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giovedì 27 febbraio 2020

SODDISFAZIONI - DIBONA ALLA GRANDE DI LAVAREDO

SODDISFAZIONI

Via Dibona alla Cima Grande di Lavaredo


Ho pochi ricordi dell'anno 2011, forse perché è stato un periodo intenso sotto altri aspetti ma uno degli eventi che mi è rimasto impresso è stata la salita alla Grande di Lavaredo. Sarà per l'alone di leggenda che circonda la montagna, che nella testa di un giovane acerbo significava una salita con dignità (non che le altre non lo fossero!), sarà perché era la prima salita veramente significativa dell'anno, fatto sta che fu l'evento principale di quell'estate. 

Paolo mi telefonò dicendomi che era assolutamente intenzionato a compiere una salita su questa straordinaria cima con lo scopo secondario di conoscerne la discesa in vista di qualcosa di più impegnativo su di essa e la scelta, onde evitare l'affollata via normale, ricadde sullo spigolo Dibona.

Lo spigolo nord-est della Cima Grande di Lavaredo venne salito la prima volta dalla grande guida ampezzana Angelo Dibona ed E. Stubler nel 1909 seguendo le linee più vulnerabili attraverso la linea di demarcazione tra la parete nord e la parete est.

Quella volta si aggregarono a noi anche un gruppo di quattro alpinisti bergamaschi, di cui uno era un conoscente di Paolo, che si trovavano in zona ed erano desiderosi di salire lassù lungo un itinerario famoso.
La notte prima della partenza eravamo a Misurina intenti a fare due passi lungo la strada delle Tre Cime quando tutti insieme guardammo verso la meta, immersa nella penombra dell'ultima luce.
Al rientro in albergo, questo conoscente del mio partner però si ricordò improvvisamente di avere la moglie incinta a casa (se questo era il preambolo chissà se il nascituro era suo) e rimembrò anche al suo compagno di avere degli impegni che l'attendevano giù a Bergamo. Il bello è che costui non fece altro che parlare di cosa aveva fatto in giro per le Dolomiti durante tutta la cena, il che mi ricordò la celebre battuta di Robert de Niro "chiacchiere e distintivo", mentre Paolo lo guardava col sorriso da un'orecchio all'altro dandogli la ragione del somaro.

La mattina seguente due dei bergamaschi ripartirono e così rimanemmo in quattro divisi in due cordate. Ci portammo all'attacco in una splendida mattinata di anticiclone per scoprire la prima avventura della  mattinata, ossia che le facili rocce dell'inizio della via erano completamente sepolte da uno strato di neve da valanga dura come il cemento armato. 
Scoppiò immediatamente l'imbarazzo generale sul da farsi, perché i due bergamaschi volevano salire nell'incavatura tra neve e roccia (in scarpe da tennis) e attaccare più in alto, io invece convinsi Paolo che era meglio salire più direttamente dalle prime rocce e poi deviare sulla retta via onde evitare scene fantozziane  e di spaccarsi le caviglie come dei fessi. Nell'indecisione più totale ebbi un sussulto di virilità e affrontai di petto una fessura di roccia friabile in strapiombo che risolsi innalzandomi come un pensionato che si alza dalla poltrona per andare a prendere gli antidolorifici; nel fare ciò agguantai senza nemmeno pensare il labbro della fessura con la sinistra e con la destra un appiglio nel mezzo. Questo si staccò di schianto e ressi tutto me stesso, piegato come quando si è seduti sulla porcellana del bagno, con la punta delle dita sinistre. Mi spinsi su nella foga e passai oltre; successivamente traversai a sinistra fino a gradoni detritici dove cominciai il recupero di Paolo. 
Vista la mia arrogante determinazioni, che mal celava lo scagazzo che mi era fatto addosso alla partenza, per punizione il mister mi invitò, cortesemente, a proseguire da primo lungo il resto della via.

