il Dicembre 2019 e con esso il freddo dell'alta pressione, assieme ad un pallido di sole a confortare la montagna. Con noi c'è anche il terzo di cordata, Bruno, lo storico socio di Moreno in questo genere di operazioni e che è anche un paio di spalle in più per portare il fardello. Bruno ha anche un altro grosso pregio quando bisogna stare in parete: fa sembrare ogni momento, anche il più cupo, una bevuta all'osteria, così si ride molto, si bestemmia di più e si piange poco. 
Ci avviamo nel bosco carichi come schiavi nell'antico Egitto, io sudo come un uomo colpevole in attesa del verdetto, Moreno prende il via a razzo come un missile per arrivare cinque minuti prima di me con la faccia di chi ha disertato la Legione Straniera e Bruno arriva coi discorsi dipinti sulle labbra, senza il fiato per pronunciarli; il bosco è così ripido che potrei toccarlo col naso ad ogni passo. Lungo il tragitto rinvengo qua e là resti della Prima Guerra Mondiale, come qualche pezzo di filo spinato, e scatolette. Finalmente, dopo ingiurie, bestemmie e lamentazioni come le donne al capezzale del morente raggiungiamo la base della guglia, al punto che Moreno aveva indicato come possibile inizio: è una placca liscia come uno specchio! 
Io propongo di attaccare per l'unica fessura che interrompe la continuità di tutte quelle placche ma ciò vorrebbe dire anche superare due tetti a suon di chiodi e staffe, gli altri due invece vogliono arrampicare, forse perché sono più orripilati all'idea del tetto che della placca ma tant'è. Va bene, si comincia sulla placca a destra degli strapiombi, non senza un mio velo di rammarico.
 
Vorrei cominciare io ma Moreno insiste per partire e quindi si carica il trapano sul groppone, piglia i fix e comincia a salire il primo metro della placca baldanzoso come coloro che si illudono che la guerra sarà breve (così dicevano cento anni fa!!). 
Appena sopra quel fatidico primo metro e dopo parecchi minuti riviviamo una situazione di stallo simile a quella della Grande Guerra: Moreno è sempre nella stessa posizione, intento a capire se sia colpa sua, della cena della sera prima o della montagna che è parte di un mondo crudele; io e Bruno intanto lo guardiamo e lo incitiamo come si incita il fante ad andare all'assalto frontale della trincea avversa mentre i nostri piedi sono ben posati a terra. Il tempo passa senza che nessuno se ne renda davvero conto. 
Dopo un po' egli si rende conto che se aspetta che la natura lo faccia uscire dall'impasse spontaneamente potrebbe raggiungere l'età della pensione e così fa entrare in azione un gancetto, tastando la roccia al di sopra fino a trovare un minuscolo forellino e potendo così alzarsi di qualche prezioso centimetro. Successivamente prende  il trapano e in equilibrio molto precario apre un foro nella roccia, facendo seguire l'ingresso di un fix nello stesso, guadagnando così un altro metro nella placca. Seguono un altro gancetto, un chiodo piantato a metà e un altro fix. Moreno procede lentamente, molto lentamente ma riesce ad avanzare, mentre io e Bruno lo fissiamo strappare un centimetro alla volta alla placca compatta e levigata che ci sormonta arcigna e beffarda, senza un minimo di compassione per quei poveri disperati che non hanno nulla di meglio da fare se non stare lì a lavorare anche nei giorni di riposo. 
Tutta la mattina passa tra gancetti e fix, arriva l'ora di pranzo e passa pure quella, anonima e silenziosa, mentre i progressi sono molto lenti e Moreno è ancora sulla placca che al centro oppone circa quattro metri compattissimi ed estremamente lisci. Moreno prova ancora con un chiodo, lo martella fin quasi a distruggerlo ed esso entra appena in una piccola ruga, lo avvolge con un cordino per sfruttare quel centimetro che è entrato e si innalza abbastanza da mettere un altro fix con cui riesce finalmente a raggiungere una stretta cornice orizzontale; le difficoltà cominciano a calare.
Dopo un'attesa interminabile finalmente guadagna un minuscolo gradino sotto a un tetto, scomodo per una persona e figuriamoci per tre ma che è comunque un approdo in mezzo a tanta verticalità. Finalmente Moreno tira il fiato mentre io e Bruno prepariamo il sacco per rifornirlo di materiale e ci approntiamo a salire il tiro appena chiodato: io salgo staffando per essere più veloce, Bruno invece cerca di salirlo subito in libera scoprendo a sue spese perché è costato mezza giornata di lavoro; dopo il primo fatidico metro infatti comincia a emulare Tarzan saltando da un fix all'altro mentre le braccia fumano. 
Raggiungiamo Moreno alla stretta sosta quando accade qualcosa che non ci voleva: trafficando con le corde, lo zaino coi chiodi cade a terra! Gli occhi cadono su di me, che ho ben presente cosa voglia dire scendere e risalire le mezze corde in pieno strapiombo e, mentre sento il peso della responsabilità che mi viene affidato, offrendomi in sacrificio alla riuscita dell'impresa, mi viene in mente che l'operazione porterebbe via troppo tempo e, visto che la guglia è corta, si potrebbe tranquillamente ritornare con calma. Bisogna dunque proseguire con quello che resta. 
Moreno traversa a sinistra, sempre con difficoltà e raggiunge la fessura che partiva dalla base, adesso ben al di sopra dei tetti: la verticalità non diminuisce, anzi adesso aggetta pure ma almeno accetta del materiale meno oneroso dei fix; comincia quindi a lavorare di friend per guadagnare terreno e risparmiare ancoraggi. A metà della fessura il sole scende oltre il Pasubio e cala quasi istantaneamente il vento di caduta dalle cime; dapprima è una leggera brezza ma poi il freddo si fa insopportabile e a ciò si aggiunge che tra non molto farà buio. Messo un ultimo fix ci caliamo tutti e tre a terra allegri per la giornata svolta, tentando di nascondere la sonora bastonata nei denti che ci siamo presi sottovalutando fino a questo punto le difficoltà a cui saremmo andati incontro. 
Bene, il primo tentativo è andato.

