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sabato 30 novembre 2024

UNA GITA DOMENICALE

 UNA GITA DOMENICALE

Via Vicenza al Baffelàn


E' estate 2022, fa un caldo tremendo e l'Italia è secca. 
Questo è il racconto di una normalissima gitarella domenicale che improvvisamente si trasforma in una scalata ricca di emozioni forti, diciamo non per cuori fragili. 
Il primo evento che ha contribuito all'escalation è che né io né il socio Bruno abbiamo voglia di cacciarci in qualche posto affollato dove verremmo spennati senza pietà, con annesse parecchie ore di macchina, pertanto dirigo la mia attenzione sulle solite Piccole.
La mia attenzione ricade su una vecchia via sul Baffelàn, la quale francamente non so davvero cosa abbia di speciale se non il fatto che sia a nord e che sembra avere una linea abbastanza carina, pertanto la propino al compagno che la accetta in maniera acritica. Per sentirmi più maschio gli propongo anche di saltare una parte di avvicinamento tramite un raccordo attrezzato sulle rocce alla base della parete e sempre acriticamente il mio proposito viene accettato.

Arriviamo a Campogrosso come da prassi alla mattina presto per prendere il posteggio gratis e ci incamminiamo verso la meta. Fa già caldo, non tira un filo di vento e il sole picchia già ossessivo. Impongo un passo moderato per evitare di arrivare all'attacco già annegato ma è del tutto inutile, il sole picchia spietato cuocendo quel che rimane dei nostri cervelli, i quali nel frattempo sono andati in vacanza nei mari del nord. 
La parete del raccordo non è invitante, anzi è deprimente, anzi fa schifo e risente dell'abbandono, piena di ragni grossi come i figli di Shelob, ma non demordo dal mio proposito e incoraggio il socio mistificandogli la realtà dei fatti: siamo due cerebrolesi che scalano a est in un giorno di anticiclone di Luglio.
Il primo tiro del Raccordo Escondido, lotta con le ragnatele a parte, scorre liscio come l'olio, un po' come la vaselina che serve a lubrificare bene il retto prima di...! Infatti le rogne arrivano immediatamente: guardiamo in alto è sembra che la via termini lì, su una placca liscia, eppure la relazione indica una sezione più facile di quella appena percorsa; scrutiamo meglio e molto in alto notiamo uno spit artigianale mimetizzato col colore stesso della pietra. Che razza di scherzo di cattivo gusto è questo?
Bruno bestemmia qualcosa e poi accenna a partire su questo tiro infame, anche se toccherebbe a me ma nel dubbio taccio. Bruno prende un friend piccolo, portato per fare la via successiva con l'ardore di dire "tanto questo pezzo è sportivo" e lo incastra malamente in una crepa: "'speta n'attimo che provo, 'arda qua che ghe xe 'na tacca! Ma...xxx...come c... fagnala a passare de là?!" (Aspetta un momento, guarda che qui c'è una tacca! Adesso come faccio ad andare di là?). Lo guardo alzarsi di un metro e mezzo sopra di me e rimanere in balia di appigli minuscoli, del friend, della roccia lichenosa e coi piedi al vento. D'un tratto a Bruno tremano le gambe e non riesce a spostarsi a sinistra, mentre lo spit resta lontano; mi offro come appoggio con la testa mentre con le mani gli tengo ferma la gamba sull'unica tacca utile. Continua a tremare finché, con un colpo di anca si riequilibra sulla misera tacca e sulla mia capa, poi la situazione migliora poco. Con un movimento di disperazione, il socio afferra alla cieca un appiglio decente, giusto per le dita e si stabilisce in ordine sulla placca per portarsi ad afferrare quello spit maledetto che il chiodatore ha posizionato in quel modo criminale; poi si volta e mi dice laconico: "che razza de sbrodego che el fa sto qua!" (che pasticcio che combina questo apritore). 
Bruno termina la lunghezza bestemmiando lungo un pilastrino e a mia volta lo raggiungo porconando come un vero vecchio buzzurro al bar perché l'apritore ha piazzato gli ancoraggi nel punto più liscio possibile e lasciando gli appigli tutti su un lato; a peggiorare questo stato di cose si aggiunge il fatto che la relazione in nostro possesso sia completamente errata. Mi sobbarco io un tratto di raccordo tra grandi macigni e poi Bruno supera uno sperone di roccia solida come i cantuccini invecchiati nella credenza della nonna su cui bestemmia in modo sempre più creativo, portandoci fuori dalla variante di raccordo.
I tiretti divertenti che dovevano evitarci l'avvicinamento faticoso sono stati un incubo spaventoso, per fortuna trascorso troppo in fretta per fissarsi bene nella memoria e mostrarci la nostra pirlonaggine in tutto il suo splendore, solo che adesso siamo troppo provati per proseguire lungo la Thiene, altrettanto impegnativa e quindi suggerisco di optare per la più facile Vicenza, una classica abbastanza gettonata e che mi ero tenuto "in tasca" proprio come ripiego in un'occasione come questa. 

