CIMA D'ASTA
Via Lino Egidio
Il 2014 fu un anno magro e di cui ricordo poco, in parte a causa del maltempo e in parte a causa di problemi di studio ma una delle uscite meritevoli di essere ricordate fu questa.
Giovanni organizzò quell'estate un meeting di amici tra escursionisti e rocciatori e di questi ultimi riuscimmo a formare due cordate con l'intenzione di percorrere una via sulla bella e granitica parete sud di Cima d'Asta. Avevo già affrontato delle salite fisicamente faticose e pensavo che sarebbe stata l'occasione di rimettermi in sesto dopo tanta attesa ma in verità non sapevo a cosa stavo andando incontro. Ero completamente fuori forma, in un modo che mi sorprese del tutto, peggio che negli anni precedenti e la salita al Rifugio Ottone Brentari fu infatti un supplizio al punto che per togliere la forma quadra al mio posteriore dovetti quasi ricorrere allo scalpello. A ciò ci mettemmo anche il fatto che non volevo assolutamente perdermi la via a Cima d'Asta e che non volevo assolutamente apparire meno degli altri, avevo un'immagine da mantenere (?).
La salita lungo il sentiero, di per sé non troppo impegnativa, fu sufficiente ad esaurire il mio povero bacino di risorse disponibili, tanto che arrancavo sul sentiero cercando in ogni modo di risparmiare energie e di mantenere un contegno dignitoso, implorando che una bufera, un asteroide o la guerra atomica ponesse fine al supplizio. Per poco non fui ascoltato perché un acquazzone violento ci flagellò per una buona parte della salita, formando torrenti dove prima non c'erano e il freddo pungente si insediò in quota, rendendo obbligatorio il vestirsi pesante.
Arrivai al rifugio abbastanza cotto, con l'impellente desiderio di dormire ma per non fare il separatista mi sorbii tutta la festa della sera per i ritrovati del meeting, tenendomi gli occhi aperti con gli stuzzicadenti. Anche se dormii nel camerone non udii nessun suono fino alla sveglia della mattina.
Il mattino seguente, ancora un po' rintronato dal giorno prima, raccolsi le forze, credendo erroneamente che una notte di cibo e buon sonno m'avesse potuto ristabilire in fretta e mi misi in cammino con Giovanni e con gli altri due arrampicatori per andare a ripetere una via sulla parete di Cima d'Asta. Il primo obbiettivo era la via Roger, una delle vie dure di Cima d'Asta, a perpendicolo sotto la vetta ma le cascate d'acqua che ancora scolavano giù per i camini ci invitarono gentilmente a far ricadere la nostra scelta sulla via Lino Eigidio perché in quel momento era l'unica via che si presentasse meno bagnata (asciutta era pretendere troppo).
Iniziammo la via sotto un bel sole ma sempre vestiti di tutto punto perché l'astro non era sufficiente a scaldare l'aria, ancora densa di vapori delle piogge cadute nei giorni precedenti e di una brezzolina fredda che saliva dal fondovalle. Gli altri partirono di gran carriera e noi ci accodammo con buon ritmo, sotto delle colate d'acqua gelida lungo lastroni di granito che erano un vero supplizio per mani e piedi. Malgrado il freddo, la via scorse abbastanza tranquilla e veloce con Giovanni in testa fino ai camini terminali quando un tuono rimbombò alle nostre spalle; ci voltammo e ci trovammo improvvisamente in un cielo surreale: la vetta cominciò ad essere inghiottita da nubi nere, segno di un temporale da nord, e dietro sulla valle nubi alcune nubi bianche interruppero il sereno nascondendo altri cumulonembi in arrivo da ovest, il tutto mentre su di noi splendeva il sole.
Cominciammo a correre verso l'uscita incuranti dei continui rivoli d'acqua mentre i tuoni si facevano sempre più vicini; inutile dire che correre era un modo per mettere le mie energie in riserva, considerando anche il fatto che bisognava tornare poi a valle. Per guadagnare tempo Giovanni prese a recuperarmi a spalla o su degli spuntoni con l'implicito imperativo "vietato volare", specie sul friabile pendio finale cosparso di blocchi traballanti; lo sapevo, era sensato, tenni la concentrazione fino all'ultimo centimetro e tutto filò liscio.
Alla fine, proprio quando fummo inghiottiti completamente dalle nuvole scure, raggiungemmo la cresta sommitale, fuori dai pericolosi camini della via. Qui tirammo il fiato e incominciammo, o meglio, io incominciai piano piano la discesa lungo il sentiero sulle gande di granito per rientrare al rifugio. Io ero il più stanco della combriccola e rimasi indietro, scendendo con attenzione a gambe rigide perché tendevano ad addormentarsi, abbastanza spossato dalla corsa fatta su per la via e per il poco allenamento che ora cominciava a farsi determinante. Mentre scendevo il dolce declivio che porta al rifugio mi ritrovai sommerso da una grandinata fittissima e circondato da fulmini come in un film di fantascienza. A coronare il simpatico quadretto ci fu il fatto che ero completamente ricoperto dall'acciaio del materiale di arrampicata; provai a infilare la mantella che finì col coprirmi solo in parte e così potei godere l'orgasmo dello zaino inzuppato e della grandine nel collo fino infondo. Raggiunsi il rifugio sano e salvo dopo essermi gustato interamente la grandinata, immerso in un paesaggio invernale che fino ad allora avevo letto solo nei libri. Nella discesa mi cadde anche la corda lungo il sentiero e la mia faccia da zombie convinse Giovanni a fare un salto a prenderla, fortunatamente non era tanto distante.
La discesa dal Rifugio Brentari fu tranquilla, in un andirivieni di temporali ma col meteo che volse gradualmente al bello e fu in questo momento che feci la conoscenza del "Bocia", futuro partner in nuove e "mirabolanti" imprese.
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La parete sud di Cima d'Asta dal Rifugio Brentari
In azione sulla parte iniziale, quando il meteo era ancora bello
Lungo i bellissimi camini
Verso il laghetto di Cima d'Asta col tempo che va peggiorando
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