Tentativo numero due: passa una settimana e ritorniamo decisi e sollevati, il terreno è conosciuto e le difficoltà presto caleranno lasciando spazio a rocce a gradoni. Ancora una volta risaliamo il bosco, sudando come buoi che trainano l'aratro sotto il sole di giugno ma con molti meno preamboli della volta passata ci leghiamo e tutti e tre ci riuniamo alla prima sosta. Riparte Moreno deciso a finire la fessura e risale al punto massimo raggiunto la volta precedente e comincia a pulire la crepa, tirando giù un sacco di sassetti incastrati e rotti. Ricomincia la danza del trapano, seguono altri friend ma la fessura non molla tanto facilmente, infatti al di sopra c'è uno strato do rocce rotte ed erbose che preclude l'accesso ad un terrazzino piuttosto comodo. Mentre l'amico Fritz è su che lavora io sono alla sicura comodamente appollaiato sulla tavola di legno appositamente portata e predisposta per stare appeso, mentre Bruno è affisso alla sosta nel suo imbrago che dopo un po' comincia a penetrargli le carni e la sua faccia, da allegra si contorce nell'espressione di qualcuno che sta andando al Golgota.
Passa l'ora di pranzo e finalmente abbiamo la chiamata alla risalita: le mie staffe entrano di nuovo in azione ma appena passata la sosta qualcosa va storto e faccio un capitombolo a pendolo poco più sotto. Nulla di serio a parte lo spavento e in breve risalgo alla cornice e poi alla fessura, seguo Bruno fino alla sosta sul terrazzo in una nicchia gialla in cui possiamo stare tutti e tre. Il cielo comincia a velarsi.
Moreno a questo punto toglie il disturbo e si sposta a sinistra lungo una cengetta per attrezzare una sosta dove alla fine, dopo tanto lavoro e insperatamente, mi cede il passo.
Preparo l'armamentario col ghigno di chi dice "adesso vi faccio vedere io come si fa", ordino i chiodi, i fix e i cliffhanger e parto lungo lo spigolo verticale mentre gli altri due mi guardano dubbiosi, con una punta di compassione.
Mi innalzo lungo una parete con prese piatte su cui i ganci lavorano a meraviglia e seguo una sequenza di tacche spostandomi proprio sul filo dello spigolo che divide la parete sud dalla ovest quando sento: "varda che se te meti zo un spit xe mejo seto!" (Guarda che se posizioni un ancoraggio è meglio). Effettivamente ho già fatto qualche metro molto aleatorio quindi il primo fix viene piazzato e posso tirare un sospiro. Proseguo, cerco di vedere se i chiodi normali entrano da qualche parte ma niente, è tutto compatto; continuo a cliff e posiziono un paio di altri fix puntando a una cornicetta poco alla mia sinistra. Poco sotto di essa la roccia è marcia: ecco una battuta di arresto. Batto in tutte le direzioni ma la parete suona come un tamburo, spostarmi a destra in piena placca è senza senso perché la roccia è ad appigli rovesci e perciò decido di insistere. Una bugna un po' arrotondata che suona vuoto accoglie un gancetto piuttosto precario, che devo caricare con molta attenzione; trattengo il fiato per illudermi di pesare meno e guadagno un mezzo metro, riprendendo a battere la roccia col martello in tutte le direzioni. Finalmente un quadrato di roccia suona pieno e immediatamente lo foro col trapano per piazzare il fix (come sulla Marcolin quando abbiamo trovato lo strato marcio; chi è lo scemo arrogante che dice che a trapanare si ammazzano l'alpinismo e l'avventura? Stupidaggini di chi si vuol mettere in mostra con fraudolenza sminuendo l'operato altrui) così mi innalzo sul gradino che è irrimediabilmente inclinato verso il basso e molto scomodo. Poco male, qui posso tirare il fiato. Dal basso mi gridano che non vale la pena fermarsi lì e che sarebbe meglio proseguire per guadagnare altri metri (mortacci loro!!!). 
Insisto lungo lo spigolo e sorpasso un altro tratto di roccia marcia che mi obbliga a passi molto cauti sui ganci e mi riporto in parete in direzione di una bella nicchia; la roccia ritorna ottima e posso proseguire chiodando con più allegria. Mentre sono in azione mi giunge dal basso un richiamo lamentoso che mi strappa dalla trance in cui stavo vivendo, mi volgo verso il basso e capisco: Moreno sta cambiando colore verso una sfumatura a metà tra il biancastro e il turchese, Bruno trema come se avesse le convulsioni di chi ha gestito contemporaneamente Mortal Kombat, Outlast e un porno sadomaso. Per di più, il sole è velato e sta per scomparire dietro il Pasubio, i due poveri tapini sono immobili e sferzati dal vento gelido, serrati dalle cinghie delle imbracature come salami messi a stagionare.
Sono spietato e decido di proseguire perché la meta è ormai vicina, appena qualche metro sopra oltre la nicchia; vedo già l'erbetta spuntare il che segna la fine della tribolazione. Chiodo in traverso a destra ancora qualche metro di ruvida placca, sopportando i bollori che mi derivano dal lavoro e dalla tensione nervosa quando mi giunge ancora: "varda che se tornèm n'altra volta non ci dise mina gninte nussun! A no ghea fem pi a star al fredo!" (guarda che se torniamo ancora nessuno ci dirà nulla, non ce la facciamo più). I loro volti sono imploranti e il buio avanza, così piazzo un fix circa un metro a sinistra della nicchia lasciando l'incomodo di attrezzare la sosta per bene alla volta successiva e mi faccio calare giù recuperando tutto il materiale, poi tutti e tre scendiamo alla base della torre. Non abbiamo lasciato corde fisse perciò dovremo escogitare qualcosa per il ritorno. 

Tentativo numero tre: passa una settimana e con essa il Capodanno 2020, il tempo resta bello e scompare anche la fastidiosa velatura della volta precedente. Rieccoci nuovamente a Griso a risalire il ripido bosco fino alla base della torre. La giornata è bella, limpida e calda e abbiamo l'ottimismo in cuore che questa volta chiudiamo i conti con la torretta. 

Giunti alla base pensiamo a un modo per raggiungere la cima e terminare gli ultimi metri della via dall'alto: la guglia è staccata dal corpo della montagna e saldata con essa da una piccola forcellina da cui scendono due ripidi canali; in alto si vede una cengia ma è molto più sopra della vetta sul corpo principale della montagna e sembra difficile scendere per un pendio di erba verticale. Insisto che dovremmo scalare il canalino di destra perché al contrario di quello di sinistra non presenta un alto sbarramento di massi incastrati e muschiosi e porta fino alla forcelletta che separa la nostra torre dal monte. Gli altri due non sono convinti e vorrebbero andare in qualche modo fin sulla cengia però me la gioco bene dicendo che abbiamo molta meno strada da fare e potremmo esplorare anche il versante opposto attrezzando due itinerari sulla medesima punta. Il mio discorso sembra ottenere l'effetto sperato e mi sento Mefistofele.
Come al solito parte Moreno che si sciroppa un canale di terra ripido e schifoso e va a recuperarci su una radice secca ma ancora robusta. Tutti e tre buttiamo l'occhio a sinistra: la parete sopra di noi è strapiombante e fa ancora più defecare del canale sottostante ma verso sinistra si intravede un caminetto che suggerirebbe una via di uscita rapida e poco dolorosa.
Parte Moreno, primo perché più di noi sente la fine dell'impresa ma soprattutto perché ha già il trapano pronto e nessuno di noi due gregari ha voglia di sobbarcarsi il fardello. Comincia a traversare posizionando due ottimi fix sulla placca verticale raggiungendo il camino; dopo qualche istante gli parte una sequela di bestemmie mentre ogni tanto ci guarda con la faccia di chi non sa decidersi se buttarsi di sotto e porre così fine alle sue sofferenze o darsi all'alcol. 
Piazza un altro fix senza nessuno scrupolo e poi lavora di chiodi i cinque metri del camino, di slancio, con la cattiveria di chi è stufo di essere menato per il naso.
Moreno sbuca sul crinale e attrezza il recupero su un buon albero poi Bruno ed io partiamo molto vicini per evitare di scaricarci dei sassi sulla zucca; tutto va bene fino a quando, giunti entrambi al camino, io mi abbarbico al fondo facendo forza sulle lame che lo chiudono. 
Improvvisamente ho un sussulto di quelli che non vorrei mai avere: tutta la parete sinistra del camino sta crollando! Allungo il braccio e la gamba sinistra fulmineamente trattenendo i pietroni in precario equilibrio mentre Bruno si accosta alla parete opposta e scansandosi dalla loro traiettoria. Mi abbarbico al chiodo che Moreno ha piantato e mollo la presa con delicatezza, trattenendo il fiato per avere l'illusione di fare meno danni. Miracolosamente la parete regge e resta in posizione, Bruno guadagna un altro metro e si cava d'impaccio mentre io mi ritrovo ad estrarre il chiodo con le mani, semplicemente rimuovendo i sassi sotto cui era incastrato. 
Raggiungiamo entrambi Moreno ed io gli racconto l'accaduto, ancora teso come una corda di violino e tutti e tre ci facciamo una risata pensando a chi sarà quel volenteroso che ripeterà questa nuova via, aperta per sbaglio per andare in cima alla guglia e calarsi di sotto (tanti auguri a lui!!!).
Dopo un facile tratto di cresta senza più alcun pericolo raggiungiamo infine la vetta della torre: c'è una pace irreale, nessun rumore a parte noi, nessuna macchina lungo la strada del Passo Borcola, solo il silenzio e il piacevole tepore del sole invernale nel cielo terso.
Appronto la sosta proprio sul roccione di vetta e la predispongo affinché si possa cominciare la discesa. Moreno si cala col trapano e tribola cercando di seguire la roccia in mezzo all'erba, poi seguo io che estirpo un po' di radici fastidiose per il recupero e infine Bruno. Moreno ricomincia la discesa mettendo alcuni fix lungo una paretina e poco sotto  si ritrova nella nicchia dove io mi ero fermato: da sopra io e Bruno sentiamo un grido di liberazione: finalmente è finita, è fatta! 
La nuova linea ha preso forma lungo la parete sud di una torre dimenticata in un posto dimenticato perfino dai locali.
Rientriamo alla base sollevati, soddisfatti e con l'idea di affogare la stanchezza in una ben meritata cena, come lupi che si avventano sulla vacca indifesa bramandone le carni grasse.

