LA CRESTA SOSPESA
Torri del Vajolet
Alla fine dell'estate del 2010 faticai non poco per combinare un'uscita coi due compagni d'avventure, Paolo e Stefano e, sotto pressione del primo che aveva un conto in sospeso, decidemmo di trascorrere un fine settimana a zonzo per le Dolomiti per combinare insieme due itinerari in posti abbastanza lontani tra loro ma dal divertimento assicurato. Il primo progetto messo in cantiere fu lo Spigolo della Torre Delago, famoso, celebrato e fotografato in ogni libro che parli di Dolomiti e Alto Adige, salita che Paolo aveva una volta abbandonato per maltempo, mentre la seconda di salire lo spigolo del Sass de Stria, un'altura crivellata di gallerie e trincee nella Prima Guerra Mondiale che precipita verso sud con una bella parete compatta.
Per l'occasione comprai una seconda corda di 70 m, oltre a quella che già possedevo, perché avevo e ho ancora il braccino corto e di comprare due leggere mezze-corde contro la più economica singola da 70 m andava contro i miei principi ingegneristici.
Tali principi però erano e sono tutt'ora teorici perché fanno riferimento a situazioni ideali considerate limite, la realtà è un po' più...complessa diciamo. Infatti, gaudio della corda nuova che avevo comprato ad un ottimo prezzo pensai di aver risolto il problema della cordata a tre con una trovata più furba e sicura rispetto ai comuni mortali, un genio del crimine!
Ci avviammo in un torrido pomeriggio di venerdì alla volta del Catinaccio, a bordo della macchina di Paolo, ovviamente sprovvista di aria condizionata e con 35° all'ombra, tanto che si poteva sentire il profumo dell'asfalto che fondeva sotto il sole, mischiato all'odore di maschio italico a suo interno. Arrivammo verso il tardo pomeriggio a Pera di Fassa, in orario per l'ultima corsa verso il Rifugio Gardeccia, con la pancia che rombava, io che pensavo di avere la febbre e gli altri due mezzi addormentati.
Lo spigolo della Torre Delago, la più occidentale delle torri, e la più appariscente da Bolzano, fu scalato nel 1911 da Gian Battista "Tita" Piaz, la grande guida fassana detta il Diavolo delle Dolomiti, insieme a I. Gasler e Francesco Jori, altro fuoriclasse che dieci anni dopo scalò la parete nord-est dell'Agnèr. A quei tempi fu un'impresa ardita, anche vista la friabilità della roccia e le vertiginose calate dalla vetta. Oggi è una via fin troppo frequentata e ben ripulita.
Lo spigolo Colbertaldo del Sass de Stria fu aperto nel 1939 da A. Colbertaldo e L. Pezzotti, si svolge su roccia ottima ed è molto frequentato, anche se di spigolo vero e proprio ha solo la parte iniziale. Un tratto molto caratteristico della via, che tutt'ora ho impresso, è una specie di corridoio tra la parete ed una torre staccata che consente di cambiare parete.
La marcia di avvicinamento dal rifugio Gardeccia al rifugio Re Alberto presentò il conto della mia parsimonia sulle corde, infatti ero oppresso dal solito carico che mamma aveva raccomandato (commetterò anche in seguito di dare ascolto alle sue paranoie pentendomene sistematicamente) contro il freddo, l'umidità, i reumatismi e la Peste bubbonica, più il peso della corda singola che di certo non era leggera come quelle di adesso. Gli altri due non se la passavano meglio perché, per ragioni a me ignote, anche Paolo e Stefano avevano esagerato con la roba da portare su in relazione ad una via così corta. Arrivammo a destinazione col buio inoltrato e con i brontolii del gestore che già pensava di chiudere la cucina! Per punizione ci sorbimmo fino all'ora di andare a letto tutta la storia della sua vita come se non vedesse l'ora di raccontarla ad una vittima sacrificale.
L'indomani ci avviammo all'attacco con tutta calma e ci trovammo altre cordate lungo l'affilato spigolo. Probabilmente noi non fummo abbastanza mattinieri, forse qualcuno poteva essere salito dai rifugi sottostanti ma per una via di poco più che un centinaio di metri, il fatto che stessero già salendo, significava che questi erano partiti il Ferragosto del '99.
