DELINQUENZA MINORILE
Torre di Piangrande
La Torre di Piangrande è un modesto torrione che prende il nome da un'osteria situata alle sue pendici, lungo la strada che da Valstagna sale a Foza sull'Altopiano di Asiago. La torre, fino al momento in cui ci sono andato a mettere le mani, aveva tre itinerari poco frequentati di cui uno firmato da Lorenzo Massarotto, grande rocciatore padovano degli anni '80 e '90 del secolo scorso. Incuriosito da questo fatto e chiedendomi perché uno che è abituato alle chilometriche pareti delle Dolomiti agordine sia venuto ad arrampicare su questo piccolo paracarro, provai un giorno a curiosarci sopra, in compagnia di Paolo (quel Paolo dei primi racconti) e di Giovanni (idem). L'unico risultato che ottenemmo fu di ravanare in mezzo a rovi fittissimi (sempre loro, maledetti e dannati rovi) e di impiegare due ore per coprire circa cinquanta metri. Inutile dire che desistemmo dal progetto, mandammo bellamente a quel paese la torre e la via finì nel dimenticatoio per molto tempo.
Si arriva all'inizio dell'anno 2021, è ancora inverno e rispolvero l'idea di scalare questa torretta sbolognan...ahem proponendola ai consueti Bruno e Moreno, giusto per uscire fuori dalle solite rotte commerciali.
E' il 5 di Marzo e fa freddo ma il tempo è assolutamente sereno. Da quel lontano anno in cui effettuai la prima esplorazione ad oggi qualche anima pia è passata tracciando un sentiero discreto che permette di evitare l'orribile andirivieni tra la verdura fitta che ci aveva bloccato in passato. Arriviamo sotto la torre in sveltezza e carichi di entusiasmo e devo dire che a primo impatto non è un bel vedere: c'è molta erba come di consueto, però la roccia sembra lasciarsi arrampicare.
Parte Moreno ardimentoso, motivato a dare un senso alla giornata, faticando un po' su un tettino un po' birichino e riuscendo a issarsi su di un misero terrazzo di sosta. Seguiamo io e Bruno lottando con l'erba e notando come il tetto fosse effettivamente un passaggio che dà dei grattacapi. Seguono un paio di altre lunghezze di corda più facili e senza storia, molto carine, fino al ballatoio sotto il rigonfiamento superiore della torre, circondato da pance. In questo punto ci troviamo al cospetto delle solite rocce strapiombanti contornate da fitta vegetazione: sulla destra si intravede una corda che regge un albero di carpino sospeso nel vuoto e che forse segna la direzione giusta ma bisognerebbe attraversare su una stretta e scomoda placca per raggiungerla e con difficoltà di protezione. Non ho nessuna intenzione di bestemmiare nel lungo traverso per andare ad acchiappare il carpino perciò, per frugare ogni dubbio, manipolo la mente dei miei sventurati compagni convincendoli che la traversata è difficile, che da secondi sarebbe molto scomoda e che perderemmo del tempo inutilmente.
Nessun problema, si fa una variante che rende la via più pepata: riparte Moreno armato dei famigerati "ciòdi del Bruno", ricavati sapientemente dai cugnetti da cantiere, e si caccia su per una fessurina che taglia gli strapiombi, piantando quei pezzi di ferro sottili che si piegano sotto le martellate ma che reggono il suo passaggio, contorcendosi in modo da richiamare una talpa che esce dalla tana per uscire a destra di un tettino e poi prosegue lungo la parete superiore riuscendo reperendo qualche altro chiodo. Poco dopo arriva sulla grande terrazza sommitale e recupera anche me e Bruno. Tutto sommato ne è uscita una bella variante che conferisce più continuità al tratto e tutta su roccia buona.
Poco dopo arriviamo sulla vetta, ci congratuliamo a vicenda e iniziamo la discesa a corde doppie. Una volta ritornati a terra io mi avvio lungo il sentiero dell'andata mentre gli altri due soci optano per un rientro più diretto continuando le corde doppie nel bosco. Io ritengo che sia una pessima idea, anche perché alla fine dovranno scavalcare il paramassi e calarsi in una ex cava, però li vedo convinti e li lascio fare. Nel frattempo abbasso i pantaloni e disseto la vegetazione liberandomi dei fluidi in eccesso e purificando il tempio di corpo, inconsapevole che la natura matrigna stia per farmi un regalo.
Ridiscendo il sentiero fino alla strada e, una volta arrivato non vedo nessuno. Strano, la distanza da coprire non è poi molta. Mi siedo e aspetto ma ancora non arriva nessuno; provo a chiamare ma non sento risposta. Accidenti, e si che avrebbero dovuto scendere solo una cinquantina di metri di bosco! Ritorno sul sentiero e provo a chiamare ma ancora non ottengo risposta, così ritorno sulla strada e aspetto ancora. Dopo un po' vedo sbucare una corda, seguita da un Bruno bestemmiante e da un Moreno disilluso che si calano dritti in una conca piena di rovi. Io li apostrofo con tono di scherno con: "Ragazzi, guardate che c'è il sentiero!" e ottengo: "Ma vaff...cazz...tr...orc...mas'c...!" e un'altra sequenza di cose incomprensibili ma adesso ci siamo tutti e tre. Recuperiamo le corde e andiamo a mangiare.
Il giorno dopo, mentre sono tranquillo a fare le mie cose, sento un prurito irresistibile proveniente dall'interno coscia; vado al bagno a verificare di che si tratti e trovo una bella zecca intenta a pranzare, deve essere entrata quando mi sono fermato a urinare, la bastarda. La strappo con rabbia e vado al pronto soccorso per verificare che non mi abbia lasciato regali.
Una zecca a febbraio...!!
Torrione di Piangrande
Sul primo tettino di Delinquenza Minorile
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