Tentativo numero quattro, la vendetta e la pulizia! Passa un mese e torniamo a finire il lavoro sulla guglietta di Griso: è vero che la via è finita ma è ancora molto sporca ed erbosa, perciò bisogna dare una sistemata, altrimenti sarebbe una via senza nessun interesse. 
Partiamo e saliamo con una leggerezza quasi difficile da credere, niente trapano, batterie, fix chiodi, niente solo attrezzi agricoli per il giardinaggio estremo, felici come se fossimo nel cartone di Heidi. Questa volta non ripetiamo l'itinerario schifoso attraverso il canale e il camino ma seguiamo una traccia di sentiero che porta inaspettatamente ad una scala di pietra, costruita in tempo di guerra e coperta dalle foglie e dalla terra, che mena ad un terrazzamento oltre l'altezza della nostra torre. Sulla sinistra diparte la cengia che vedevamo dalla vetta la volta scorsa, che comincia dopo un canalino esposto e la seguiamo fino a sormontare la guglia. Da un albero provvidenziale ci caliamo in corda doppia fino al forcellino e risaliamo in vetta per poi cominciare a calarci lungo la via.
Si cala per primo Moreno che ha brama di roccia, per secondo mi calo io, specialista dell'erba e infine Bruno a chiudere il tutto; Moreno comincia a prendere a picconate la crestina finale buttando giù tanta di quella terra da farci un giardino nuovo e poi passa ai macigni, ne cava due delle dimensioni di un comodino che nella caduta spezzano a metà gli alberi sottostanti. Il fatto lo filmiamo riguardandolo con soddisfazione quasi sessuale, specie nel sentire il tonfo che i macigni fanno al di sotto. Successivamente scendo io a spazzolare le prese e togliere le scaglie, godendomi l'emergere della roccia dallo schifo che la sommergeva.
Arriviamo alla base che sembriamo dei Golem di argilla da quanto schifo abbiamo cavato dalla parete (e che ovviamente è finito addosso a noi) ma ora la via è definitivamente pronta. Scelgo di chiamarla "eterno ritorno" perché siamo tornati ben quattro volte per un lavoro che forse ne richiedeva due e scelgo anche di dedicare la guglia, di cui non ho trovato nessuna informazione, a due ragazzi scomparsi in montagna, uno dei quali era Nicola Tassoni; non potevano avere monumento migliore.

Dopo questa via nuova viene il Covid 19 che ci blocca per lungo tempo, ci riempie di ansia ogni volta che ci dobbiamo muovere e che si porta via il mondo che ricordiamo, o almeno una parte di esso.


Il Campanile Nicola e Sofia


Due immagini dell'apertura della prima, difficile placca grigia, passo chiave della via

secondo tiro del Campanile Nicola e Sofia
La fessura del secondo tiro

La parete della via normale, scalata durante il terzo tentativo



vetta del Campanile Nicola e Sofia
Vetta del campanile



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venerdì 14 maggio 2021

BEETHOVEN - Sonata n. 12 op. 26

 BEETHOVEN 

Sonata n. 12 op. 26


La si può trovare anche intitolata "Marcia Funebre" dal III movimento, questa è una "Grande Sonata" per pianoforte, come la intitolò Beethoven stesso nel 1801 e che la dedicò a uno dei suoi mecenati, il conte Lichnowsky. 

La sonata introduce una novità rispetto alle precedenti: manca un movimento in forma sonata che viene sostituito da un tema con variazioni, espediente usato già una volta da Mozart con la Sonata in La maggiore k331 (quella famosa col Rondò alla Turca). Essa è però anche una Grande Sonata in quanto ha quattro movimenti e ricalca la forma di una sinfonia, col classico stacco dello Scherzo o di un Minuetto.
Tutta la sonata è fondata su un ben evidente equilibrio sia tonale che tematico, il che fa pensare che tutta la composizione possa essere un grande tema con variazioni, come vedremo tra poco; l'unico vero elemento che quasi si distacca da essa è la Marcia Funebre, il movimento centrale della sonata e il primo dei quattro ad essere scritto, pezzo a cui Beethoven teneva molto tanto da trascriverlo e riutilizzarlo nelle musiche di scena di Leonore Prohaska di Friederich Duncker.
Personalmente non amo questa sonata, nonostante in tanti la adorino, perché suonandola mi da l'impressione di essere una cozzaglia di materiale eterogeneo e composto in momenti diversi che è stato poi accostato per l'occasione. E' una sonata molto ripetitiva in quanto, differentemente dalla Patetica, il motivetto iniziale si presta meno ad essere variato, invertito e riutilizzato rispetto alla semplicissima serie di tre accordi dell'op. 13; mancano gli slanci dinamici che caratterizzano Beethoven e la sua poetica e mancano anche le variazioni al ritmo a lui tanto care con l'introduzione degli sforzati per creare delle sincopi e non ci sono momenti di pausa sui lunghi pedali di dominante che sono onnipresenti nelle sue opere. Tuttavia quest'opera ha comunque alcuni spunti interessanti, specie nel primo movimento che mostra un raffinato gusto per la variazione e l'ornamentazione.

I MOVIMENTO - Andante con variazioni

Si tratta di un Tema di 35 battute con cinque variazioni, Andante e in 3/8, in La bemolle maggiore. Il ritmo degli accenti è -- > --, con l'accento forte sul secondo ottavo dato dalla partenza in levare e che resta costante tutto il movimento, anche nelle variazioni e nei movimenti successivi. La cellula portante di tutte le variazioni è costituita dal motivetto iniziale, semplicissimo ma sempre ben riconoscibile Mib - Mib - Lab, stesso incipit della Marcia Funebre mentre è meno riconoscibile negli altri due movimenti.

Il TEMA è abbastanza semplice: le prime cinque battute e mezza (per un totale di quattro piene) sono una proposta, già contenente una fioritura in ritmo puntato (Lab - Sol - Sol - Fa - Sol - Mib - Lab) che ruota attorno alla tonica La bemolle per portarsi alla dominante

incipit Beethoven op.26
La proposta delle prime battute del tema: le prime 4 note costituiscono la cella fondamentale


Le successive cinque battute e mezza (quattro piene) sono poi la risposta negativa che conclude ancora sulla dominante. Si noti come alle battute 7 e 8 Beethoven sfrutti il cromatismo tra le voci pur rimanendo sugli accordi di La bemolle. Proposta e risposta vengono ripetuti ancora con il cambio della conclusione in tonica. La melodia poi insiste più volte sul Re bemolle che diviene un segno distintivo del tema e che lega tra loro tutti e quattro i movimenti della sonata formando quindi una sonata ciclica, ossia dove gli stessi temi ritornano più volte anche in movimenti diversi.


modulazione risposta op.26
Parte della risposta negativa col cromatismo che altro non è che un movimento di 7a

A metà della battuta 17 comincia un piccolo intermezzo caratterizzato da una piccola progressione che si porta in dominante (btt. 17 -> 21) e passando per Fa minore raggiunge un culmine prima di portarsi ancora alla dominante che qui ha la funzione di pedale (btt. 22 -> 27) prima di ripetere tutta la melodia proposta e concludere il Tema a battuta 35.