Nella parte iniziale proseguii lungo una bella continuità di fessure non difficili ma sempre atletiche e su ottima roccia fino ad una splendida terrazza accanto alla levigata parete nord dove ci fermammo tutti e quattro a rimirare il panorama. 
Dopo la fine del pilastro iniziale ripartimmo entrambe le cordate insieme e mi spostai progressivamente verso sinistra nella parete est alla ricerca della linea più facile, ad un tratto però la via era sbarrata da degli strapiombi e così dovetti aggirarli a destra, ripassando sullo spigolo in parete nord per poi ritornare sulla direttrice di salita. Salendo non mi accorsi che avevo praticamente srotolato tutta la corda e che non avevo allungato gli ancoraggi intermedi, cosa particolarmente intelligente, così mi trovai completamente bloccato un metro sotto il terrazzino di sosta. il primo della seconda cordata mi raggiunse in fretta e insieme urlammo a Paolo di partire anche se non era ancora messo in sicurezza, d'altronde anche se fosse caduto sarebbe rimasto agli arresti perché le corde erano completamente avvinghiate da qualche parte. 
L'altro ragazzo mi trasse a braccia sino a lui, ci ancorammo e in due ci mettemmo a recuperare le funi, tirando fino alla disperazione e guadagnando solo pochi centimetri. D'un tratto sbucò Paolo fuori dagli strapiombi sottostanti con l'intera corda arrotolata attorno alle spalle, sacramentando nella mia direzione. Lo guardai in silenzio con uno sguardo beota per spegnere i suoi bollenti spiriti dopodiché calò il silenzio e recuperammo anche il quarto uomo, poi ripartimmo tutti insieme.
 
Successivamente a queste vicende ci trovammo gaudiosi ad una grossa cengia che tagliava la parete est della montagna credendo di aver raggiunto in tempi ottimali la fine della via: la classica menzogna mendace! Infatti, guardando la vetta dalla parte opposta si poteva intuire che eravamo ancora ben sotto la quota di uscita, a circa metà strada e che bisognava ancora macinare parecchia strada per uscire fuori. 
Seguirono una quantità innumerevole di lunghezze di corda, alcune corte per evitare nuovi incagli delle funi fino alla corsa finale dietro una cordata polacca per individuare l'inizio della discesa mentre il buio avanzava. Per tenere dietro a questi "baldi giovini" percorremmo una cengia strettissima a grandi balzi incuranti del baratro sottostante. Purtroppo non godemmo nemmeno di un momento della soddisfazione di essere arrivati alla fine della via, mannaggia al socio e alla sua ansia, visto che nel tragitto delle calate ci trovammo poi in coda come alla posta.
Cominciai la discesa con uno dei moschettoni che era era incastrato attorno all'anello dell'imbrago. Uno dei polacchi me lo fece notare anche se in quel caso non era particolarmente grave ma comunque bontà sua. Nell'ignoranza seguii Paolo e insieme ci calammo direttamente nel fondo del camino e non alla catena di calata successiva che si veniva a trovare spostata al centro della parete sopra una strettissima balaustra. Allegria: vai con un nuovo e divertente traverso esposto su roccia lucidata al punto da potercisi specchiare e fare la barba prima di una nuova calata da 60 m direttamente al limite delle corde. Mi domando chi sia quel genio, quel fottuto genio (!!!!) che ha pensato di ficcare gli anelli là in mezzo, lui e le sue paturnie di incagliamenti e boiate varie! 
Allungammo il passo sia perché ormai cominciava a sopraggiungere la sera, sia perché piovevano sassi come nelle Dieci Piaghe d'Egitto e così via per altre calate due calate lungo la parete sud. Ad un certo punto gli altri tre compagni presero una sorta di traccia che si avviava verso il versante ovest, tagliando lungo una cengia la parete sud fino ad altre tre calate verticali che avevano la peculiarità di svolgersi su vecchi chiodi e cordoni lasciati da scalatori disperati (in una sosta un chiodo era saltato). Nessuno ebbe la voglia di tornare indietro a prendere la retta via, visto che in basso si intravedeva la terra definitivamente orizzontale e così giù fino al ghiaione che il buio sopraggiungeva. Con un ultimo strappo arrivammo finiti alla macchina. Erano le 21,30.
I bergamaschi non li rividi mai più, né seppi più nulla in seguito.
Alle 2,30 ero a casa.



lato sud delle Tre Cime di Lavaredo
Le Tre Cime dal Rifugio Auronzo al mattino presto.

panorama verso i Cadini e le Marmarole
Panorama verso i Cadini e le Marmarole.

Tre Cime di Lavaredo
Una delle vedute più famose al mondo. Lo spigolo Dibona è al centro e punta dritto alla vetta.

inizio dello Spigolo Dibona
Lungo le prime lunghezze.

Spigolo Dibona alla Grande di Lavaredo
La parte alta dello spigolo che va seguito un po' a sinistra.

Spigolo Dibona alla Grande di Lavaredo
Salendo nel tratto intermedio.

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