Naturalmente quando qualcosa parte male, il rischio che essa finisca peggio è sempre presente, però per fortuna l'esperienza aiuta abbastanza ad evitare delle grandi e sonore delusioni, se ci si concede la calma necessaria a riflettere. La Vicenza è stata uno di quei casi e naturalmente, l'insieme è stato aggravato dal fatto che la relazione in nostro possesso continuava a descrivere così precisamente l'itinerario che avremmo benissimo potuto essere sulla montagna sbagliata.
Il primo muro della Vicenza fila liscio come l'olio, stessa replica della parte sottostante e la mia idea di portare dei dadi si rivela determinante perché la roccia non presenta vere fessure ma solo buchetti da chiodi o, per l'appunto, dadi. Passa anche il secondo tratto con la differenza che la relazione segna la sosta nel posto sbagliato, infatti recupero Bruno su un masso incastrato in un forcellino e tocca a lui poi salire ancora per un bellissimo camino prima di trovare la sosta corretta. Anche il canale comune alla Verona scorre tranquillo ma la sorpresa ci si presenta ovviamente quando la Vicenza si stacca a destra per seguire una sua traiettoria di uscita indipendente, la quale, dalla roccia assai ruvida, sembrava dimenticata da ormai lungo tempo.

Quando stiamo per partire per l'ultimo grande muro che ci si para davanti, il socio riparte a razzo lungo le balze, percorrendo metri su metri con spavalda incuranza del vuoto offerto dalla rupe, arrivando così ad un punto in cui si blocca, come un'onda che s'infrange contro un'alta scogliera. E' sotto un gradino, alto poco più di un metro, su cui non riesce ad issarsi su. Lo vedo armeggiare prima con un friend e poi con un chiodo, in seguito butta su la gamba con un passo da tedesco per aver ragione di questo gradino. Non riesco davvero a capire come qualcuno si possa bloccare su uno scalino di un singolo metro di altezza, penso alla stanchezza, ma quando lo raggiungo capisco il perché di tanta apprensione: durante la filata di corda non aveva piazzato alcuna protezione ed era andato a sbattere contro un muretto marcissimo di roccia a cubetti. Appena accenno a passare, levo il friend e l'appoggio mi si sbriciola sotto i piedi; riesco a malapena a rimanere aggrappato con le unghie e con i denti, poi con un colpo di reni sono oltre l'ostacolo. Me la sono vista brutta, essendo l'intero passaggio in traverso ma se il compagno avesse avuto la mia stessa sorte sarebbe diventato un cumulo informe di ossa e stracci sulla rampa sottostante, senza se e senza ma.
Arrivo in sosta con aria nullafacente, vista l'esperienza appena passata, e ci guardiamo nelle palle degli occhi; Bruno mi dice: "vago mi che cussì fem in prestezza!"; non obbietto, anzi mi sento rasserenato a fare lo scaricabarile, gli passo il materiale e lo vedo partire per la lunghezza originale di uscita. 
Non faccio in tempo a tirare un sospiro che vedo il compare restare perplesso davanti ad un muro compatto nero. Passano alcuni minuti e ancora non si muove, così comincio a insospettirmi anche io; scruto più in alto per capire se siamo sulla strada giusta e vedo un chiodo dalla forma familiare, uno di quelli che fabbrica Frank e che avrà venduto ad un ripetitore, forse a Mario Brighente che bazzica spesso la zona e ha aperto piccole perle sulle vette minori del gruppo. Rassicuro Bruno che a questo punto aggredisce il muro con determinazione e piazza un dado in un bel buco, poi affronta un tratto marcio con mia grave apprensione ma passa oltre. Sparisce alla mia vista e procede verso l'alto rapidamente. Dopo qualche minuto le corde non scorrono più e sento una sequela di imprecazioni alquanto fantasiose provenire dal suo indirizzo; lo chiamo chiedendogli che cosa stia succedendo ma ottengo delle risposte vaghe. Passano altri eterni minuti prima che lentamente le corde ricomincino a scorrere e solo dopo un'eternità giunge il tanto atteso richiamo: "molla tutto!!". Parto dalla sosta e salgo il muro nero e subito un altro pezzo per poco non mi resta in mano, ma fortunatamente sono da secondo di cordata; poi risalgo verso uno stretto camino e capisco come mai Bruno fosse rimasto a lungo a pensare al da farsi: una volta a forma di campana, rotta a metà da una crepa sbarrava il cammino, strapiombando da tutti i lati, ovviamente di chiodi nemmeno l'ombra. Provo a salire a destra, poi provo sulla placca a sinistra ma niente, non trovo un solo appoggio per alzarmi oltre lo strapiombo, finché desisto, mi levo lo zaino e striscio spingendo come un verme in un cunicolo attraverso la fenditura, riuscendo a ristabilirmi solo molto più in alto. Per fortuna che la relazione diceva III+!!
Raggiungo Bruno e poco dopo sbuchiamo in vetta al Baffelàn sul far della sera, abbiamo realizzato che in fin dei conti siamo saliti per una via di circa trecento metri e con tratti veramente impegnativi; per essere stata una semplice uscita domenicale era stata abbastanza densa.
Mentre siamo sulla vetta la mente vaga per i ricordi che ivi si sono accumulati: penso a quando vi misi piede la prima volta con mio padre in una giornata autunnale di ormai tanto tempo fa, oppure quando vi tornai con Stefano dopo aver percorso la Soldà. Bruno fa altrettanto raccontandomi di quando cominciò ad arrampicare con Moreno salendo una alla volta tutte le vie del monte, molte delle quali nel periodo in cui furono appena aperte. Ci avviamo piano piano lungo la discesa mentre la luce si fa più fioca e l'aria torna ad essere fresca.

Raccordo Escondido
L'inizio del Raccordo Escondido

Via Vicenza
Il tratto marcio sulla via Vicenza

Camino finale via Vicenza
Camino finale della via Vicenza 


Relazione
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