VARIAZIONE 1: il tema viene semplicemente fiorito da un arpeggio ma alla battuta 3 (38) c'è un cambiamento molto piccolo ma che nel seguito diverrà molto significativo: la cellula col ritmo puntato viene qui esplicitata da Beethoven come una 7a di V, di Mib maggiore mettendo in risalto il Re bemolle.

variazione 1 op.26
La proposta del tema che qui viene variata con degli arpeggi. Si noti l'accento sul Re bemolle.

La melodia portante del tema resta sempre ben distinguibile, anche nel piccolo sviluppo (btt. 18-28 della variazione), sempre con l'aggiunta di fioriture, rispettando sempre il numero di battute e la distribuzione delle parti.

VARIAZIONE 2: Beethoven sfoga qui il suo estro pianistico. A differenza dei due episodi precedenti e di quelli che seguiranno che mantengono una tessitura decisamente verticale, ossia seguente rigorosamente gli accordi dell'armonia, tanto che darebbero l'idea di poter essere facilmente orchestrabili, qui l'autore costruisce una variazione sull'alternanza degli accordi lasciando la melodia portante al basso (ottave della mano sinistra) e alla parte acuta gli accordi di riempimento, segnati sempre seguiti dalla pausa per indicare un deciso staccato. 


variazione 2 op.26
L'inizio della variazione

L'intero tema è riportato al basso in maniera fedele mentre il cambiamento più significativo avviene nello sviluppo in cui le parti vengono mescolate tra loro, alternando alla mano sinistra le note del basso vero e proprio al tenore con l'accompagnamento armonico (le doppie terze acute del tema), mentre  alla mano destra (acuto) c'è il breve inciso tematico principale. 

sviluppo variazione 2 op.26
La variazione dello sviluppo con visibile all'acuto il tema che prima era al basso


Questo tipo di scomposizione varia anche la fine dello sviluppo e la ripresa del tema che si ripresenta in ottave alla mano sinistra e conclude la variazione sempre alla 35esima battuta (105 complessiva).

VARIAZIONE 3: qui Beethoven passa al La bemolle minore raggiungendo la massima distanza dal tema di partenza che resta però ancora riconoscibile nell'incipit. Ritorna la tessitura verticale e strettamente armonica della disposizione dei suoni dell'episodio. Questa variazione è costruita utilizzando l'inciso delle prime due battute del tema, che viene sincopato rispetto al basso che invece scandisce la suddivisione ternaria e sale prima a Re bemolle minore (IV di La bemolle) e poi a Mi bemolle maggiore dominante, sempre con la stessa figurazione. Interessante notare la modulazione IV-V-I con l'aggiunta del Si doppio bemolle. Le prime 9 battute costituiscono una proposta a cui segue una risposta negativa in cui il canto viene raddoppiato in ottava e al basso compare uno sforzato, un accento, sulla nota più grave che crea un piccolo controcanto alla melodia principale. Termine in La bemolle minore.

variazione 3 op.26
L'inizio della variazione in cui si distingue la cellula tematica estrapolata dal tema.
Notare la presenza del Si doppio bemolle.

risposta variazione 3
La risposta negativa con la marcatura del basso


Con lo sviluppo Beethoven introduce una discontinuità: i brevi incisi che avevano caratterizzato questo momento, sempre ben distinguibile nelle variazioni precedenti, adesso sono completamente mescolati all'interno delle tre voci, ben distinte a questo punto (si potrebbe dire quattro ma una non è distinta chiaramente e non è nell'intento del compositore inserire un corale), che formano un breve contrappunto (la melodia delle doppie terze corrispettive del Tema Do-Sib-Do-Reb-Fa è nella voce intermedia Sibb-Lab-Dob-Reb-Fab).
La seguente breve sezione sulla dominante di La bemolle viene ripresa e scomposta con le ottave alla mano destra, accentate sull'ultimo sedicesimo che forma la sincope, e gli accordi dell'armonia al basso. La costruzione ruota attorno al Mi bemolle e gira la scala ascendente del Tema da Mib a Lab in una scala discendente riducendo la cadenza, a delle semplici appoggiature del Mib. Segue la ripresa e la conclusione alla 35esima battuta.


sviluppo variazione 3
L'inizio dello sviluppo.

collegamento sviluppo op.26
Il proseguimento dello sviluppo con l'inversione degli elementi del Tema.

VARIAZIONE 4: si torna in La bemolle maggiore ma il tema, per quanto distinguibile, risulta ancora ampiamente deformato e scomposto, ancora in una tessitura verticale e armonica piuttosto che contrappuntistica, quasi da essere pronta per l'orchestrazione. Il Tema è qui scomposto su diversi registri e viene richiamato nell'armonia e in alcune cellule caratteristiche (Lab-Sol, Reb-Do). L'ultima ottavo della battuta viene poi legato al successivo creando una sincope che evidenzia il ritmo melodico del tema stesso. 

variazione 4 op.26
L'incipit della variazione: si nota la sincope e l'accenno della cellula tematica più riconoscibile qui appena accennata.

La parte di sviluppo corrispondente mantiene la medesima caratteristica. Altro dettaglio interessante: nel corso della risposta (btt. 9 e seguenti) le doppe terze di accompagnamento vengono ribattute in piano e staccato a imitazione dei fagotti o degli archi più gravi quando pizzicano, tipico effetto orchestrale.

imitazione variazione 4
Piccola imitazione dei bassi nell'orchestra

VARIAZIONE 5: è il finale del movimento ed è articolato in tre distinte parti: una proposta seguita da una risposta negativa, lo sviluppo, la ripresa con la coda conclusiva, lunga e articolata. 
Nella proposta (btt. 1-9) il Tema viene scomposto in terzine ad entrambe le mani in cui le note formanti la melodia sono ben riconoscibili anche se su pulsazioni deboli. In seguito (btt. 9-17) il tema riappare ben esposto nella voce intermedia mentre viene fiorito da un trillo molto lungo.

variazione 5 op.26
L'inizio della variazione: la melodia è riconoscibile sulle due pulsazioni deboli delle terzine.

trilli variazione 5
La risposta fiorita con il lungo trillo. Il tema è nella linea intermedia.

A battuta 18 comincia lo sviluppo che in questa variazione consiste nella fioritura della sola melodia portante e che resta ben riconoscibile nella parte più acuta, mentre a battuta 28 parte la ripresa del tema sempre fiorito nella voce più acuta dal lungo trillo.

canto variazione 5
Lo sviluppo ove all'acuto si riconosce la melodia del Tema

La variazione termina alla battuta 35 e comincia una coda che conclude tutto il movimento. Essa dura ben 15 battute ed è costruita attorno ad un incessante Mib ribattuto che funge da pedale, sul quale si sviluppano una nuova melodia e la relativa armonia. Quest'ultimo canto è ricavato direttamente accostando il capo e la coda del tema principale; dopo la sua proposta di quattro battute segue una breve risposta che lo fiorisce brevemente con delle appoggiature, poi segue un'alternanza di V-I che porta direttamente alla conclusione in La bemolle maggiore.

coda movimento op.26
La melodia conclusiva che funge da coda al movimento

II MOVIMENTO - SCHERZO - Allegro molto

La presenza di questo secondo movimento suggerisce che la sonata sia stata tratta dalla Sinfonia. In altre occasioni Beethoven nomina le sonate contenenti uno scherzo come "Grandi Sonate", per distinguerle da quelle che sono state tratte dal Concerto in tre movimenti.
Lo scherzo si compone di 96 battute in tempo ternario, 3/4 con ritmo -- < -- che costituisce la cellula fondamentale. Strutturalmente lo scherzo è composto di una sezione A, in cui viene enunciato il tema vero e proprio dello scherzo, in La bemolle maggiore e viene sviluppato, una sezione B detta Trio perché a tre voci (anche se Beethoven aggiunge dei raddoppi nelle cadenze conclusive a scopo timbrico) e una ripresa in cui tutta A viene ripetuta.

