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martedì 31 marzo 2020

SAINT SAENS - 6 Etudes pour la maine gauche seule op. 135

CAMILLE SAINT-SAENS


6 Etudes pour la maine gauche seule op. 135


Scritti nel 1912, questa piccola raccolta di studi è destinata all'esecuzione della sola mano sinistra, un fatto abbastanza comune nell'ambito del pianoforte. Fanno parte di un interessante repertorio scritto a tal proposito di circa 1100 studi, trascrizioni diverse e ben 50 concerti, tra cui il celebre di Maurice Ravel scritto per il pianista Paul Wittgenstein. Il motivo, come scritto in un interessante articolo apparso sul Sole 24 ore nel 2014 di Arnaldo Benini, non è chiaro ma il mondo della musica ha sempre reputato la mano sinistra la mano più idonea all'esecuzione, pur non essendo la dominante. Di per contro la destra possiede un repertorio specifico di circa una decina di pezzi, una frazione infinitesima di quello fin qui considerato. Le neuroscienze spiegano questo fatto con la connessione della mano sinistra all'emisfero destro del cervello sensibile agli stimoli inattesi e quindi tale mano reagisce molto più rapidamente della rivale. 
Al di là di queste considerazioni, Saint Saens ci presenta  in quest'opera una piccola suite di sei pezzi di gusto neoclassico, in cui ritornano alcune forme del passato quali la Fuga e la Bourrée, trasportate in una prassi compositiva più novecentesca ma ancora ancorata al sistema tradizionale di scrittura tonale.
La suite è composta da:
  1. Prelude
  2. Alla fuga
  3. Moto perpetuo
  4. Bourrée
  5. Elégie
  6. Gigue
Il Prelude è un piccolo studio di arpeggi e note tenute in sol maggiore, in 3/4 e Allegretto moderato. La sua caratteristica principale, rimarcata per tutto lo studio, è il piccolo arpeggio di proposta di 1/8 a cui seguono 2/4 in crome staccate, due elementi molto diversi e contrastanti che si ripetono con alcune variazioni per tutto il brano. La struttura dello studio è all'incirca A-B-A'-C in cui A è il tema e la sua ripresa variata (le crome staccate diventano semicrome), cui segue una lunga cadenza in terzine che è B, ad A' vi è una sorta di ripresa in Sol maggiore a cui segue una coda con due lunghe progressioni di semicrome e note tenute prima di C, la coda conclusiva.

Il secondo studio, Alla fuga, è come da titolo, una fuga a due voci in Sol maggiore e 2/4, Allegro non troppo, dove l'autore fa sfoggio delle sue capacità contrappuntistiche. Segue la tipica struttura della fuga scolastica di Esposizione-Divertimento-Ripresa alle sottodominanti-Stretti e conclusione. I divertimenti sono costruiti sul caratteristico elemento del tema, la quartina di semicrome, e sui rovesci del tema.

Il Moto perpetuo, è uno studio per le cinque dita articolate, in 3/8 e Mi maggiore, Allegretto, in forma A-B-A e caratterizzato dalla ripresa di diversi atteggiamenti in tonalità diverse durante la rapida sezione B. E' uno studio per l'articolazione delle dita della mano sinistra in modi diversi, dagli arpeggi su intervalli di terza, agli arpeggi semplici, entrambi ascendenti e discendenti.

Il quarto studio è una Bourée, in 2/2 e Molto Allegro in sol minore, ricalca la forma di questa danza francese, originaria dell'Alvernia. La Buorée, o Bourrée, è una danza veloce, in due movimenti, come nella versione più diffusa, e proviene dal Medioevo. Lo studio di Saint-Saens trae ispirazione dalla danza tradizionale per rimaneggiarne poi la forma, estendendo quella che doveva essere la parte B, detta Musette, sempre veloce ma di carattere più dolce e contrastante con la Bourrée che aveva la funzione di piccolo intermezzo prima della ripetizione. Saint-Saens, dopo 21 battute di esposizione che formano la parte A, introduce una sorta di risposta in Si bemolle maggiore alla parte A, a cui segue una cadenza di ben 12 battute che modula nuovamente a Sol minore in cui avviene la ripresa di A. La Musette segue questa ripresa passando a Sol maggiore in una lunga cadenza su pedale di sol di ben 30 battute prima della ripresa finale di A. Tutta la parte A, leggermente variata, viene ripetuta, inclusa la risposta in Si bemolle maggiore, poi la Musette fa un'ultima apparizione come coda del pezzo, in Sol maggiore.

