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martedì 20 agosto 2024

PICCOLI RACCONTI SOTTO AL CASTELLO - Episodio 2

PICCOLI RACCONTI 

SOTTO AL CASTELLO 

Ascensioni a Rocca Pendice 

Ep.2

Il Rocca Pendice, oltre ad essere il punto di partenza di questa narrazione, è anche la salvezza di tante giornate che altrimenti sarebbero passate tranquillamente al bar a tracannare bevande ricche di combustibile alcolico e di discorsi maschili altamente improbabili.
In questo episodio mi diletto ad annoiare il lettore con il racconto della mia esperienza su di una via storica del Rocca, dimenticata a torto dalla stragrande maggioranza dei frequentatori ma che ha il pregio di regalare la possibilità di farsi prendere bellamente in giro da chi non capisce un certo alpinismo d'antan fatto di lotta con l'alpe, appigli piccolissimi, tempeste, bivacchi nel freddo e altre amenità simili. 
Questa perlina è gelosamente custodita nel cuore della est del Rocca Pendice e mi è costata qualche tentativo e la consueta dose di sacramentazioni alla Trascendenza.

LA DIRETTISSIMA

La Direttissima è un itinerario particolare, aperto nel 1940 in piena guerra mondiale e che nella storia del Rocca è costato pure un bivacco, ed è purtroppo uno di quelli che hanno subito l'imperversare delle mode e dei modaioli che, citando Gianpiero Motti, sono i vari re e reucci locali che hanno in qualche modo imposto ai frequentatori un lento e progressivo abbandono della stessa. Fortunatamente, come sono venuto a sapere, la Direttissima è stata mantenuta in vita da alcuni appassionati dei vecchi itinerari (vedi la relazione) che, accanto ai fusti nudi, muscolosi e anneriti dal sole, alle magliettine attillate che a stento racchiudono seni sudati e temprati dalla palestra, finiscono per fare la figura del Capitano Achab al Papeete di Rimini. 

Mi appassionai a questa via subito dopo aver comprato la prima versione della guida del Rocca Pendice, ormai tanti di quegli anni fa che potrei essere io il capitano di vascello a caccia di Moby Dick, ma all'epoca avevo idee molto ingenue e così feci il primo tentativo con il caro (o sfortunato) Stefano. Tali tentativi, devo ammettere, non erano corrisposti con strabordante entusiasmo, anzi potevo percepire tutto l'odio che il compagno provava per me. Così tentai l'approccio con molta timidezza, entrando da una cengia laterale e lottando contro rovi tenaci e assetati di sangue fresco, per riuscire a buttarmi giù la corda dall'alto e provare la prima difficile lunghezza che allora era ben al di sopra delle mie magre possibilità. 
Più che tentativi, essi furono una specie di prove in cui si poteva ammirare un brontosauro tentare di superare uno scoglio, sotto gli occhi compassionevoli dei vicini. Inutile dire che non prendemmo minimamente in considerazione l'idea di proseguire e che la via venne presto mandata nel dimenticatoio. 