Sezione A: il tema dello Scherzo è sfacciatamente dichiarato, annunciato e strombazzato fin dalle primissime misure; esso si articola in una proposta di 5 battute e una risposta di altrettante che sono armonicamente disposte come un V-I, Mib-Lab. Inizialmente partono in levare sul terzo quarto del tempo e si appoggiano per ben 2/4 sulla misura successiva ma poi segue una iterazione delle medesime arricchite dal riempimento di tutte le pulsazioni come piccola fioritura. Da notare come il tema Lab-Sib-Do-Re-Mib e il successivo Reb-Mib-Fa-Sol-Lab (subito l'insistenza sul Re bemolle come nel Tema del movimento precedente) siano molto simili ai frammenti delle battute 4 e 5 del Tema del I Movimento (per non dire che siano ricavati direttamente da esso) e che assimilano questo scherzo ad una ulteriore variazione sempre sul medesimo.

confronto incipit movimento 1

inizio scherzo Beethoven op.26
Confronto tra l'inizio del Tema del I Movimento e il tema dello Scherzo e la stretta somiglianza tra i due.

Da battuta 17 inizia una sorta di intermezzo che resta sospeso su delle settime diminuite che imita il tema e che forma una sorta di pronunciato crescendo disegnato dall'ascesa della musica stessa verso i toni acuti (btt. 17-30). 

sviluppo scherzo op.26
La seconda sezione dello scherzo

Questo gesto, che successivamente non compare più, aumenta notevolmente la tensione e l'interesse del momento e culmina con un rapido (e difficile) passaggio sulle doppie terze che si porta sul VII in 7a lasciando il posto ad una vera e propria pausa di sospensione su un unico accordo (btt. 30-45) prima della ripresa. 

doppie terze op.26
Il culmine e l'inizio della sospensione

Il tema in La bemolle maggiore ritorna fiorito di scale che si alternano tra le due mani dando l'impressione di un aumento di concitazione del pezzo che precipita velocemente e fragorosamente verso la fine. Segue una breve coda (btt. 60-68) e poi la conclusione.


ripresa scherzo op.26
Inizio della ripresa

La parte più interessante di questo intero episodio, in verità molto semplice e sostanzialmente basato su tre accordi in croce (I, V e VII in 7a) è la scrittura, semplificata al massimo e pronta per essere orchestrata. Lo stesso disegno ascendente, pizzicato e ascendente verso l'alto lo si può trovare molto simile nella sinfonia 1, di qualche numero d'opera precedente (op. 21). 
Inoltre, dalla battuta 17 in poi, si assiste ad una rapida ma progressiva restrizione della cellula tematica che contribuisce a dare un senso di tensione e precipitato alla musica, innovazione tipicamente beethoveniana, introdotta fin dalla sonata n.1 e che rende il periodare di Beethoven molto asimmetrico rispetto agli altri musicisti classici (e da qui emergerà poi la libertà tipica del romanticismo nella costruzione musicale).
Dalla battuta 68 alla 92 prende posto il Trio, la sezione centrale dello scherzo il cui nome significa "a tre" e di fatto è composta da tre singole voci. Rispetto ad altre occasioni questo trio non è che una breve sequenza di due frasi giambiche che mantengono lo stesso ritmo del pezzo e in tonalità di Re bemolle maggiore.

trio scherzo Beethoven op.26
Prima frase del trio

La melodia è nella voce più acuta (la nota più acuta dell'accordo) e cita le note della melodia dello scherzo (Fa-Mib; Lab-Sib; ecc.) e nella seconda frase un ulteriore salita in crescendo della linea melodica mantiene un po' di varietà all'interno di queste poche battute di stacco. Segue una breve coda (btt. 92-96) e la ripetizione dello scherzo.

III Movimento: Marcia funebre sulla morte di un eroe

E' il movimento più originale della sonata e la bozza di una ben più conosciuta marcia funebre che vedrà la luce con la sinfonia n. 3. E' scritta in 4/4 e nell'inusuale tonalità di La bemolle minore. Anch'essa, come il resto della sonata, parte sul levare dell'ultimo quarto e presenta la costante figurazione di ritmo puntato tipica di tutte le marce. A parte la tonalità e il Trio nel modo maggiore, questo movimento non presenta altri punti in comune con il resto della composizione; difatti esso è il nucleo originario della stessa, a cui è stato accostato tutto il resto.
La struttura della marcia è molto semplice, in forma A-B-A, con la parte A formata da un unico tema sugli accordi di La bemolle minore (I-V-I), monolitico e ben evidente (btt. 1-7), 

incipit marcia funebre op.26
Il tema

seguito da una progressione che da Do bemolle maggiore sfrutta abilmente l'enarmonia Dob-Si e si porta al culmine in Re maggiore, tonalità solenne per eccellenza (e che Beethoven utilizzerà per la sua messa molto più avanti), con un lungo crescendo disegnato dall'ascesa della melodia dal grave all'acuto (similmente allo scherzo). 

culmine tema
Punto culminante del tema


Segue una breve coda che sfrutta abilmente il re come sensibile del Mi bemolle e l'ambiguità della settima diminuita per riportarsi al La bemolle minore dove viene ripetuto il tema. Tale transizione è gestita accostando una proposta in pp ad una in ff generando un certo shock per la sua estemporaneità ed evitando l'appiattimento della sezione.

coda tema marcia funebre
Coda

La breve ripresa (btt. 22-28) riparte dal grave e si porta con un'altra ampia scalata alla tragica conclusione sempre in La bemolle minore (btt. 27-28).
Da battuta 29 a 37 (inclusa la ripetizione) c'è il Trio in La bemolle maggiore, molto semplice e corto, che vede l'alternanza di un tremolo che simula il rullo dei tamburi ad un alternanza di ottave e doppie terze, richiamando appena i guizzi di terze dello Scherzo (ma sarebbe più corretto affermare l'opposto, che è lo scherzo che anticipa la marcia).

tremoli nella marcia funebre
Trio

Al Trio segue la ripetizione di tutta la parte A più l'aggiunta di una piccola coda sul pedale di tonica, La bemolle, nelle ultime 8 battute, con una conclusione con la terza piccarda, La bemolle maggiore, in pp.
Questo secondo movimento è realizzato con semplicità ma è di grande effetto nell'ambito dell'intera sonata: emerge decisamente distanziandosi dagli altri movimenti col suo carattere cupo, la sua sua omoritmia ossessiva e i contrasti di pp seguiti da improvvisi ff carichi di disperazione per poi collegarsi al resto della composizione con la sua fine in maggiore e pp, agganciandosi direttamente al movimento seguente e dando un ultimo tocco di solennità e speranza alla memoria dell'eroe morto.