Il quinto studio è intitolato élégie, Poco adagio in 3/4, ed è il più interessante della raccolta. Come di consueto è articolato in una forma A-B-A ma a loro volta esse contengono alcuni piccoli episodi al loro interno e di carattere contrastante. Il brano inizia in Re bemolle maggiore con una prima proposizione formata da botta e risposta di 3+3 battute: le prime tre battute statiche e su accordi arpeggiati, le seconde 3 più dinamiche e con un motivetto discendente che si muove all'interno della scala di Re bemolle con relative appoggiature armoniche. Dopo un'iterazione della proposizione segue un nuovo tema in Re bemolle, molto cantabile e caraterizzato da un canto e da un accompagnamento, che dura ben 18 battute e si conclude in dominante dopo una piccola coda nuovamente statica su accordi e concede alla parte B l'inizio.
La parte B si porta spostandosi di semitono direttamente a La maggiore, e ci presenta un tema che modula poi progressivamente verso il Fa# minore, grave e cupo ed intervallato da arpeggi, tutto forte e che contrasta decisamente col carattere della parte A. Dopo 8 battute sorprendentemente lo stesso tema viene re-iterato in Fa maggiore e relativi gradi per portarsi progressivamente a Mi bemolle maggiore. Segue una lunga cadenza di 12 battute in cui viene introdotta la novità delle terzine e che viene sviluppata prima con movimento rapido e poi più lento su doppie seste rimodulando nuovamente alla ripresa di A, che viene ripetuto con alcune piccole variazioni e l'inserimento di una piccola cadenza tra i due temi in Re bemolle. Segue una coda e la conclusione.

L'ultimo studio è una Gigue, alla francese, in Sol maggiore, Presto e in 3/8, come da tradizione barocca. E' lo studio riassuntivo dell'opera in cui vengono riproposte tutte le difficoltà esplorate nei precedenti e il compositore coglie l'occasione di sviluppare lungamente il tema in maniere diverse, anche aggiungendo una seconda voce in contrappunto con la prima, onde riprendere tutto quanto è stato mostrato in precedenza. Lo studio è sempre in forma A-B-A ma le sezioni, per i motivi di cui sopra, risultano meno nette e la B prevale di gran lunga sulle altre due, infatti la vera e propria ripresa avviene solo alla fine come un breve richiamo del tema prima della conclusione.


ENGLISH VERSION

Written in 1912, this small collection of studies is intended for playing the left hand only, a fairly common occurrence in the piano world. They are part of an interesting repertoire of 1100 studies written in this regard, different transcriptions and 50 concerts, including the famous one by Maurice Ravel written for the pianist Paul Wittgenstein. The reason, as written in an interesting article published in Arnaldo Benini's Sole 24 ore in 2014, is not clear but the world of music has always considered the left hand the most suitable hand for execution, even if it is not the dominant one. On the other hand, the right has a specific repertoire of about ten pieces, an infinitesimal fraction of that considered so far. Neuroscience explains this fact with the connection of the left hand to the right hemisphere of the brain sensitive to unexpected stimuli and therefore this hand reacts much more quickly than its rival.
Beyond these considerations, Saint Saens presents us in this work a small suite of six pieces of neoclassical taste, in which some forms of the past such as the Fugue and the Bourrée return, transported in a more twentieth-century compositional practice but still anchored to the traditional tonal writing system.
The suite consists of:
  1. Prelude
  2. Alla fuga
  3. Moto perpetuo
  4. Bourrée
  5. Elégie
  6. Gigue
The Prelude is a small study of arpeggios and notes held in G major, in 3/4 and Allegretto moderato. Its main feature, remarked throughout the study, is the small 1/8 proposal arpeggio followed by 2/4 in detached eighth notes, two very different and contrasting elements that are repeated with some variations throughout the piece. The structure of the study is roughly A-B-A'-C in which A is the theme and its varied reprise (the detached eighth notes become sixteenth notes), followed by a long cadenza in triplets which is B, at A 'there is a sort of reprise in G major followed by a coda with two long semiquaver progressions and notes held before C, the concluding coda.