2019


Venne l'autunno 2019, per la precisione il mese di Novembre. Il fatto che fosse Novembre è importante: pur non essendoci più i "novembri" di una volta (ma come sono anziano!), questo mese crea una falsa illusione di tepore e clima gradevole, quando invece è umido, maledettamente umido e alla prima gocciolata dal cielo tutto si trasforma in pantano che ingoia le persone. Ma io, pur da esperto frequentatore del posto, mi illudo che i Colli Euganei facciano eccezione solo perché io vi abito vicino e che si pieghino al mio volere, dato che qualche filosofo disse che la realtà è creata direttamente da noi stessi. Balle! Colossali e mendaci balle! 
Venne quindi quel mese di Novembre e mi trovai a proporre qualcosa agli altri compagni per salvare un fine settimana in cui, disgraziatamente aveva piovuto. Per ambizione di poter dire in giro di aver percorso tutti (quasi tutti) gli itinerari lunghi di Rocca mi ricordai  di questo itinerario che avevo accantonato molto tempo prima e che, vendendola bene ai soci, avrei potuto tranquillamente farmi scarrozzare su come un sacco di patate e soddisfare così il mio desiderio vanaglorioso col minimo sforzo.
Giustamente è destino che piani tanto diabolici siano destinati al fallimento, specie quando sono basati su menzogne che il soggetto rivolge direttamente a se stesso.
Invitai così i fidi Bruno e Moreno, da poco conosciuti, a tentare la salita di questa via che avrebbe sicuramente soddisfatto le loro aspettative. Inizialmente non ricevetti una grande partecipazione ma insistetti che sicuramente avremmo trovato tutto in perfette condizioni e che in fondo Rocca non era che una grande falesia, giusta per passare una giornata in tranquillità. Pur di fare qualcosa e di non passare la giornata al bar come caldeggiato in precedenza, vennero lo stesso. 
Ecco il misero fallimento del piano di un losco approfittatore: una volta arrivati, trovammo la parete rigata da colate d'acqua dovute alla pioggia di due giorni prima. I due vorrebbero quasi andarsene ma io insistetti che tutto sommato la linea da seguire era abbastanza asciutta da lasciarsi arrampicare. Dopo qualche tentennamento si convinsero a provare a fare qualcosa e Moreno si avventò sul primo tiro come lupo sull'agnello, più per la rabbia di essere giunto fin lì che per volontà di combinare davvero qualcosa e arrivò alla cengetta sopra la prima fascia di strapiombi tra una bestemmia e l'altra. 
Fin qui tutto andò bene ma sopra era un orrore gocciolante. Ripartì Moreno verso lo scheggione successivo non troppo convinto e lo trovò completamente fradicio. Seguì il consueto battibecco sul fatto che era meglio tornare giù, che la via non andava, che era tempo perso, ma perché eravamo finiti lì ma io e Bruno, prendendo in giro la sua virilità lo convincemmo a proseguire. Dopo averci maledetti in una lingua oscura e arcana, Moreno aggirò il primo diedro issandosi come un gorilla sui fix di una placca che si presentava un minimo asciutta per arrivare poi al grande diedro al centro della parete. Lottò duramente per averne ragione, sia per la posizione scomoda che esso obbliga ad assumere che per il muschio bagnato ma alla fine arrivò alla misera sosta in aperta parete, su una sorta di nido d'aquila. Io e Bruno lo seguimmo con la fatica di ottantenni ad una staffetta e poi guardammo verso l'alto. La situazione che ci aspettava non era per nulla incoraggiante, anzi peggiorava decisamente: tutta la parete era coperta di muschi gonfi d'acqua e gronda sempre di più. Moreno fece un tentativo verso una piccola nicchia da cui pendevano dei cordoni così consunti da avere sviluppato una fauna aliena all'ecosistema attuale ma desistette con nostro rammarico (e suo sollievo) e fummo costretti a rientrare. 
Eccoci qui davanti ad uno di quegli itinerari che mostrano i denti e che a fine giornata ci ha appioppato una prima sconfitta. 
Me la legai al dito in attesa del momento giusto di contrattaccare.