IV Movimento: Allegro

E' il finale della sonata, breve e in forma di rondò, in 2/4 e La bemolle maggiore. E' composto da un tema di 28 battute (levare dell'ultimo quarto - bt. 29) che è una sorta di invenzione a 2 voci e composta di due idee principali: una è in semicrome e scompone gli accordi della scala di La bemolle, l'altra è una sorta di controcanto di crome e accordi che completa l'armonia ma assume talvolta un ruolo melodico dominante.
Nella sua semplicità e leggerezza, con una dinamica tutta in p, questo movimento contrasta decisamente con la Marcia Funebre e si riallaccia idealmente al primo movimento e allo Scherzo, di cui riprende immediatamente anche i primi accordi (I-IV in evidenza sulle prime due quartine), la melodia (Mib-Fa-Reb-Mib, ecc.) ed anche il breve passaggio al minore (btt. 21-22) già presente nel tema con variazioni (btt. 22-23 del I Mov.).

incipit finale Beethoven op.26
Incipit del tema del rondò

Dalla battuta 30 inizia il I episodio, costruito con le idee del tema e che ruota attorno ad una lunga sospensione sul V di Mi bemolle (btt. 33-43; in sostanza è una dominante secondaria, Beethoven si muove un po' attorno ai gradi della tonalità di impianto per non essere troppo pedante).
 
primo episodio del rondò
Primo episodio con l'inizio della sospensione


L'episodio termina con una breve cadenza di bravura, decisamente pianistica, e un cromatismo che si riporta al La bemolle del tema (btt. 43-53). 

cadenza primo episodio
La cadenza

Segue la ripetizione del tema (btt. 53-81) e il II episodio, classico intermezzo nel minore, precisamente in Do minore, la tonalità prediletta di Beethoven. Questo episodio non fa altro che prolungare il gesto e l'invenzione del tema portandolo però nel dramma e opponendosi a questo in tutto e per tutto e lo fa articolandosi in due frasi: Do minore (btt. 81-90) con una modulazione a Sol minore da cui poi prende l'avvio la seconda frase, 

episodio nel minore del rondò
Episodio Ii in Do minore

che continua a sviluppare le medesime quartine, interrotte dagli accordi forti e possenti e che rapidamente modula a Mi bemolle maggiore e lasciare spazio nuovamente al tema (btt. 90-102). Questo corto episodio, allungato solo da ritornello della prima frase, non è che un piccolo guizzo drammatico, l'ultima reminiscenza di quel passaggio al minore che non tornerà più, come lo era stato la Marcia Funebre. 
Dopo la terza e ultima ripresa del tema (btt. 102-130) segue una coda che non è altro che una leggera variazione del I episodio, tutto trasportato al La bemolle maggiore e che conclude la sonata in sordina, precipitando verso il basso e nel pp, come un effetto in dissolvenza, come se tutta la sonata fosse stata un sogno che si dissolve al risveglio.

fine della sonata op.26 di Beethoven
Finale in pp che si dissolve nel nulla.


A valle di questa lunga analisi della composizione si può finalmente capire ciò che dicevo all'inizio riguardo al materiale accostato. La Marcia Funebre è il primo movimento scritto e quindi in nucleo di partenza, che contiene i semi di tutte le idee utilizzate nel seguito. Gli altri movimenti presentano una moltitudine di altre idee derivate dalla marcia, come lo scampanellio di doppie terze della variazione 4 o dello Scherzo, mentre altre sono presenti estemporaneamente e non trovano poi un seguito, come la lunga pausa sulle settime dello Scherzo che si trascina per battute e battute e che viene pure ripetuta 3 volte, come se Beethoven non trovasse nulla per andare avanti a scrivere. A ciò si aggiunge che, a differenza della Patetica o di altre sonate, l'unione formale atta a formare una sonata ciclica qui sia più grossolana, infatti i temi risultano solo rassomiglianti e condividano solo la successione armonica invece di un legame più intrinseco come accadeva infatti nell'op.13. E' diseguale anche la scrittura stessa dei movimenti, i primi tre decisamente imitanti l'orchestra (o pronti ad essere orchestrati), con le varie voci ben organizzate nelle loro tessiture e con una disposizione più verticale, armonica; l'ultimo è invece totalmente pianistico e contrappuntistico, differente dagli altri.
Tutto ciò però non toglie nulla allo sforzo fatto dal compositore per costruire un pezzo il più omogeneo possibile e anche il più originale possibile, infatti se si confronta l'op. 26 con le sonate precedenti si nota che essa non trova corrispettivo in alcuna di esse. Le soluzioni affrontate in quest'opera però troveranno in seguito il loro pieno compimento e questa sonata ne rappresenta il primo abbozzo, si pensi  alle variazioni dell'Appassionata, alla dissolvenza della Tempesta o all'adagio della V Sinfonia.

Bibliografia

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lunedì 10 maggio 2021

BEETHOVEN - Sonata n. 8 op.13 "Pathetìque"

 BEETHOVEN

Sonata n. 8 op.13 "Pathetìque"


La sonata op. 13 Pathétique è una delle più famose composizioni per pianoforte di L. van Beethoven. Essa è articolata in tre movimenti, diversamente dalle prime sonate di Beethoven di derivazione sinfonica articolate in quattro movimenti (Allegro-Adagio-Scherzo-Finale), più vicina alla forma mozartiana che trae la sonata per pianoforte dal concerto. Il primo movimento è in forma-sonata, il secondo è in forma di romanza e il terzo in forma di Rondò.

La forma-sonata, definita tale nel XIX secolo da A.B. Marx, è una forma strumentale nata nel XVIII secolo costruita attorno a due temi di carattere contrastante ed articolata in alcuni episodi: “esposizione”, ossia la presentazione dei due temi legati da un ponte modulante (essi sono in tonica e dominante se nel modo maggiore, in tonica e rispettivo maggiore se la sonata è in tonalità minore), lo “sviluppo” in cui il compositore riprende alcune idee dei temi e costruisce una sorta di divagazione su di essi e la “ripresa”, in cui i due temi ritornano entrambi sulla tonalità di impianto, talvolta leggermente variati.

La Romanza è una forma che si articola in tre episodi, similmente alla forma-sonata, ossia esposizione, sviluppo e ripresa ma è costruita attorno ad un solo tema e non sempre l’episodio di sviluppo, o che si può chiamare semplicemente ‘B’, è costruito attorno ad idee del tema, talvolta funge da vero e proprio ‘intermezzo’ in cui si propone materiale nuovo rispetto al tema della romanza (accade in alcune Romanze senza parole di F. Mendelssohn).

Il Rondò è una forma ciclica guidata da un unico tema in sé concluso che ritorna più volte nel corso del brano e che delimita diversi episodi di vario carattere. In Mozart il Rondò è spesso trattato come Rondò-sonata, dalla struttura piuttosto complessa e con la presenza di due o tre temi, in Beethoven il Rondò mantiene le sue caratteristiche originali pur avendo la ricorrenza di alcune parti.

Se inserita nel contesto del tardo classicismo, in quella fase transitoria che vede la trasformazione dall’Illuminismo al Romanticismo attraverso la Rivoluzione Francese e le Guerre Napoleoniche, la sonata Pathétique è di sicuro un pezzo sperimentale che abbandona il contegno e l’eleganza della musica che l’ha preceduta, anche nello stesso repertorio beethoveniano e propone una comunicazione decisamente più aggressiva ed esteriore visti i rapidi cambiamenti in atto.

I MOVIMENTO     

Grave - Allegro molto e con brio

Secondo molti storici, critici e musicisti il “Grave” che per tre volte compare nel corso del movimento è un intermezzo che separa gli episodi del movimento in forma-sonata; un esempio di questa procedura lo si trova in M. Clementi, nella sonata op.34 che comincia appunto con un Largo che ritorna poi nella ripresa. Beethoven fa precedere il movimento in forma sonata vero e proprio da una lunga introduzione che costituisce una sorta di “anacrusi” alla fase successiva. I successivi due rientri del Grave nel corso del movimento, soprattutto quello posto prima dell’inizio dello sviluppo, hanno la medesima funzione.