The second study, Alla Fuga, is, as the title suggests, a fugue for two voices in G major and 2/4, Allegro non too much, where the author shows off his counterpoint abilities. The typical school escape structure of Exposure-Entertainment-Shooting to the subdominants-Straits and conclusion follows. The divertimenti are built on the characteristic element of the theme, the sixteenth note quatrain, and on the reverse of the theme.

Moto perpetuo is a study for the five articulated fingers, in 3/8 and E major, Allegretto, in form A-B-A and characterized by the resumption of different attitudes in different tones during the rapid section B. It is a study for the articulation of the fingers of the left hand in different ways, from arpeggios on third intervals, to simple arpeggios, both ascending and descending.

The fourth study is a Bourée, in 2/2 and Molto Allegro in G minor, following the form of this French dance, originally from Auvergne. La Buorée, or Bourrée, is a fast dance, in two movements, as in the most common version, and comes from the Middle Ages. The Saint-Saens studio draws inspiration from traditional dance to then rework its form, extending what was supposed to be part B, called Musette, always fast but with a sweeter and contrasting character with the Bourrée which had the function of a small interlude before the repetition. Saint-Saens, after 21 bars of exposure that form part A, introduces a sort of response in B flat major to part A, followed by a cadence of 12 bars that modulates again to G minor in which the reprise of A takes place Musette follows this reprise by moving to G major in a long cadenza on a G pedal of 30 bars before the final reprise of A. The whole A part, slightly varied, is repeated, including the response in B flat major, then the Musette makes a final appearance as the coda of the piece, in G major.

The fifth study is entitled élégie, Poco adagio in 3/4, and is the most interesting of the collection. As usual it is articulated in an A-B-A form but in turn they contain some small episodes within them and of a contrasting character. The piece begins in D flat major with a first proposition made up of a hit and answer of 3 + 3 bars: the first three static bars and on arpeggiated chords, the second 3 more dynamic and with a descending tune that moves within the scale of D flat with relative harmonic supports. After an iteration of the proposition, a new theme in D flat follows, very cantabile and characterized by a song and an accompaniment, which lasts 18 bars and ends in dominant after a small coda again static on chords and grants part B the 'Start.
Part B moves by semitone directly to A major, and presents us with a theme that then gradually modulates towards F # minor, low and dark and interspersed with arpeggios, all strong and which clearly contrasts with the character of Part A. After 8 surprisingly, the same theme is re-iterated in F major and relative degrees to progressively move to E flat major. This is followed by a long cadence of 12 bars in which the novelty of the triplets is introduced and which is developed first with a rapid movement and then slower on double sixths, reshaping again at the restart of A, which is repeated with some small variations and the insertion of a small cadence between the two themes in D flat. A coda and conclusion follows.

The last study is a Gigue, in the French style, in G major, Presto and in 3/8, as per the Baroque tradition. It is the summary study of the work in which all the difficulties explored in the previous ones are re-proposed and the composer takes the opportunity to develop the theme at length in different ways, also by adding a second voice in counterpoint with the first, in order to take up everything that is been shown previously. The study is always in A-B-A form but the sections, for the reasons mentioned above, are less clear-cut and the B by far prevails over the other two, in fact the real recovery takes place only at the end as a brief reminder of the theme before the conclusion.