2022


Passano nel frattempo tre anni, in cui tengo nel cassetto questa via a Rocca quando l'occasione si presenta una mattina di autunno, questa volta in anticipo rispetto alla volta precedente. Non c'è molta voglia di andare raminghi verso mete lontane e quindi ripropongo a Bruno di chiudere i conti. Questa volta arriviamo da un lungo periodo di siccità e la parete è completamente asciutta, il tempo è caldo e il muschio si polverizza al tatto restituendo quell'aderenza tanto bella e rassicurante che permette l'arrampicata in scioltezza. 
Questa volta Moreno non è della partita perciò ci arrangiamo. Arriviamo alla base con la spavalderia di chi già conosce il supplizio che lo attende: Bruno è fresco e parte veloce sulla prima lunghezza, lasciando a me l'incomodo del grande e difficile diedro. La volta scorsa l'ho goduto poco a causa dell'umidità e pertanto riparto dalla sosta con tranquillità traversando a destra al primo diedrino formato da uno scheggione appoggiato, quello che la volta scorsa era completamente fradicio e inscalabile adesso è secco e incendiato. Lo attacco baldanzoso tirando la fessura di fondo in Dulfer (tecnica per salire i diedri con i piedi puntati sulla parete e le mani in fessura) per accorgermi solo in posizione molto precaria che non ci sono appoggi degni di questo nome per i piedi e che il bordo che sto afferrando diviene sempre più arrotondato. Non ho messo nessuna protezione credendo il diedro facile e mi rendo subito conto del mio colpo di intelligenza.
Sono quindi costretto a ridiscendere, infilare un friend tra i denti e risalire fino al punto massimo infilando la camma a tentoni mentre mi reggo in una posizione scomodissima, inarcato in obliquo verso l'esterno. Fortunatamente il friend entra bene nella fessura e mi ci appendo con una staffa per superare il tratto liscio (meglio non tirare troppo all'esterno). Esco dal diedrino e traverso verso destra lungo una placca giallastra con dei vecchi chiodi che è più facile di quel che sembra ma richiede comunque un'arrampicata attenta. Arrivato alla base strapiombante del grande diedro mi innalzo faticosamente introducendomi nella fenditura di fondo, chiusa a busta molto stretta. 
In questo punto la memoria mi tradisce perché non ricordavo che fosse così aggettante e liscio e inoltre è protetto solo da dei vecchi chiodi che sono parecchio arrugginiti. Non potendo azzardare più di tanto a trazionare i chiodi decido di far lavorare le staffe saggiando accuratamente un ancoraggio dopo l'altro e poi caricoandoli a taglio, lasciando la corda rinviata solo sui chiodi migliori e raggiungendo la sosta dopo un po' di tempo di vero impegno. Recupero Bruno con un attrito pazzesco della corda che, malgrado tutta la mia attenzione, sfrega in modo pazzesco contro lo spigolo del diedro. Lui mi maledice in diversi modi per non aver lasciato la corda passata in tutti i chiodi e questo ha comportato il simpatico lavoro di lotta contro l'aggetto del diedro incrementato dal tiraggio della fune. Mi raggiunge dopo un po' di fatica e adesso tocca a lui issarsi sulla placca che ci ha respinto nel tentativo precedente. Questa volta la roccia è così riarsa che se venisse un monsone resterebbe ancora asciutta. L'arrampicata procede tranquilla e l'ostacolo è già superato tanto che io lo raggiungo subito dopo su una stretta cornice sotto un doccione strapiombante, naturalmente senza farmi mancare una battaglia contro un rovo maledetto e tenace. 
Eccoci nella metà superiore del muro est del Rocca Pendice: da qui in avanti il percorso non è molto chiaro, la parete è coperta di muschio e c'è una marasma di vecchi spit arrugginiti in tutte le direzioni; si vede che è da molto che nessuno sale oltre questo punto. 
Tocca di nuovo a me e provo ad innalzarmi lungo il doccione, la roccia muschiata è molto scivolosa, nasconde gli appigli e non riesco a fare presa coi piedi sulle minuscole asperità visibili. Tento allora con le staffe ma anche così non guadagno molto terreno, gli spit sono troppo lontani e per giunta coperti dal muschio, per di più tutte le fessure sono cieche e non si riesce a piazzare nulla per progredire. Ritorno alla sosta e cedo il passo a Bruno che si arena dopo qualche metro come il sottoscritto nel medesimo punto, prova e riprova ma non guadagna nulla. Poco dopo, come preso da un guizzo di stizza e ardimento prova a spostarsi a destra in una svasatura con fix nuovi e nota una rampetta con minuscoli appigli che piega a sinistra, più facile di quel che sembra perché presenta delle asperità a cui aggrapparsi. Bruno abbandona i fix e segue la rampa con mia grande apprensione in quanto la roccia è compatta e non si lascia chiodare in modo consono. Dopo qualche metro egli sbuca sopra lo spigolo aggettante che ci sbarra la strada e supera un ulteriore strapiombo dove era rimasto un enorme chiodo anellato probabilmente lì ancora dai tempi dell'apertura, prima di arrivare alla grande cengia superiore. 
Mi tocca la traversata vegetale della cengia mentre a Bruno capita la salita del difficile grande diedro successivo, quello dove escono le vie provenienti dal pilastro, rientrando così in una zona frequentata. Nell'ultimo tratto, che spetta a me, per superare uno strapiombo difficile, per poco non pianto il fondoschiena a terra a causa di un chiodo vecchio e marcio che quasi mi resta in mano e che mi costringe ad una disperata manovra con un friend per uscirne e poco dopo sbuco sulla vetta.
E' tardo pomeriggio, due escursionisti ci salutano e ci avviamo verso il basso pensando ancora ai passaggi intensi affrontati su questo itinerario ancora celato tra le pieghe del falesione Rocca Pendice, itinerario veramente per pochi amanti del genere.

Strapiombo iniziale
Strapiombo iniziale nel primo tentativo

Grande diedro

Grande diedro 2
Due vedute del diedro in due diversi tentativi

Terzo tiro della Direttissima
Parte superiore


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