Io penso che il Grave iniziale sia un vero e proprio primo tema che contrasta nettamente col resto del movimento successivo. Così facendo la sonata diventa a tutti gli effetti tri-tematica e cerca di superare la forma a due temi usata e abusata fino ad allora. Lo stesso artificio viene portato avanti da Beethoven anche in altre opere come la Sonata per corno op.17; la sonata op. 31 n. 2 "Tempesta", e così via, affinando sempre di più la tecnica e portando i temi a diventare delle aree tematiche molto ricche di idee. Nel seguito sosterrò questa idea.

GRAVE: I Tema, in do minore, btt. 1-4. Tutto gravita attorno alla tonalità di impianto di do minore ed è caratterizzato dal ritmo puntato di lenta ed inesorabile marcia funebre: si può suddividere questo periodo in 1 battuta di proposta (Do min →Sol magg. Dominante), 1 battuta di risposta positiva (7° di sensibile→tonica) ed una breve zona di evoluzione di 2 battute con cadenza finale Sib maggiore→Mib maggiore.


incipit Beethoven Patetica
Il celebre incipit che già contiene i semi del primo e del terzo movimento. 
Infatti il Do-Re-Mib iniziale sono anche l'idea di partenza del II, del III Tema e del Rondò.


breve cadenza nell'introduzione
Breve cadenza per il passaggio al maggiore.



Segue quindi una Zona di sviluppo (btt. 5-8) che da Mi bemolle maggiore porta alla domimante di do minore, sol maggiore. E’ interessante notare come gli accordi dissonanti usati da Beethoven, come la settima diminuita, siano usati per prolungare la tensione di questo sviluppo che ha come meta finale la settima di dominante di Do minore. 



primo tema Patetica di Beethoven
Il tema ripreso in maggiore a cui segue poi una progressione alla dominante: sol maggiore


Tutto l’episodio è concluso da una lunga cadenza quasi ad improvvisazione che prepara l’Allegro seguente, in forma sonata vera e propria.


cadenza conclusiva all'introduzione della Patetica
Cadenza di sospensione alla dominante

Questo incipit è molto articolato e di per sé ha senso compiuto, quasi una piccola romanza inserita all'inizio del movimento in forma sonata ed ha la funzione di catalizzare l'attenzione su ciò che avverrà in seguito, vero cuore pulsante della composizione e di cui probabilmente il compositore andava orgoglioso, data la cura che dedica all'equilibrio della struttura.


ALLEGRO MOLTO E CON BRIO: contrasta nettamente col grave ma mantiene la stessa tonalità.


Esposizione: II Tema (btt. 11-27, in due mezzi) è caratterizzato da due brevi successioni di accordi rapidi e staccati in       salita, lunghi e sonori in discesa (proposta e risposta negativa) e conclusione in dominante. Questo tema, oltre che dalle appoggiature che alterano la scala di Do minore (mi-fa, sol-lab) è altresì caratterizzato da una sincope (bt. 13 e bt. 19) molto evidente che rende più concitata ed incalzante la proposta e riempie il vuoto che si verrebbe a creare nella ripetizione della cellula iniziale (btt 11-12). Il ritmo utilizzato per creare il tema è la seguente disposizione di accenti “- >” (considerando parte del tema l’ultima nota della cadenza del Grave, bt. 10). La conclusione del tema è sulla domimante raggiunta tramite un IV alterato.


inizio allegro con brio nella Patetica
Il II Tema che sfrutta il semitono apparso anche nei primissimi accordi del Grave.
Qui la semplice idea di una salita di semitono diventa la caratteristica dissonante della melodia.


L’episodio successivo è il Ponte modulante (btt. 27-50) i cui si sviluppano brevemente le idee appena espresse, ossia costruendo una progressione che gioca sugli intervalli di semitono esposti nel tema (fa#-sol, do-si) e conclusione in si bemolle maggiore, dominante di mi bemolle.

ponte modulante
Dettaglio del ponte modulante con la sospensione sulla dominante e lo sviluppo delle idee del I Tema



III Tema (btt- 51-88) in mi bemolle minore. Nella sonata canonica a minore risponde il relativo maggiore (come nella K457 di Mozart) ma in questo caso Beethoven vuole prolungare l’effetto drammatico e di tensione del modo minore, pertanto il secondo tema è in Mi bemolle minore. L’episodio di esposizione del II tema è lungo ed articolato: alle btt. 51-59 viene esposto il tema in Mib min. vero e proprio con proposta e risposta negativa, poi alle btt. 59-75 lo stesso tema viene modulato a Reb maggiore portandosi così verso una “zona” di maggiore. Dalla battuta 75 inizia una progressione che da Mib min. passa per Fa min. e modula alla dominante di Mib, Sib magg. tramite II in 7° e poi tramite il concatenamento VI-II6-V.


terzo tema della Patetica di Beethoven
Ecco il III Tema, in Mib minore per mantenere viva la tensione drammatica del pezzo.
Come si può notare, esso è ricavato, trasportato, dalla melodia del Grave: Do-Re-Mib -> Mib-Fa-Solb


conclusione terzo tema
Alla fine del tema si conquista la dominante e la conclusione a Mib maggiore della coda


Coda (btt. 89-132) in cui finalmente l’esposizione conquista il mi bemolle maggiore dopo due lunghe cadenze basate su una scala discendente di un’ottava e mezza da do a sol lungo la scala di Mib maggiore e porta alla conclusione sulla settima di dominante di do; ritornello. La seconda volta l’armonia è un IV gr. alterato che modula a sol minore.

cadenza finale esposizione
Il Mib è stato conquistato e parte una lunga cadenza basata su progressioni che conclude l'Esposizione.

fine esposizione Patetica di Beethoven
Ritorno del tema in Mib maggiore a conclusione dell'episodio


Sviluppo: ritorno del I Tema, ossia del Grave (btt. 133-136) con lo stesso ritmo ma modulante arditamente da sol minore a mi minore sfruttando l’enarmonia mib→re# e che introduce di nuovo l’allegro come il Grave iniziale aveva costituito un’anacrusi all’esposizione.

ripresa adagio del primo tema
Il ritorno del grave che grazie all'enarmonia mib-re# modula arditamente a Mi minore


Sviluppo basato sulla figurazione del II tema (btt. 137-148) e da tre lunghe progressioni che portano alla ripresa (bt. 195) in do minore. La proposta dello sviluppo cita nuovamente la costruzione del tema tramite le appoggiature la-sol e re#-mi e fiorisce lo squillo di dominante che si era avuto alle btt. 27 e seguenti. Successivamente, alle btt. 149-167 l’appoggio di semitono diventa caratteristico ed insistente, ancora una volta simile ad un’improvvisazione e successivamente Beethoven conduce l’episodio ad una modulazione verso il IV di Do min. e quindi in dominante. Dalla battuta 168 alla 195 la dominante è sospesa mediante una lunga cadenza virtuosistica costruita interamente su appoggiature dell’accordo di Sol maggiore e che prepara l’imminente arrivo della ripresa.

inizio sviluppo Patetica
Il ritorno del II tema in Mi minore che apre lo sviluppo

seconda fase dello sviluppo
Il semitono diventa qui elemento portante delle progressioni 

pedale di dominante
Il lungo pedale di dominante in forma di cadenza virtuosistica in cui il II tema ritorna ossessivamente


Ripresa: il II Tema ricomincia uguale all’esposizione (btt. 195-220) ma viene omesso il ponte modulante in favore di una progressione che modula al IV grado, ossia al fa minore

Il III Tema è in fa minore (btt. 221-230) per prolungare l’effetto drammatico come nell’esposizione e si porta progressivamente al do minore solo da bt. 233 in poi, sfruttando il ruolo del do come dominante di fa.


ritorno del terzo tema
Il ritorno del III Tema in Fa minore



Coda ripresa dall’esposizione (btt. 253-294) e trasportata interamente in do minore oscillando continuamente tra il Fa min. e il Do min. per raggiungere poi la cadenza V→I solo alla fine. 
Anche in conclusione di questo episodio ricompare il II Tema che conclude in maniera drammatica tutta questa fase concitata e frenetica con due pesanti accordi di 7° sul IV gr. alterato creando un'ultima sospensione, quasi a lasciare intendere che lo spettacolo non sia concluso ma abbia ancora qualcosa da dire.