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giovedì 5 marzo 2020

TRAGEDIE

TRAGEDIE


Per quanto poco produttivo, il 2011 mi aveva comunque riservato alcune esperienze positive ed era rimasto carico di aspettative per l'anno successivo. Poco dopo l'avventura al Dente riuscii a concludere qualche altra bella ascensione sui Colli e in Valle del Sarca, posto che avevo appena iniziato a frequentare e di gran moda allora (oggi un po' meno). Anche la primavera successiva riserbò qualche sorpresa di cui parlerò in seguito.
Quello che però successe nell'estate del 2012 segnò un punto di svolta nelle vite di tutti i protagonisti sin qui descritti. 
Era la domenica 24 giugno e il giorno successivo dovevo dare l'esame di "Fondamenti di Algebra Lineare" all'università così, malgrado gli inviti di Paolo ad approfittare del bel tempo, decisi di restare a casa a dare un'ultima ripassata. Ero piuttosto preparato per quell'esame. Sapevo che Paolo e Nicola sarebbero andati a ripetere la via che avevo già fatto con Stefano sulla Guglia GEI tanto per divertirsi un po' e la volta successiva, passato l'esame, saremmo andati tutti sulle Dolomiti a fare qualcosa di gustoso, di carne al fuoco ce n'era tanta. 
Il pomeriggio, mentre studiavo, come un fulmine a ciel sereno mi arrivò un messaggio di Paolo in cui mi disse che era capitato un incidente gravissimo a Nicola, di non meglio specificata natura e che per il momento bisognava vedere il da farsi. Lì per lì non mi preoccupai più di tanto, Nicola sapeva il fatto suo e se la sarebbe cavata con delle ammaccature, avremmo solo dovuto aspettare prima di riaverlo combattivo con noi. 
Il giorno dopo attendevo il mio turno all'esame quando mi arrivò la notizia: Nicola non ce l'ha fatta!
Inutile dire il seguito, passai l'esame per il rotto della cuffia perché ero con la testa altrove, tornai a casa e restai tre giorni in shock incapace di rendermi realmente conto di quanto era capitato. Pensavo erroneamente che il trauma sarebbe passato in un modo o nell'altro e che purtroppo queste cose capitavano ma mi resi conto in seguito che non era così: inconsciamente si muovevano altre forze che non potevo controllare e che si sarebbero manifestate in seguito.
Paolo da quel giorno non fu più lo stesso e anche Stefano perse quasi del tutto l'entusiasmo, ci volle almeno un anno prima che tornasse a calcare la pietra e con molta timidezza.
Io, Paolo ed altri andammo in seguito a sistemare una lapide commemorativa ai piedi del luogo in cui avvenne la tragedia, ossia ai piedi della piccola torre detta il Milite, alla base della Guglia GEI. Vidi chiaramente cosa successe quel giorno: un enorme macigno si era staccato dalla parete del camino che taglia la torre e aveva schiacciato le gambe del povero Nicola  intrappolandolo inesorabilmente sotto di esso. Dopo 8 ore di agonia e numerosi tentativi falliti, i soccorritori riuscirono a tirarlo fuori usando l'esplosivo; purtroppo però non c'era più nulla da fare e il poveretto si spense durante il trasporto.

Successivamente a questa tragedia, nel tentativo di dimenticare, andai con un compagno che allora conoscevo da poco, a percorrere la via delle Guide sulla Piccola di Lavaredo. La via attaccava con una lunga traversata su una stretta cornice abbastanza semplice e il compagno insistette per partire da primo. Purtroppo l'idiota fece tutta la lunghezza senza mettere nemmeno una protezione intermedia e io, ancora più idiota, sottovalutai il senso di incertezza lasciatomi da quello che era appena accaduto e, complice lo zaino, feci un bel volo che fortunatamente finì solo con uno spauracchio e qualche escoriazione. Tutto ciò però mi insegnò molte cose, a cominciare dal fatto che non rividi più quello scemo. Passò parecchio tempo prima di rimettere le mani sulla pietra e tutti e due gli anni seguenti rimasero parecchio in sordina...

immagine del Milite nel gruppo del Carega
Il Milite col camino dove avvenne la tragedia.

immagine della lapide alla memoria di Nicola Tassoni


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GITE NOTTURNE - FESSURA FRANCESCHINI