Il primo tiro, non difficile ma bello verticale, toccò a me, che mi arrabattai lungo una placca alla ricerca di chiodi e mugugnando qualcosa in francese alla cordata davanti a me. Passò poi in testa Paolo che col tiro successivo aveva il suo conto in sospeso, tratto stupendo, in grande esposizione e con panorama sopra la conca di Bolzano. La parte seguente toccò invece a Stefano, per giustizia, che partì deciso lungo una bella paretina, e qui le corde singole dimostrarono tutto il loro potere distruttivo, soprattutto dopo che erano state recuperate con poca accortezza. Si formò a quel punto una specie di insalata che dapprima fece scoppiare a ridere Paolo, poi lo fece diventare più serio, poi lo gettò in uno stato di frenesia ed eccitazione, il tutto mentre io cercavo con "ingegno" di venire a capo della matassa. Sopraggiunse una guida di accento tedesco col cliente che pietosamente ci guardò e disse "tagliamo!!!", salvo poi fare finta di ridere alla sua battuta vedendo il mio martello vicino alla sua testa; si unì nella stoica impresa di sciogliere il nodo alle corde assieme a me e a Paolo che intanto stavamo perdendo fiducia nel destino. In tutto questo trambusto Stefano era rimasto in mezzo alla placca, appollaiato su una cornice a gustarsi il panorama e chiedendosi, tra sé e sé, se per caso fossimo improvvisamente andati a pranzo o fossimo divenuti "diversamente abili".
Ci volle un'ora per sbrogliare il groppo alle corde, in tre, sembravamo gli ominidi di 2001 Odissea nello Spazio davanti all'osso.
Una volta sbrigato l'inconveniente arrivammo finalmente alla cima, incitati dalle bestemmie e dall'intasamento che si andava formando dietro di noi, giusto il tempo per una foto e approfittare di un attimo di vetta sgombra e poi via giù fino a terra con corde doppie.
Durante l'ultima calata, un'altra guida alpina di non so dove ma di parlata italianissima non solo buttò le corde senza chiamarle ma mi scaricò pure un sasso in testa ingarbugliando nuovamente le mie corde. Una volta scesi e riuniti alla base spiegai a costui da dove venisse e che mestiere faceva sua madre, lui rimase per un attimo tra il contrariato e il divertito, incapace di decidersi se dovesse difendere il suo onore rompendomi il muso o se io fossi semplicemente un pazzo che aveva preso un colpo di caldo. Prima che la situazione si scaldasse troppo Paolo intervenne a dividerci raccontando a costui una manfrina sulle Dolomiti e sull'Alpinismo e facendo andare via la guida stordita.
Santo Paolo, senza di lui la rissa sarebbe stata assai probabile.
Tornammo giù prendendo poi la strada del Passo Pordoi dopo aver passato il resto della giornata in un bel ristorantino.
Anche questa volta piantammo la tenda nelle vicinanze del valico ma, memore della volta precedente e ancora privo del magico materassino, sempre per parsimonia, decisi di piantare la tenda sull'erba, in un punto più lontano dalla strada. Questa volta riuscii a dormire, un po' rigido ma comunque ce la feci. Proseguimmo la mattina seguente verso il Passo Falzarego alla volta del Sass de Stria. Questa volta l'ascensione filò più liscia del giorno precedente, perché prestai molta più attenzione al recupero delle corde e soprattutto perché procedemmo in fila uno in seguito all'altro e non coi due secondi contemporaneamente, grazie alle singole da 70 m.
Fino a metà salita però l'entusiasmo oscurò completamente una cosa che se all'inizio non era indispensabile, poi cominciò a farci vivere anche questa volta un'avventura: mi accorsi di aver dimenticato di riempire le bottiglie d'acqua! Magico, senza acqua su una parete sud e col cielo terso! Giunti all'altezza della fenditura che cambia parete io cominciavo a non riuscire a parlare, Stefano si muoveva con movimenti calcolati per non sprecare neanche una goccia di sudore e Paolo sembrava un sopravvissuto di El Alamein. Sopraggiunse un'altra cordata proprio in quel punto a cui era rimasta una bottiglietta di aranciata che dovemmo razionare per riuscire a soddisfare le nostre gole riarse: fu come buttare del vetriolo sul legno, ma almeno ci diede l'illusione di un po' di frescura.
La salita si svolse senza altri fatti di rilievo e tutti arrivammo sulla vetta stanchi, assetati ma felici per i giorni appena vissuti. Con queste ascensioni terminava anche l'estate d'esordio, costellata di piccole gioie e piccoli episodi che ancora si raccontano davanti ad una birra.
Le Torri del Vajolet con a sinistra lo spigolo
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