Ultima citazione dell’introduzione, ancora in do minore, ma questa volta acefala. Il significato di questa ultima citazione risiede nel fatto che Beethoven vuole dare all’ascoltatore un chiaro segnale che sta per succedere un’ulteriore novità che si rivelerà essere poi la conclusione del movimento. Questa ulteriore citazione, acefala onde prolungare il silenzio ed il momento di attesa, funge ancora una volta da anacrusi per la successiva rapida coda ed ancora una volta espone all’ascoltatore alle forti e tese dissonanze che hanno caratterizzato tutto il movimento della sonata.

ultimo ritorno del primo tema
L'ultimo ritorno del I Tema


Piccola coda (btt. 299-310) con l’ultima evocazione del I Tema e che precipita verso l’ultima sequenza di accordi in ff e drammatici che conclude il movimento.

II MOVIMENTO    

Adagio cantabile

Si tratta di una Romanza in La bemolle maggiore caratterizzata da una melodia, un basso ed una tessitura di accompagnamento intermedia. E' un vero e proprio intermezzo in quanto rompe la continuità drammatica del I movimento e del Rondò che segue. Con un po' di malizia si può notare che il tema della romanza è vagamente imparentato con il materiale già ampiamente sfruttato in precedenza semplicemente esponendolo al contrario e rovesciato (Do - Re - Mib - > Mib - Reb - Do) e camuffandolo con un salto di quinta subito prima (Sib - Mib). Ciò crea una sensazione di dejà-vu nell'ascoltatore e non sente questo movimento come completamente straneo al contesto.

Esposizione: il tema in lab viene presentato netto e preciso (btt. 1-8) a cui segue una risposta positiva rinforzata a quattro voci (btt. 9-16).


incipit secondo movimento della Patetica
Il ben caratteristico tema della Romanza alla voce più acuta



Sviluppo basato sull’idea delle quattro note di chiusura del tema che modula al mi bemolle maggiore per riesporre il tema (btt. 17-28).


sviluppo interno
Parte del piccolo sviluppo interno all'esposizione


gioco di imitazioni sul tema
La serie di imitazioni sulla dominante che riporta al tema prima della conclusione


Sviluppo: la tonalità passa al la bemolle minore e il tema portante dell’episodio è suggerito dal basso del tema principale (btt. 37-50); la terzina, comparsa fugacemente tra la proposta e la risposta nell’episodio precedente, diventa l’elemento caratterizzante del momento.


ripresa del tema
Il tema viene riproposto in La bemolle minore iniziando lo sviluppo

Ripresa: Il tema ritorna variato con l’accompagnamento di terzine e vengono ripresentate proposta e risposta positiva (btt. 51-66).

ritorno del tema variato
Ripresa in La bemolle maggiore

III MOVIMENTO

Allegro

Si tratta di un Rondò il cui tema autoconclusivo è tratto combinando elementi del I e del III tema del I Movimento. Il tema portante è la riproposizione del I e del III tema del primo movimento con Sol - Do il salto di quinta (come Sib - Mib) e Do - Re - Mib il caratteristico inciso, monolitico e rappresentativo dell'intera sonata, seguito dalle terze minori Fa - Re, Mib - Do che lo legano anche al secondo movimento (Do - Mib, Sib - Reb) chiudendo così in poche note tutto il ciclo appena percorso e dando all'ascoltatore la sensazione dell'inevitabilità di ciò che sta accadendo.

Tema (btt. 1-17): si tratta del tema del ritornello del Rondò, Allegro ed in do minore, caratterizzato da una proposta (btt. 1-8), da una risposta negativa (btt. 8-12) e da una coda (btt. 12-17).

inizio rondò della Patetica di Beethoven
L'incipit del tema iniziale, poi segue la risposta con la ripetizione appena fiorita della proposta

Episodio 1 (btt. 13-60): lungo episodio in cui l’autore modula immediatamente a Mi bemolle maggiore richiamando le fioriture della vicina coda del tema e poi gioca con due lunghe cadenze fiorite con terzine sempre in Mi bemolle maggiore. Segue un breve inciso "corale" in cui la medesima linea melodica viene variata e segue poi la cadenza conclusiva. L’episodio finisce con una brusca modulazione a do minore (btt. 55-60).

progressione
La progressione che modula a Mib maggiore tramite il Fa

fioriture del tema
L'episodio in Mib maggiore, si noti come Beethoven insista a fiorire all'interno di intervalli di terza.
Espediente che non si distacca del tutto da quanto esposto finora.

nuove fioriture di sospensione
L'abile fioritura con cui Beethoven manipola la proposta in maggiore appena fatta 

inciso corale
Il breve inciso corale

Ritornello (btt. 61-77): tutto il Tema viene ripetuto.

Episodio 2 (btt. 78-119): contrastando dall’episodio precedente che inizia con fioriture di arpeggi di quinte, il motivetto passa in La bemolle maggiore formando dei canoni per moto contrario (btt. 78-105) a due o tre voci che portano ad una lunga cadenza su sol maggiore, dominante di do minore (btt. 106-119).



canone
Il canone per moto contrario che caratterizza l'episodio in La bemolle maggiore

pedale di dominante
La cadenza ricavata sul pedale di dominante

Ritornello (btt. 120-130): questa volta viene presentato variato con la risposta tronca e in canone al basso.

canone nella ripresa
Canone durante la ripresa del Tema

Episodio 3 (btt. 131-169): la prima parte è costituita dalla ripetizione del primo episodio trasportato alla dominante, sol maggiore (btt. 131-142). A questa segue una lunga cadenza che riprende il gioco in canone sulle terzine dell’Episodio 1 e si mantiene sempre su sol maggiore. L’episodio si può interpretare sia come ripresa di un ipotetico secondo tema se lo si valuta come un Rondò-sonata sia come un lungo pedale di dominante che genera attesa per la coda briosa e virtuosistica di drammatico impeto di do minore.

ripresa dell'episodio in sol
Ripresa dell'Episodio 1 in Sol maggiore

Ritornello (btt. 170-177): è l’ultima apparizione del tema, acefalo e senza la risposta, che prepara la coda brillante.

Finale (btt. 177-Fine): lunga coda sul do minore, fiorita con le terzine di croma che insiste ossessivamente sulla cadenza V-I e relativi gradi per prolungare l’attesa dell’ormai imminente conclusione: a bt. 198 vi è un V-I in la bemolle maggiore, cadenza di inganno e che richiama infine per l’ultima volta il tema del Rondò. In questo punto Beethoven ha inserito una breve pausa, una piccola ripetizione del tema in La bemolle maggiore, in pp, e delle pause che creano l'attesa finale con cui si appresta ad uscire di scena
Segue una breve cadenza V-I di do minore nelle ultime due battute, lungo una rapida scala di terzine e che conclude improvvisamente tutta l’opera.
L'ultimo inciso è stato usato anche nel primo album del Banco del Mutuo Soccorso in conclusione del loro ciclo di canzoni.

coda e cadenza della Patetica
L'arrivo della coda virtuosistica che conclude la sonata

finale della Patetica di Beethoven
L'impeto finale dopo una piccola pausa


Bibliografia

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