GITE NOTTURNE

Fessura Franceschini al Dente del Rifugio


Alla fine dell'estate 2011 venne un periodo caldo, di alte temperature con elevato tasso di umidità, pareva di essere in Amazzonia, fuori l'aria era rovente e si poteva uscire fino alle 10 del mattino o dopo le 21,00.
Telefonai a Stefano con l'idea di prendere un po' di fresco in montagna e sfuggire alla canicola, tanto sapevo che non avrebbe detto di no ad un po' di movimento. 
La sua prima risposta fu: "Vecio, andemo a Rocca Pendice! - Ma i ghe xe +40°?! -  Massì provemo! Tanto semo all'ombra! -  Nol me pare 'na gran idea...
Insomma dopo un po' di tira e molla riuscii a vincere la sua poderosa inerzia e negoziammo una gita in gironata, onde salvare la "capra" e i cavoli. Scelsi di andare giornata sulle Pale di San Martino come avevo fatto negli anni addietro col corso CAI. Il problema delle gite in giornata, per noi uomini di città, è che se la meta non si trova entro distanze gestibili col veicolo, il rischio di un bel bivacco  aumenta notevolmente, ovviamente chi propone e scrive non si immagina di essere anche la causa del disastro. Decisi quindi per l'appuntamento alle 4,30. 
Alle 4,00 il compare non si alzò, si girò malamente, mi inviò un messaggio e a me, il fanatico che si era pure alzato e preparato per la colazione, non restò che tornare a letto a fare finta di dormire maledicendo la sua stirpe. 
Passarono alcuni giorni e non desistetti, continuando un lento e progressivo lavaaggio del cervello nei confronti del socio fino a convincerlo: decise, in accordo con me, che di caldo ne aveva abbastanza e quindi partimmo alla volta delle Pale. La meta era il Dente del Rifugio, piccola cima rocciosa sopra il Rifugio Treviso in Val Canali, per la fessura Franceschini.

La Fessura Franceschini è una bella via di circa 250 m; aperta nel 1947 da G. Franceschini e D. Palminteri che corre lungo una serie di crepe nel versante del monte, una classica della zona.

Arrivammo in perfetto orario in Val Canali e ci incamminammo verso il Rifugio Treviso a passo da gigante, dato che la vista del posto aveva infervorato il fedele scudiero e lo raggiungemmo in meno di un'ora, giusto il tempo per la birra del mattino, vista l'età avanzante. 
L'entusiasmo era alle stelle, tantoché sbagliammo sentiero finendo imboccando quello che partiva sulla destra del rifugio con tanto di cartello (la colpa è sempre della guida o della segnaletica...!) che in breve ci portò sulla ferrata del Canalone. 
Carichi di roba come i muli (eh la paranoia, ma anche la pregressa esperienza caiana), salimmo le roccette della ferrata assicurati ad un cavo metallico robusto come il filo elettrico di un'asciugacapelli e nuovo come i cavalli di frisia del 15-18, ma perlomeno ben teso. Passammo su una passerella costituita da un unico tronco di legno scricchiolante che attraversava una spaccatura nella roccia, issandoci sul "robusto" cordino a forza di braccia, oppressi come le anime del Purgatorio che trascinano i macigni delle loro colpe. 
Giungemmo all'attacco già bolliti da clima umido e dalla fatica appena fatta quando si faceva già ora di pranzo. Dopo una titubanza iniziale decidemmo di attaccare ugualmente e partii lungo le rocce dello zoccolo mentre Stefano sarebbe salito portando lo zaino con tutta la roba (mai dire mai, l'occasione fa l'uomo ladro!). Arrivati al punto in cui la parete si impennava vidi spuntare dai mughi uno stremato Stefano, per cui gli cedetti il comando onde ringalluzzirlo e per dargli la soddisfazione di una bella fessura dai bordi levigati. Stefano si avviò su con slancio, come un tritasassi e dopo qualche usuale bestemmia passò la fenditura e raggiunse la "comodissima" sosta in una nicchia in cui forse ci stava un piede e venne quindi il mio turno di salire. 
C'è bisogno di dire che lo zaino si incastrò sistematicamente in ogni punto della fessura e dovetti risalirla a forza di braccia lungo il bordo esterno, in strapiombo, bestemmiando di fatica più del solito?
Ovviamente no e una volta arrivato alla sosta incazzato come un toro per lo sforzo, fortunatamente appena rinforzata con fix anellati dalle guide (altrimenti sarebbe toccato assicurarsi al mazzo di chiodi piantato in un buco e baciare il santino di padre Pio), cedetti volentieri il resto del comando della via al socio che si sobbarcò felice le lunghezze successive, non troppo impegnative ma comunque atletiche, mentre il sottoscritto portava il fardello sul groppone, almeno così alleviavo la tensione della salita. 
Ad un certo punto, quando la via superava una lunghezza molto bella e caratteristica con un un doppio diedro, alle nostre spalle si sentì rombare un tuono e subito un muro di acqua cominciò ad avanzare  sornione dalla Cima Canali, in quanto circondato ancora dai raggi del sole. Sulle prime non ci feci caso e rassicurai il compagno che non c'era da preoccuparsi, al massimo avremmo preso uno scroscio d'acqua di qualche minuto. Ovviamente non credevo ad una sola parola ma dovevo assolutamente incoraggiare il socio. Al termine del tiro fui prontamente smentito dall'incupirsi del cielo intorno a noi e dall'avanzamento più deciso del muro di acqua che ora lambiva la bassa Val Canali.
Al punto in cui eravamo potevamo solo sperare, quindi, inaspettatamente, Stefano mise il turbo spronandomi a fare presto perché "no go nessuna voja de torma l'acqua su sto cesso!"; avanti tutta e di corsa dunque! 
Raggiungemmo una seconda nicchia presso uno spigolo quando la situazione divenne strana: il muro di acqua aveva avvolto la Cima dei Lastei ed ormai sferzava il fondo della Val Canali, sostanzialmente dove avevamo parcheggiato, mentre su di noi le nuvole si riaprirono e ricominciò battere il sole. La pioggia era a circa 500 metri in linea d'aria da noi quando, fortunatamente, il temporale girò e noi riuscimmo a raggiungere la vetta del Dente sani e salvi.

Dopo una meritata pausa passata a consumare le scorte di cibo e a rimirare il panorama ci avviammo verso la discesa per la via normale, una sorta di imbuto in cui bisognava buttare le corde doppie. Avevamo rallentato il ritmo della progressione, convinti che il peggio fosse passato e nel frattempo si fece sera. Cominciammo con la prima calata, effettuata sempre con le corde singole dell'anno precedente e portate appositamente per lo scopo perché ricordavo che essa fosse molto lunga, avendola già fatta col corso CAI anni prima. 
Una delle cose brutte della crescita è che si comincia ad affidarsi ai ricordi, che come è noto sono fallaci, e se a ciò si unisce l'avarizia la ricetta del disastro è pronta. Come il lettore avrà già capito, le corde aggrovigliarono in maniera del tutto assurda, ancora peggio che sulle Torri del Vajolet e ciò richiese una mezz'ora per essere risolto, non potendo io, per ovvie ragioni, ricorrere alla soluzione "rapida" del nodo gordiano.
Alla seconda doppia, del tutto ignaro che dai tempi del CAI le calate erano state ri-attrezzate e accorciate in tratti corti da 25 metri, cosa che avrebbe permesso un impaccio notevolmente inferiore in tutta l'ascensione, le corde si mischiarono nuovamente in un'insalata persino peggiore della precedente. Dopo una ventina di minuti in cui non cavavo un ragno dal buco, uno spazientito Stefano scese fino a me, ovviamente con entrambi appesi alle stesse corde (non è mai una buona idea), per contribuire a sciogliere il nodo, fatto che ci portò via altri 40 minuti di lavoro in sospensione prima di raggiungere la base.
Arrivati a terra era ormai sopraggiunto il buio e ci incamminammo, questa volta lungo il sentiero giusto, utilizzando la luce dello schermo dei telefoni (allora gli smartphone con la torcia erano di là da venire) sguazzando tra le radici viscide di umidità e pioggia. Arrivammo al rifugio Treviso a notte fonda dove, fortunatamente e malgrado l'ora, il gestore ci diede impietosito un tagliere di salumi ed una pila frontale per tornare a casa. Il ritorno nel buio fu distensivo e allegro.
Alle 2,30 della notte eravamo finalmente alla dimora dopo una lunga giornata.




Val Canali
La Val Canali di primo mattino.

Dente del Rifugio
Il Dente del Rifugio con visibile, a sinistra nei grigi, la fessura.

Fessura Franceschini
La fessura, tratto chiave e caratteristico della via.

camino della Fessura Franceschini
In arrampicata lungo la fessura.

panorama dal Dente del Rifugio
Si forma il temporale.

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